Settantacinque anni fa, con la doppia chiamata alle urne del 2 giugno 1946, le donne italiane fecero finalmente il loro ingresso nella sfera pubblica nazionale. Fino a quel momento, infatti, i diritti politici erano stati una prerogativa maschile: solo gli uomini potevano eleggere ed essere eletti.
Già nel 1945, in realtà, tredici donne erano entrate nei palazzi delle istituzioni, ma non tramite elezione popolare. Il governo, infatti, aveva istituito una Consulta composta da 430 membri, nominati su indicazione dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Si trattava di un organo consultivo che avrebbe affiancato l’esecutivo in attesa delle elezioni e che comprendeva, appunto, anche tredici donne. Una di loro, Angela Maria Guidi (Democrazia Cristiana), fu la prima donna a parlare a Montecitorio. Che cosa disse? Semplicemente che non c’era nulla da temere per l’ingresso delle donne in politica, perché donne e uomini insieme non avrebbero mai potuto fare peggio di quanto gli uomini avessero fatto da soli.
2 giugno 1946, ventuno donne nella Costituente
Le prime donne a essere democraticamente elette furono circa duemila consigliere, vittoriose alle elezioni amministrative che si tennero in alcuni comuni nella primavera del 1946. Dopodiché, le urne del 2 giugno sancirono l’elezione di ventuno donne tra i membri dell’Assemblea Costituente, il primo Parlamento dell’Italia libera dal fascismo. Erano donne istruite, ben quattordici avevano una laurea, e appartenevano a tutti i principali partiti (DC, PCI, PSI). Cinque di loro ‒ Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Angela Gotelli e Nilde Iotti ‒ entrarono anche nel gruppo dei settantacinque che scrissero la Costituzione.
Questa rappresentanza femminile, che oggi può sembrare estremamente limitata (21 donne su 556 membri della Costituente, cioè il 3,78%) per l’epoca era qualcosa di rivoluzionario. E, come sempre accade quando un cambiamento importante si fa strada, non mancarono le voci contrarie. Papa Pio XII, ad esempio, ammonì che la donna doveva rimanere innanzitutto “regina del focolare”.
Inoltre, in occasione della prima seduta della Costituente, il 25 giugno 1946, il giornale Risorgimento Liberale dedicò un articolo agli outfit delle donne. L’indomani un’associazione femminile bocciò il pezzo, dichiarando che concentrarsi solo sull’aspetto delle elette significava sminuire il contribuito che esse avrebbero potuto dare all’Assemblea. Contributo che si rivelò poi fondamentale per la scrittura di alcuni articoli della Costituzione.
Articolo 3: l’uguaglianza dei cittadini
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (art.3, comma 1)
L’inciso “senza distinzione di sesso” fu preteso dalle madri costituenti, per mettere nero su bianco una parità che molti contestavano.
Articolo 29: il matrimonio
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. (art.29)
Questa formulazione non era scontata, perché il codice civile del 1942, mantenuto dopo il crollo del fascismo, aveva confermato la subordinazione della moglie al marito. Tuttavia, le donne della Costituente ‒ tutte, senza distinzioni di partito ‒ vollero che la Costituzione riconoscesse l’uguaglianza tra i coniugi.
Una frattura ci fu, invece, sull’indissolubilità del matrimonio: le donne della DC, in linea con il loro partito, vedevano il matrimonio come un vincolo sacro e volevano che la Costituzione lo definisse “indissolubile”; le donne di sinistra, invece, proponevano una visione laica che, dopo un lungo dibattito, ha prevalso.
Articolo 37: il lavoro femminile
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […](art. 37, comma 1)
Anche questo articolo è frutto di una saldatura del fronte femminile, al di là delle differenze partitiche, come pure la successiva legge del 1950 a tutela delle lavoratrici madri. Preparata da Teresa Noce (PCI), la legge passò grazie al lavoro di “cucitura” di Maria Federici (DC), che assicurò la maggioranza in Parlamento.
Articolo 51: gli uffici pubblici
Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge. (art.51, comma 1, versione 1948)
Una prima stesura della comma terminava con la dicitura “conformemente alle loro attitudini”. Teresa Mattei e altre, tuttavia, videro in questa formula un’implicita discriminazione nei confronti delle donne e si batterono perché fosse eliminata.
Teresa Mattei propose anche l’apertura alle donne della magistratura, ma fu derisa. Giovanni Leone, ad esempio, dichiarò che le donne potevano, secondo lui, operare solo in contesti come i tribunali minorili, dove la sensibilità femminile sarebbe stata adatta. Tuttavia, «negli alti gradi della magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde, per tradizione, a queste funzioni». Questa non era una posizione isolata, ma una convinzione diffusa che si basava sulla teoria dell’irrazionalità femminile (ne abbiamo già parlato in questo articolo).
1946-2021. Il progetto delle madri costituenti è compiuto?
Il lavoro delle donne della Costituente è stato fondamentale per aprire la strada a molti dei cambiamenti dei decenni successivi. La Costituzione italiana, infatti, non ha trovato immediata applicazione, ma ha indicato la via.
L’articolo 29, ad esempio, si è concretizzato nella riforma del diritto di famiglia del 1975. L’articolo 37 è stato tradotto in legge nel 1977 da Tina Anselmi, prima ministra della storia italiana. L’impegno di Teresa Mattei si è coronato con l’ingresso delle donne in magistratura nel 1963. Non tutto, però, è compiuto. Il già citato articolo 37 aspetta ancora una piena e sostanziale applicazione e in troppi ambiti le donne incontrano tutt’oggi molti ostacoli.
E che ci sia sempre del lavoro da fare lo dimostrano anche i giornali, che a volte fanno da specchio alla società italiana: nel settembre 2019, in occasione del giuramento del governo Conte bis, innumerevoli articoli hanno commentato l’abito blu elettrico di Teresa Bellanova (Italia Viva), allora ministra dell’Agricoltura. Come Risorgimento Liberale, nel 1946.