Giuseppe Civati, in arte “Pippo”.
La sua prima grande apparizione pubblica è durante il Congresso del Partito Democratico del 2013, in cui sfida la candidatura di Matteo Renzi alla segreteria del partito, senza troppo successo, ma radunando una base consistente intorno a lui.
Base che torna poi utile quando, nel 2015, lascia il PD per fondare il proprio partito, denominato “Possibile” (ma assolutamente non per strizzare un occhio alla formazione spagnola “Podemos” guidata da Pablo Iglesias).
Il partito da lui fondato si presenta poi alle elezioni del Marzo di quest’anno a fianco della coalizione guidata da Pietro Grasso, condividendo la triste sorte elettorale della formazione Liberi e Uguali.
Proprio il leader di Possibile avrebbe sofferto in prima persona di questa sconfitta elettorale, non risultando eletto alla Camera dei Deputati.
Da questa sconfitta derivano le sue dimissioni da segretario di Possibile ed un ritorno alla vita privata e alla politica fatta e vissuta da cittadino.
E da ciò deriva questa intervista, volta ad indagare come si possa fare politica e come si possa essere un attore politico anche senza sedere sugli alti scranni del Parlamento, perché, come ha detto Civati stesso, “ci si può dimettere da deputati e da segretari, ma non ci si dimette mai da cittadini”.
- Buonasera signor Civati, innanzitutto, volevo chiedere una sua rapida e personalissima analisi dello stato di salute della Sinistra in questo Paese.
“Beh, sì, non si può dire che stia tanto bene.
Sta pagando i molti errori fatti soprattutto da chi ha governato negli ultimi anni: la gran parte della responsabilità ricade naturalmente sul Partito Democratico e su chi ne ha accompagnato l’azione politica.
La Sinistra ufficiale, istituzionale, non sta molto bene, mentre stanno molto meglio quelle associazioni e quelle realtà che si riuniscono intorno a determinati temi che hanno dimostrato di saper riunire le persone vere e reali.
Queste realtà più attive e più vive dovrebbero anche rappresentare il punto di partenza per quella che potremmo chiamare la riscossa della Sinistra in Italia, diciamo.
Poi, naturalmente, la responsabilità va divisa fra tutti ed io me ne sono assunto la mia parte, però è chiaro che sia più forte quella parte di chi ha avuto il potere, dicendosi di centro-sinistra,mentre si faceva appoggiare dal centro-destra.”
- Quali sono le idee e le volontà politiche di Civati, dopo il 4 Marzo, dopo l’assunzione di responsabilità e dopo le dimissioni da Segretario di Possibile?
“Ma io sono quello di sempre. Mi sono defilato per naturale conseguenza da quella politica più politicante, fatta di talk show come di gruppi parlamentari di cui non faccio più parte, ma le idee sono sempre le stesse e i valori sono ancora più forti, a maggior ragione in presenza di un Governo che ha già preso una piega pessima.
Quello che faccio, però, è più da cittadino e da militante che partecipa, si interessa alle cose che trova più rilevanti.
Lo faccio con quel pizzico di esperienza in più di chi non ha mai avuto modo di approfondire di più il mondo della politica più da vicino, ma sempre con quello spirito e, se posso utilizzare questo termine, con un grande disinteresse, ovvero anche più interessato di prima ma con meno pressione.”
- Quello che mi ha colpito di più, preparando questa intervista, è come Giuseppe Civati sia sempre stato vicino ai grandi temi d’attualità di questo Paese, anche e soprattutto dopo il 4 Marzo, come dimostra la sua presenza attiva durante la questione della nave Diciotti. Le volevo chiedere, quindi, un suo commento sulla questione migranti e su cosa si dovrebbe fare per gestire la crisi migratoria.
“Innanzitutto, ci si dimette da Segretari, non si viene eletti in Parlamento, ma non ci si dimette mai da cittadini.
Con uno spirito diverso, forse più forte di prima, ho voluto vivere queste esperienze in prima persona perché ci tengo.
La situazione ha completamente perso ogni senso della misura, anche con la vicenda di Riace stessa, come quella della mensa a Lodi, oppure ancora Monfalcone.
C’è un fattore politico, al di là delle questioni amministrative e giudiziarie, cioè che Salvini abbia scelto esempi come Mimmo Lucano, (al di là delle eventuali responsabilità che verranno appurate nelle giuste sedi) come modello da combattere, da denigrare e da distruggere.
Noi a Riace ci siamo stati, ci sono stato io in prima persona, come il gruppo che appartengo, siamo sempre stati molto attenti anche in tempi non sospetti e ci sono due cose che vanno dette:
Primo, l’accoglienza si può fare bene e la si può fare con uno sguardo a quello che succede alle persone, non trattandole solo come numeri o come invasori, e ce ne sono mille di esempi in Italia oltre a Riace di cui si parla pochissimo.
