Il sistema proporzionale è il sistema elettorale migliore per garantire la corretta rappresentatività del Parlamento

Alessandro Ravasio, laureato in Linguaggi dei Media, bergamasco amante della polenta taragna e sollevatore di polemiche. Con un Negroni o una birra posso parlare tutta la sera di politica e di sport. Sto ancora aspettando di provare l'emozione di vincere una tornata elettorale.


Durante il lungo discorso alla Camera del 18 gennaio, il Premier Giuseppe Conte ha parlato – tra le altre cose – anche della nuova legge elettorale. Con l’approvazione definitiva del taglio dei parlamentari, sarà necessario emanare una nuova legge elettorale per poter eleggere il prossimo Parlamento. In quel discorso, Conte ha dichiarato che “Il Governo, chiaramente nel rispetto delle determinazioni delle forze parlamentari, si impegnerà a promuovere una riforma elettorale proporzionale, quanto più possibile condivisa, che possa coniugare le ragioni del pluralismo con l’esigenza di assicurare stabilità al sistema politica”.

Proprio da queste dichiarazioni è dunque ripartito un dibattito, passato in sordina rispetto alla vastità della crisi che sta attraversando il nostro sistema politico e il Paese, su quale sia il sistema elettorale migliore tra uno proporzionale e uno maggioritario. Volendo trasportare quel dibattito anche sulle pagine del Prosperous Network, Alessandro Ravasio e Daniele Cornia hanno voluto portare avanti la causa di ciascuno dei due modelli, in un dibattito a distanza. In questo articolo, Alessandro perorerà la causa del sistema proporzionale; nel prossimo articolo invece Daniele sosterrà il sistema maggioritario.

A difesa del sistema proporzionale, premesse

La mia riflessione sulla validità del sistema proporzionale come sistema migliore per l’elezione del Parlamento esula dal caso singolo di questa crisi di governo o di questo scenario politico contingente.

Ritengo infatti che un sistema elettorale, una volta disegnato e diventato legge, debba rimanere in vigore il più a lungo possibile, con piccole modifiche circostanziate solo in caso di storture di sistema evidenti. Questo perché la legge elettorale definisce le regole della competizione partitica: stravolgere le regole troppo spesso – o come nel caso italiano a ogni legislatura – snatura completamente la competizione favorendo l’uno o l’altro schieramento in base a chi ha promosso la legge, che purtroppo viene pensata cercando di sfavorire l’avversario invece che pensare alla salute e sostenibilità del sistema politico e partitico.

Infatti, cambiare spesso legge elettorale (e magari complicarla anche a ogni nuova tornata) non fa altro che disorientare i cittadini generando – di conseguenza – disaffezione dalla politica, facendo così precipitare la qualità della democrazia.

Ecco perché tutte le mie considerazioni – condivisibili o meno, questo sta a voi lettori – saranno tutte in ottica di medio-lungo periodo, perché è in quest’ottica che inscrivo e immagino un sistema elettorale.

Perché un sistema proporzionale

La Costituzione italiana prevede che il popolo italiano – inteso come somma dei cittadini – elegga tramite libere elezioni il Parlamento, non il Governo. Un discrimine per me fondamentale, e che costituisce la mia prima argomentazione a favore del sistema proporzionale. L’Italia è una Repubblica Parlamentare, e il Parlamento è il cuore e il fulcro di tutto il nostro sistema politico-istituzionale, il luogo dove noi cittadini siamo rappresentati. Proprio per questo ritengo che il solo modo per garantire la piena rappresentanza dei cittadini sia tramite un sistema proporzionale puro, rispettoso dei reali rapporti di forza tra i partiti politici così come li supportano i cittadini. Come direbbe Luciano Spalletti “non c’è altra strada”.

Mi si potrebbe obbiettare che il proporzionale storicamente frammenta il Parlamento, abbassando la governabilità. Un’obiezione in parte corretta, ma ritengo sia più giusto – in virtù di quanto detto prima – che la rappresentanza abbia un peso maggiore rispetto alla governabilità. Se il Paese è frammentato è giusto che anche il Parlamento rispecchi questa frammentazione politica.

Frammentazione che tra l’altro non è una condizione immutabile, ma sussiste solo se i partiti non ottengono un consenso sufficiente, che si divide tra tutti i partiti in gioco. Ottenere consenso è uno degli obiettivi della competizione elettorale: se un partito vuole governare è giusto che lavori per ottenere tale importante ruolo allargando la propria base di consenso. E di riflesso posti in Parlamento. Ottenere i seggi parlamentari necessari per governare tramite calcoli distorsivi interni al sistema (come i premi di maggioranza) sono a mio parere strumenti scorretti, scorciatoie create per non confrontarsi sinceramente con i cittadini.

