Laureato in Studi politici presso Cesare Alfieri di Firenze, attualmente Studente magistrale di Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica presso l'Università di Firenze. Appassionato di politica, storia e giornalismo.

In seguito al risultato negativo della Lega alle ultime elezioni regionali, in molti hanno riscontrato la mancanza in Italia di una destra liberale.

Le posizioni, spesso radicali della Lega di Salvini, non sono piaciute all’ elettorato regionale. Così, molti giornalisti e opinionisti politici hanno cominciato a sostenere, in modo più o meno favorevole, un “processo di moderazione” della Lega verso lidi più liberali.

L’area liberale, quell’area politica che sembra mancare alla politica italiana, che molti richiamano e “desiderano”, forse a livello elettorale non varrebbe, oggi, quasi niente.

Quando pensiamo a importanti figure politiche del liberalismo, o per meglio dire del neoliberismo, pensiamo sicuramente al duo Thatcher- Reagan, due personaggi politici che hanno fortemente ispirato la nuova corrente politica italiana formatasi dalle ceneri di tangentopoli.

Margaret Thatcher dal 1975 è stata leader del partito conservatore britannico. Le venne affibbiato il soprannome Lady di ferro per il suo ben noto carattere deciso e per la fermezza del suo programma elettorale: la sua politica economica aveva un’impostazione nettamente neoliberista.

Thatcher riteneva che dovesse essere rilanciata la libertà d’azione degli imprenditori, che considerava soggetti fondamentali nel campo economico. Attaccava duramente il welfare state, nel quale non vedeva un sistema di garanzie sociali, quanto una macchina che alimenta la dispersione e la distruzione delle risorse pubbliche. Riteneva inoltre che il flusso complessivo della spesa pubblica doveva essere contenuto, poiché un’eccessiva immissione di moneta da parte dello Stato non avrebbe fatto altro che alimentare l’inflazione.

Già alle elezioni del 1979 uno dei suoi punti programmatici era la diminuzione della spesa pubblica, ritenendo tale manovra il presupposto necessario per diminuire la pressione fiscale, soprattutto sulle fasce di reddito più elevate. Il ragionamento che sta dietro a questa manovra è il seguente: se gli imprenditori, che percepiscono redditi alti, sono tassati di meno, hanno a disposizione più risorse, che possono destinare a nuovi investimenti.

L’idea di Lady di Ferro era quella di indirizzare prevalentemente gli investimenti verso le innovazioni tecnologiche, in modo tale che i sistemi produttivi britannici fossero meno obsoleti e in conseguenza a questo, l’economia britannica nel suo complesso ne avrebbe beneficiato in termini di ripresa economica.

Lo stile neoliberista thatcheriano verrà attuato dal 1979 al 1990, periodo in cui Lady di Ferro rimase al governo del paese.

Il tema dell’inefficienza del Welfare State, viene ripreso con decisione dalla Thatcher in un’intervista rilasciata per il giornale femminile “Woman’s Own” del 23 settembre 1987. Un passo memorabile delle dichiarazioni di quel giorno è il seguente: “There is no such thing as society” – “La società non esiste”, perché – spiega Thatcher – esistono gli individui e le responsabilità che devono essere capaci di prendersi. E ancora:

Penso che abbiamo attraversato un periodo in cui troppi bambini e troppa gente pensava cose del tipo: “Ho un problema, ci deve pensare il governo a risolverlo”, oppure “Ho un problema, andrò a farmi dare un sussidio per risolverlo!”. Non c’è Niente del genere! Ci sono singoli uomini e singole donne e ci sono famiglie e nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone, e le persone pensano prima di tutto a loro stesse. È un nostro dovere badare a noi stessi (…), la gente ha avuto troppo in mente i propri diritti senza i doveri, perché non ci sono diritti senza aver prima assunto un obbligo.”

Le strategie politiche della Thatcher in Inghilterra trovano a distanza di pochissimo tempo, un imitatore negli Stati Uniti. Si tratta del presidente Ronald Reagan, che come Lady di Ferro, resta a lungo alla guida degli USA, dal 1981 al 1989. Le leve politiche con le quali Reagan ha vinto le elezioni del novembre 1980 riguardavano maggiormente temi di politica estera che questioni di politica economica.

Reagan si è presentato come l’interprete della cosiddetta moral majority (“maggioranza morale), ovvero di quella parte di opinione pubblica influenzata dalle numerose confessioni cristiane disseminate negli USA, di convinzioni conservatrici, specie in tema di rapporti sessuali e relazioni familiari.

Sul terreno del patriottismo Reagan si presenta come il difensore della supremazia americana, giustificata dalla superiorità morale che gli Stati Uniti – secondo lui – possono vantare in quanto paladini della libertà e della democrazia.

Le strategie politiche che attuano Thatcher e Reagan in ambito economico sono molto simili, gli elementi fondamentali dei due leader neoliberisti sono: l’abbassamento del livello di imposizione fiscale, il ridimensionamento della spesa per il welfare e lo snellimento/eliminazione delle norme che pongono limiti (sindacali, ambientali e sociali) all’iniziativa imprenditoriale.

Sul fronte italiano, il partito che ha preso più ispirazione dalla politica neoliberista è sicuramente Forza Italia di Silvio Berlusconi. Attivo dal 18 gennaio 1994, dalle ceneri della prima repubblica, Forza Italia è un melting pot di culture politiche: cattolica, liberale, conservatrice e moderata.

“Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare […]”

“Di questo polo delle libertà dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha generosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia unitaria. L’importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie occidentali. […]”

“Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà […]” (La discesa in campo di Berlusconi, 26 gennaio del 1994).