Secondo, c’è un’enorme sproporzione nel valutare fra la nostra paura e quella del migrante, per cui o c’è la morte, come minimo, o le violenze nei campi tipo quelli libici. Violenza che io ho provato a documentare con un libretto (Voi Sapete, ndr) uscito questo inverno, prima che Salvini andasse al governo, per riportare un po’ di senso delle misure e anche un’idea diversa di società, trasmessa non solo da questo governo ma anche dal precedente, e dal comune sentire che vive tutto nel panico e nell’emergenza, quando potrebbe esserci una serie di scelte, a livello europeo ed italiano, molto diverse.“
- Vuole darci un commento a caldo sulla fobia dello spread che c’è in questo Paese e anche sull’aumento di quest’ultimo all’indomani delle linee guida del Bilancio redatte dal Governo?
“Lo spread vero non è tanto e solo quello che segnalano i giornali e le borse, che va trattato per quello che è: degli attori economici che fanno i loro calcoli. In una società capitalistica e a libero mercato funziona così anche per i soldi dei cittadini, purtroppo.
Ma al di là di questo, il vero spread è fra quello che ci possiamo permettere e quello che facciamo, ovvero, fra quella prospettiva di futuro che possiamo garantire realisticamente e le decisioni elettoralistiche. Questo è il vero spread e la vera dispersione che dobbiamo recuperare.
Non è una questione di numeri e basta, ma di scelte e di sostanze. Questo governo fa debito per delle misure sociali che poi verificheremo, visto che c’è ancora molto fumo intorno a tutto questo, e non investe, non progetta nulla a lungo termine, ed è questa la cosa più sbagliata.
Non c’è una logica di “sviluppo” o di “crescita” nel senso di consapevolezza per questo Paese, che siano sviluppi sulle tematiche ambientali o conversione ecologica, come interventi sul nostro patrimonio che possono coniugare l’efficienza energetica al dare casa alle persone, come certe realtà in Europa. Queste sono misure sociali che parlano di prospettiva e non solo di spesa.
Il Governo, da questo punto di vista, è molto deficitario. Potremmo parlare di “deficit di futuro”. Da ultimo, c’è sempre l’eterno ritorno del condono, che ha deluso e che per i politici pentastellati non è solo un autogol ma proprio un’autodistruzione di tutta la loro retorica e di tutta la loro politica. Berlusconi, alla fine, sarà molto contento. Veglia sempre su di noi.“
- Cosa pensa Pippo Civati di queste elezioni europee del 2019?
“Io spero che ci sia un “filo” che unisca tutti i Paesi europei intorno alle stesse battaglie, lo si è sempre detto e non si è mai imboccata la strada. Ci sono pochi e sporadici tentativi in questo senso, fra cui le due cose che mi pare valga la pena ricordare sono la famiglia europea dei Verdi e il progetto di Varoufakis, Diem25, entrambe attualmente in dialogo con Possibile, in Italia.
Quindi la capacità che si deve dimostrare in questi mesi prima delle elezioni è di costruire questa società corale, poiché, è chiaro, l’unica risposta ad un ritorno, tragico per questo continente, del nazionalismo, è riempire di senso politico un’istituzione che l’ha perso via via nel corso degli anni, insieme al contatto con i cittadini.
Qui o si fa l’Europa o si muore, come diceva qualcuno. Non ci sono molte alternative.
Se l’Unione Europa vuole continuare ad essere un riferimento, non solo per i Paesi che la compongono, ma anche per il Pianeta nella sua interezza, deve provare ad immaginarsi in un modo molto più presente e attento al benessere dei suoi concittadini, agli equilibri che ci sono fra i Paesi (penso al fatto che l’Europa ha senso se tassa le grandi multinazionali, se ha una prospettiva di pace e di cooperazione internazionale, se riesce a creare un mercato interno senza disparità, ma con attenzione a chi ne ha più bisogno).
Se questo è il messaggio dei candidati che non solo stanno in Italia, ma di un movimento che attraversa i principali Paesi europei, secondo me si deve andare in questa direzione.
In Germania, per esempio, di fronte alla grande paura del ritorno dei nazisti c’è stata una ricomposizione del quadro politico (con i Verdi) che poi vedremo dove ci porterà.”
- E il partito Possibile in che ottica si porrà, per le elezioni?
“A questo dovrebbe rispondere la Segreteria Nazionale. Io ti posso dire che i principali interlocutori sono, ripeto, la famiglia dei Verdi e Diem25, il composito progetto di Varoufakis.”
- Terminando il commento sull’attualità, le volevo porre una domanda più simpatica: come sarebbe un Governo Civati al posto dell’attuale Governo Conte?
“Non conosco molto Giuseppe Conte, ma trovo il suo ruolo molto discutibile, con i vice ingombranti che si trova…
Quello che mi piacerebbe vedere, rovesciando il discorso di prima, è un Paese che abbia davvero degli obiettivi davanti, magari molto ambiziosi, in termine di rigenerazione della propria società.