Problemi del maggioritario

Gli Stati Uniti

Non bisogna dimenticare che Paesi che adottano il sistema maggioritario non sono democrazie in salute, anzi stanno avendo comunque problemi di governabilità. Dei problemi che sta attraversando la democrazia americana vi avevamo già scritto, con tutte le distorsioni di rappresentanza a favore del Partito Repubblicano garantite anche grazie al sistema maggioritario. Proprio il maggioritario ha permesso a Trump nel 2016 di diventare presidente pur perdendo il voto popolare.

Una situazione estrema, certamente, ma che resta pur sempre possibile e per me da impedire con ogni mezzo. Ma al di là della presidenza, il sistema maggioritario americano si applica anche all’elezione dei rappresentanti al Congresso, con il subentrare di pratiche deplorevoli come il gerrymandering.

La Francia

In Europa lo Stato a maggiore tradizione maggioritaria è la Francia, con un sistema maggioritario a doppio turno che genera distorsioni di rappresentanza ancor più evidenti. Questo sistema fu disegnato da Charles De Gaulle nel 1958, uomo di destra che non ha mai nascosto il suo risentimento verso i partiti e il parlamento. La Costituzione della Quinta Repubblica, ancora in vigore con alcune piccole modifiche, riflette questa sua impostazione, reggendosi su un maggioritario a doppio turno disegnato apposta per sfavorire una determinata area politica e favorirne altre.

Durante la prima elezione con questo sistema, per esempio, l’alleanza a sostegno del partito gollista arriverà a prendere il 70% dei seggi. Questo grazie al fatto che ai ballottaggi nei singoli collegi gli altri partiti convergevano verso quello gollista. Il grande penalizzato fu il Partito Comunista Francese, che ottenne diversi seggi in meno rispetto al suo reale consenso nel paese perché impossibilitato a fare alleanze a causa della conventio ad excludendum.

Elezioni legislative del 1958 in Francia, che mostrano perché il maggioritario, a differenza del sistema proporzionale, distorca i rapporti di forza tra i partiti
Le elezioni legislative del 1958 furono le prime della Quinta Repubblica. Il Partito Gollista (Unione per la Nuova Repubblica) fu nettamente favorito dal nuovo sistema maggioritario, al contrario del Partito Comunista Francese, che ottenne solo 10 seggi nonostante il 20% dei suffragi. Il secondo partito di Francia risultò il penultimo per seggi: inaccettabile. Fonte: Wikipedia

Venendo ai giorni nostri, Macron è attualmente Presidente della Francia dopo aver ottenuto solo il 24% dei voti. In Italia, con tutte le polemiche che ogni giorno sentiamo sulla legittimità del Governo, saremmo in grado di accettare che un partito che ha ottenuto meno del 30% dei consensi possa avere magari il 40/45% dei seggi parlamentari – e quindi governare – grazie a un premio di maggioranza o tramite l’elezione di rappresentanti su base maggioritaria e territoriale come negli Stati Uniti?

L’Italia

Sempre in Italia abbiamo avuto prova di quanto un sistema maggioritario sia fallimentare. Nella stagione post Tangentopoli – quando il sistema proporzionale venne scorrettamente associato con la partitocrazia – la legge elettorale fu cambiata passando a un sistema maggioritario. L’idea alla base era di creare una democrazia fondata su due grandi partiti sul modello americano: uno di centrodestra e uno di centrosinistra, pensando che questo avrebbe risolto i problemi di governabilità del Paese. Un esperimento fallito immediatamente.

La Legge Mattarella – approvata nel 1993 – fu la prima legge elettorale con sistema maggioritario (nello specifico, 75% dei seggi con maggioritario e 25% proporzionali) e rimase in vigore per tre legislature. In queste tre legislature, dal 1994 al 2005, si succedettero otto governi, tradendo le promesse di governabilità per cinque anni con la quale era stata promossa e pubblicizzata. La prima legislatura durò poi solo due anni, con due governi diversi (Berlusconi I e Dini).

Senza dimenticare poi come fu introdotto il primo premio di maggioranza nella storia repubblicana nel 1953. De Gasperi si era accorto di come la DC avesse perso consensi nel Paese a favore del PCI, così decise di approvare con un voto di fiducia della sola maggioranza la legge 148/1953, nella quale si assegnava un premio di maggioranza del 65% dei seggi parlamentari per la lista che fosse riuscita a ottenere il 50% dei voti. Una legge immediatamente soprannominata Legge Truffa, e che fu abrogata un anno più tardi visto che la DC non riuscì a ottenere il tanto agognato premio di maggioranza.