La seconda repubblica si è caratterizzata per una logica dell’alternanza al potere tra le coalizioni politiche di Cdx e Csx, dove il Cdx rappresentava l’area moderata liberale, mentre il Csx l’area progressista riformista.

Con l’avvento del primo e politicamente rilevante movimento populista della “seconda Repubblica”, il M5S, lo scacchiere della politica italiana è cambiato.  Con la fine del governo Berlusconi del 2011 e le successive elezioni vinte dal Csx, Forza Italia ha avviato una fase di declino inesorabile, fino alla totale irrilevanza di oggi.

Dobbiamo inoltre considerare quanto Forza Italia possa essere considerato un partito liberale, le leggi ad personam e il garantismo selettivo sono solo alcune delle caratteristiche che rendono FI un “partito personale” più che un vero e proprio partito di matrice liberale.

Quando parliamo della mancanza in Italia di un partito liberale, o quantomeno di una forza con principi e valori simili, è vero. Italia Viva, Forza Italia e Azione, le forze politiche che fino ad oggi sembravano rappresentare un barlume di rappresentanza liberale, non sono altro che tre partiti personali senza una troppo marcata identità politica.

Bisogna constatare anche che, così come non esiste una forza liberale vera e propria, non esiste nemmeno un sostanzioso elettorato pronto a votarla, o almeno questo dicono i numeri.

Quando si parla di una possibile svolta moderata della Lega, sostenuta anche dal sottosegretario Giorgetti e favorita, forse, da una nuova leadership a guida Zaia, riteniamo che non sia attuabile per due motivi:

  1. La Lega Salvini premier ha troppe caratteristiche populistico – radicali per fare una svolta drastica di questo tipo.
  2. La Lega ha raggiunto il 37% nei sondaggi politici con una politica tutt’altro che liberale.

“Fedele al vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, Matteo se ne andrà schifato dal gruppo sovranista europeo, frequentato da nazionalisti xenofobi come Alternative Für Deutschland, e pazienza se darà un dispiacere all’amica Marine Le Pen: i liberali degni del nome mai si aggregherebbero a certe comitive. Taglierà i ponti con Casa Pound, con gli estremisti di destra, con le teste rasate; se la Meloni vorrà rincorrerle, buona fortuna a lei e a tutti i Fratelli d’Italia. Non solo: estirperà dal suo lessico espressioni ducesche tipo “noi tireremo dritto” o “chi si ferma è perduto”.

Sfogliando qualche classico liberale (ci sono intere biblioteche a disposizione) Salvini apprezzerà l’importanza dei “checks and balances”, degli organi di garanzia, delle tanto bistrattate guarentigie parlamentari. Subirà una mutazione antropologica, frequentando più spesso le istituzioni e di meno le piazze. Scoprirà che il popolo non ha sempre ragione, anzi quasi mai purtroppo, perciò meglio non riempirsene la bocca. Si pentirà di aver detto, dopo il referendum sul taglio degli onorevoli, che le Camere non sono legittimate a scegliere il successore di Mattarella. Si mangerà le mani per aver voluto reddito di cittadinanza e “quota 100”, che del liberalismo economico sono agli antipodi. Diventerà paladino implacabile del rigore, dei conti in ordine, dei risparmi pubblici e privati, del diritto di fare impresa.” (Ugo Magri, Se Salvini diventasse liberale, Huffpost).

In un partito che ha perso circa il 10% nei sondaggi, dove la ricetta politica non sembra funzionare come prima, ci aspettiamo sicuramente una nuova strategia politica.

Vedremo come reagirà il capitano, sicuramente non ci aspettiamo una “rivoluzione liberale”, perché l’agenda liberale di solito non porta voti. Forse cominceremo a vedere posizioni più moderate su certi temi e magari un avvicinamento reale al Partito Popolare Europeo.

“Chi ne è convinto dimentica piuttosto in fretta i fattori che hanno condotto al clamoroso risultato leghista alle europee del maggio 2019. Salvini affrontò quelle elezioni da ministro dell’Interno di un governo che, a torto o a ragione, veniva presentato all’opinione pubblica come quello dell’alleanza fra i populisti e godeva nei sondaggi dell’approvazione di due terzi degli italiani. Un ministro che si distingueva per l’irruenza polemica, per i provvedimenti drastici (quanto efficaci, in questo contesto non conta appurare) assunti e pubblicizzati in materia di contrasto all’immigrazione e di tutela della sicurezza, per le costanti critiche all’Unione europea e, last but not least, per la periodica riaffermazione del suo disinteresse per il discrimine sinistra/destra, definito a ripetizione superato e ininfluente. La Lega del 35 per cento era, quindi, dichiaratamente populista e trasversale. E sottraeva voti al M5s, alla destra e perfino alla sinistra. Che questo non piacesse a Forza Italia e a Giorgetti era nell’ordine delle cose. Ma funzionava.

La scelta suicida del Papeete ha avviato l’inversione di tendenza. E la mancata spallata emiliano romagnola ha causato uno choc. Gli errori tattici e strategici si sono infittiti nell’emergenza Covid-19, con continui cambi di rotta. Da ciò il riflusso nell’ottica di coalizione, che però non pare funzionare. Forse è venuto, per Salvini e i suoi, il momento di porsi una domanda: c’è un’alternativa convincente, per il suo elettorato potenziale, a una Lega integralmente populista? Il dubbio è quantomeno lecito.” (Marco Tarchi, Esiste veramente un’alternativa alla Lega populista di Salvini? Domani editoriale)