Luciano Pellicani fu un grande giornalista, storico, politologo e scrittore. Un intellettuale completo ma soprattutto un socialista. Fu un pensatore colto, uno di quelli che aveva dedicato la vita alla riflessione culturale.
Laureatosi in scienze politiche alla Sapienza di Roma con una tesi su Gramsci, si distaccò dall’ideologia abbracciata nel processo di socializzazione primaria, il Comunismo: “il comunismo non era una buona idea realizzata male. Era proprio un’idea sbagliata”.
Con quella cesura ideologica, Pellicani divenne uno tra i principali pensatori e promotori italiani del socialismo liberale. Un riformista che ottenne ampia visibilità con la pubblicazione dell’articolo “il Vangelo socialista” (L’Espresso, 27 agosto 1978). L’articolo ottenne ampia visibilità grazie soprattutto alla firma posta da Bettino Craxi, anche se la riflessione intellettuale non era minimamente farina del suo sacco.
Il pezzo fece scandalo. In poche righe Craxi e Pellicani tagliavano i ponti con i dogmi del marxismo–leninismo e con la tradizione rivoluzionaria, aprendo una via per conciliare il socialismo con il mercato e la società liberale.
“Fu Enrico Berlinguer ad aprire lo scontro ideologico. Con una lunga intervista a Scalfari su Repubblica, il 2 agosto, in cui il segretario del Pci aveva rivendicato la «complessa eredità» del leninismo, affermando che «il Pci è nato sull’onda della rivoluzione proletaria dei soviet, e su impulso di Lenin»: «siamo continuatori, ma anche critici e interpreti» di quel «patrimonio ricchissimo e complesso». E aveva concluso: «La verità è che ci si vorrebbe sentir dire: ci siamo sbagliati a nascere, evviva la socialdemocrazia, unica forma di progresso politico e sociale. Allora i nostri esaminatori si direbbero soddisfatti: “la risposta è esatta, sciogliete il partito e tornatevene a casa”». (fonte L’Espresso).
La produzione del “saggio su Proudhon”, realizzato da Craxi, fu un rimaneggiamento del saggio (commissionato al Dottor Pellicani) su leninismo e socialismo, per un volume dell’Internazionale socialista in onore di Willy Brandt: “Mi trovavo all’inaugurazione della libreria Mondoperaio e Craxi era presente. Mi disse che mi avrebbe dovuto parlare c’incontrammo e mi parlò di un volume voluto dall’Internazionale socialista da fare in onore di Willy Brandt per il quale tutti i segretari dovevano dare qualcosa. Scrissi una quindicina di cartelle.” (Dichiarazione di Luciano Pellicani.)
Nel saggio, Pellicani riportò nell’alveo della cultura socialista Pierre–Joseph Proudhon. Vissuto tra il 1809 e il 1865, divenne promotore di un socialismo liberale, anarchico, mutualista e contrario alla violenza. Fu il primo pensatore socialista ad individuare la rottura tra la società socialista e la società comunista.
«Avevo citato molti autori, ma Proudhon fece più effetto» (Pellicani)
Nella seconda parte della sua attività politico-teorica Proudhon dichiarò che la proprietà privata era la condicio sine qua non per la conservazione delle libertà personali. Rifacendosi a Proudhon, Pellicani dichiarava esplicitamente una rottura con il socialismo marxista.
“Da una parte il comunismo, che vuole la soppressione del mercato, la statalizzazione integrale della società e la cancellazione di ogni traccia di individualismo. Dall’altra il socialismo, che progetta di instaurare il controllo sociale dell’economia e lavora per il potenziamento della società rispetto allo Stato e per il pieno sviluppo della personalità individuale”. (dal Vangelo Socialista).
Il saggio su Proudhon fu uno degli ultimi processi di trasformazione politico–ideologica della Sinistra italiana. Un atto di cesura insindacabile tra socialismo riformista e massimalista. Forse, ad oggi, l’ultimo atto di riforma della sinistra, che da ormai più di 20 anni sembra ancorata ai fantasmi.
Forse ciò che manca alla Sinistra oggi è una dichiarazione d’identità, non come quella di Pellicani, ma nel suo stile, riformista. Così da non perdere la direzione anche quando cala il buio del populismo.