Le virtù di un sistema proporzionale

In ottica di medio-lungo periodo, il sistema proporzionale presenta altri vantaggi. Per poter formare un governo, i partiti sarebbero costretti giocoforza a creare coalizioni in Parlamento per raggiungere la maggioranza dei seggi. Alleanze post elettorali, non coalizioni create ad hoc per raggiungere un premio di maggioranza nel timore di non entrare in Parlamento. I partiti sarebbero obbligati a dialogare tra di loro e collaborare per mantenere saldo il governo durante il loro mandato. Per il loro stesso bene, dunque, i partiti e i vari esponenti politici dovrebbero smettere di delegittimarsi a vicenda, così da poter giustificare poi le alleanze parlamentari e governative anche di fronte ai propri elettori.

Il sostegno al sistema proporzionale non è nostalgia della Prima Repubblica. Nel 1993 Pietro Bosco agita la forca in Parlamento
Il sostegno a un sistema proporzionale non è nostalgia della Prima Repubblica. Anche perché pure durante la Prima Repubblica la politica era una cosa grave ma non seria. In un giornale del 1993 la cronaca dell’agitazione della forca da parte di Pietro Bosco, deputato della Lega Nord, per spaventare gli indagati di Mani Pulite. Un episodio mostrato anche nella serie 1993. Anche allora le buffonate in Parlamento c’erano eccome.

Un cambiamento che sicuramente innalzerebbe anche la qualità del dibattito politico, che potrebbe concentrarsi davvero sulla discussione dei temi al centro dell’agenda e dell’interesse pubblico. In più, su alcune questioni e decisioni di interesse trasversale come il Recovery Fund, si potrebbero raggiungere accordi più ampi rispetto alla sola maggioranza di governo.

Senza parlare poi della proliferazione della pratica del voto utile, che penalizza i partiti più piccoli impedendo loro di crescere. La maggior parte delle volte poi si tratta solo di fenomeni di distorsione mediale dato dal modo di raccontare la competizione elettorale dai media, che dipingono questo o quel politico come favorito, spostando voti a suo favore non per una adesione al suo programma ma per paura che il proprio voto si riveli inutile.

Un sistema che necessita di correttivi

Siccome tuttavia queste considerazioni sono spesso – e purtroppo mi verrebbe da aggiungere – relegate al campo dell’utopia, per completare e rendere più saldo il sistema proporzionale, ritengo sia necessario introdurre alcuni correttivi, che però non vanno a stravolgere nella sostanza il cuore del sistema: la corretta rappresentanza dell’elettorato del Paese.

Soglia di sbarramento

In primo luogo introdurrei una soglia di sbarramento al 4%, che ritengo il giusto compromesso tra inclusività di quante più forze politiche possibili e impedire che in Parlamento vi siano troppi gruppi parlamentari da uno o due seggi. La frammentazione e la molteplicità delle opinioni può essere una virtù del Parlamento se rappresenta però una fetta rilevante di cittadini.

Legislatura di quattro anni

Secondo, accorcerei la durata della legislatura a quattro anni, contro i cinque attuali. In un contesto turbolento e instabile come quello italiano, questo permetterebbe di avere un orizzonte temporale comunque ragionevolmente lungo per governare con profitto il Paese senza avere come una spada di Damocle il traguardo di governare per cinque anni. Un obiettivo che nessun governo italiano ha mai raggiunto nella storia repubblicana. Inoltre, se lo scopo principale è rappresentare il più fedelmente possibile il corpo elettorale in Parlamento, una scadenza di legislatura più ravvicinata permetterebbe di non avere uno scollamento troppo grande tra sentimento del paese e Parlamento con il passare del tempo. Il risultato sarebbe sicuramente un Parlamento e un Governo più legittimi agli occhi della pubblica opinione.

Introdurre la sfiducia costruttiva

Infine, la riforma più importante che introdurrei per stabilizzare questo sistema è l’istituto della sfiducia costruttiva su modello tedesco. Il nostro Paese purtroppo ha un problema con la stabilità governativa, inutile negarlo. Il prossimo governo che si formerà sarà il numero 67 in 75 anni di storia repubblicana. Il sistema proporzionale certamente non è da solo in grado di migliorare questa tendenza. Per questo è necessario adottare una misura virtuosa e che in Germania ha sempre funzionato bene, garantendo autorevolezza, solidità e tranquillità al Governo e alla maggioranza parlamentare che lo esprime. La sfiducia costruttiva consentirebbe quindi ai governi di non dover temere crisi di governo come quelle che si è verificata questo gennaio (ma non solo, la nostra storia politica è piena di crisi di questo tipo) e dunque di governare con maggiore sicurezza e serenità.

Non ascoltate chi vi dice che l’unico modo per governare è con premi di maggioranza, voti utili o vittorie al centro. Cercano solo di giocare al ribasso con il vostro voto. Vota e fai votare per il sistema proporzionale puro.


Questo articolo è la prima parte di un approfondimento sui sistemi elettorali italiani. Puoi leggere la seconda parte, dedicata a sostegno del sistema maggioritario, qua.