Quindi l’attenzione agli ultimi è un elemento che forse condivido, anche se poi i modi sono molto diversi. Questo è un Paese che, chiuso nel proprio nazionalismo, ha degradato la qualità della propria vita e della propria politica. Credo che si debba andare in Europa in modo autorevole, non come al solito a chiedere sconti, mancette o facendo chiudere gli occhi e storcere il naso perché “sono i soliti italiani”.
Una responsabilità e una consapevolezza maggiore anche in virtù della nostra posizione geografica, in mezzo al Mar Mediterraneo, con tutto quello che ne comporta e nello stesso tempo un Paese senza materie prime che deve assolutamente investire sulla ricerca e sull’ambiente, altrimenti fra vent’anni non ci sarà più niente.
Non perché invasi dagli immigrati, ma perché ci ritroveremo noi costretti ad andarcene, senza più mezzi per andare avanti.”
- A cosa è dovuta la disaffezione che si avverte verso la politica in questo Paese?
“La politica è troppo piccola e parla in modo troppo grezzo, per l’idea che debba rappresentare gli istinti più primitivi.
Questa struttura del ragionamento politico allontana le persone, ad eccezione gli appassionati e i matti, due concetti che spesso si presentano contemporaneamente. La politica, non avendo più quelle funzioni collettive, ma solo funzioni molto personali e carrieristiche, finisce per non rappresentare nessuno. Lo dico con dispiacere; per come la vedo io è una vera e propria tragedia.“
- Cosa distingue allora Giuseppe Civati da tutti gli altri attori politici? Come si costruisce una figura politica?
“Posso utilizzare una parola che si sente poco, ultimamente? Direi un po’ di curiosità verso soluzioni, modelli e soprattutto verso ciò che ci aspetta. Questa è la differenza che sento ed è una differenza più personale che politica, lo riconosco.
Mentre tutti erigono muri, noi ci troviamo dalla parte sbagliata, come dicevo prima, perché, affacciati come siamo nel Mediterraneo, se ci chiudiamo dentro, finiremo per scoprire che non abbiamo né i mezzi né gli strumenti per andare avanti.
Io vorrei un Paese che sa stare nel mondo, non come capo (come diceva qualcuno qualche decennio fa e che ora sembra essere tornato di moda) ma senza nemmeno essere una scheggia impazzita.
Poi, ci sono mille ragioni diverse, le più diverse e a volte le più incredibili, per diventare rappresentanti politici. Il mio consiglio è sempre stato quello di studiare, perché è l’unico modo per fare qualsiasi cosa, ma, la politica soprattutto è avere qualcosa che si è studiato, che si è letto e che si è anche verificato nella pratica, che abbia un qualche legame e un qualche riferimento con la realtà. Abbiamo esempi di carriere folgoranti che non si sa su cosa siano fondate e dove andranno a parare. Io faccio loro i miei migliori auguri, ma non sono esattamente i modelli che indicherei ai più giovani.”
- Penultima domanda, forse provocatoria e cattiva ma necessaria: come si affronta una sconfitta politica? Come affronta lei, Giuseppe Civati, una sconfitta come quella del 4 Marzo e come la vive invece tutto l’ambiente del centro-sinistra?
“La mia sconfitta, personalmente, mi tange poco. Un po’ lo sospettavo, all’epoca della campagna elettorale, ora lo possiamo dire, ero un po’ sconfortato e avevo cercato di farlo notare. Ma, del resto, sono stato eletto tante volte in passato, quindi alla mia non elezione ci penso poco, non lo metto nemmeno all’ordine del giorno.
Il vero problema è quando noti che tutta l’area della Sinistra, largamente intesa fino alle propaggini più moderate, subisce una sconfitta pesante, pesantissima, che è anche culturale, con le responsabilità di cui si è già sentito parlare ma che è anche più profonda di così.
Vorrei sentire toni che non fossero tanto di autodafé che non sanno mai essere pienamente sinceri, ma magari una riflessione e un’analisi più profonda sul perché la Sinistra si sia inimicata mezzo mondo.
Questo dovrebbe superare tutte le varie sigle ed etichette che usiamo per distinguere il mondo della politica. Evidentemente, è una questione sociologica e culturale molto, ma molto più profonda, che ha una relazione forte con il modello economico che ci è stato imposto, il quale lascia i cittadini sempre più isolati e precari, spesso male informati, ma, soprattutto, sempre più arrabbiati. Già nel 2013 proposi questa diversa visione e sappiamo come andò a finire.“
- Per concludere, vuole fare un commento sul Congresso del Partito Democratico?
“No, meglio di no. Per ora diciamo proprio no. Là siamo alle scaramucce, ormai.”
Articolo di Andrea Angeletti, edit di Matteo Manera, tutti i virgolettati sono voluti dall’intervistato.
Ringraziamo Giuseppe Civati per la gentile disponibilità.