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Studentessa di Lettere moderne all’Alma Mater Studiorum, vivo divisa tra Prato e Bologna. Nell’attesa (e nella speranza) di diventare un giorno giornalista, mi dedico alla letteratura e alla politica. Nel tempo libero scrivo, vado in palestra, scrivo.


Mentre gli Stati Uniti sprofondano in una crisi nera ‒ in tutti i sensi ‒ e inaspettata, il presidente Donald Trump erige una barriera a difesa della Casa Bianca. Un gesto, a conti fatti, quasi irragionevole: con tutte le sofisticate protezioni di cui la White House dispone, a che cosa serve un’altra barriera? Concretamente, a niente. Tra cani da guardia e un bunker sotterraneo, per citare solo due delle risorse della residenza presidenziale, Trump era già perfettamente al sicuro. A livello comunicativo, tuttavia, la nuova barriera non è che l’ultima mossa dell’unica strategia che Trump conosce: la retorica del muro.

Il muro come simbolo di identità e sicurezza

Che cos’è un muro? A livello pratico, è una costruzione che separa qualcosa da qualcos’altro. A livello ideologico, è un confine tra due soggetti. Un “noi” di qua e un “loro” di là, us and them, come cantavano i Pink Floyd. Innalzare un muro significa distinguerli nettamente e compattare ciò che resta dentro (noi) in opposizione a ciò che si trova fuori (loro), presentato come pericoloso e incivile.

Il muro è il cavallo di battaglia di una destra che punta sulla sicurezza, sul senso di protezione che esso dà. E poco importa se non funziona davvero, se non è inespugnabile: l’importante è che lo sembri, che tranquillizzi chi si trova all’interno. Lo scrittore Alessandro Baricco spiega tutto ciò, nel saggio I barbari (2006), attraverso la Muraglia cinese: quest’imponente costruzione, conclusa nel Medioevo, avrebbe dovuto difendere la Cina dai popoli delle steppe, ma era un vero colabrodo. In molti riuscivano a superarla e l’unica rassicurazione che poteva davvero derivare da essa era di tipo culturale: introducendo un confine, la Muraglia “inventa” i barbari, cioè gli stranieri, i nemici; in questo modo l’identità cinese ne esce rafforzata e compattata. Un muro, infatti, individua minacce e nemici esterni, distogliendo l’attenzione da differenze e problemi interni.

Trump e la politica dei muri

A Donald Trump piacciono molto i muri e in questo è in buona compagnia (se l’Italia non fosse una penisola, probabilmente anche Matteo Salvini ne avrebbe proposto uno), ma non sempre un muro si rivela politicamente conveniente.

Molti ricorderanno il fantomatico muro che, nel (neanche tanto) lontano 2016, Trump prometteva di costruire al confine con il Messico. Una barriera effettivamente c’è, ma contiene i narcos messicani come la Grande Muraglia fermava gli uomini delle steppe. Eppure, Trump ha vinto le ultime presidenziali anche con quel muro, perché il “noi” che ha creato era molto ampio: nel motto “make America great again”, l’America contro il resto del mondo, si sono ritrovati milioni di statunitensi, uniti dalla promessa di una rinnovata leadership internazionale per il loro Paese. Adesso, però, la situazione è cambiata.

La barriera intorno alla Casa Bianca mette americani contro altri americani e individua un “noi” estremamente ridotto: noi bianchi, privilegiati, ultraconservatori. Neppure i repubblicani restano completamente all’interno di questo nuovo muro e Trump incassa critiche persino da alcuni compagni di partito. Restano fuori poi tutti quelli, neri e non, che hanno protestato per la morte di Goerge Floyd, gli agenti che si sono inginocchiati in segno di dissenso. Non a caso i sondaggi, che prima della pandemia davano quasi per certa la rielezione del presidente in carica, adesso segnalano il sorpasso del rivale democratico Joseph Biden, segno che asserragliarsi dentro un fortino non sempre è la soluzione migliore.   

Trump-Biden: i numeri del sorpasso

Prima dell’emergenza sanitaria, Joe Biden non era dato per favorito nemmeno nello scontro interno con Bernie Sanders, suo principale avversario nelle primarie del partito democratico. A metà febbraio l’agenzia Adnkronos ipotizzava un vantaggio di 10 punti per Sanders, poi la sfida ha preso una piega diversa e oggi, inaspettatamente, Biden sembra lanciato verso la Casa Bianca.

Tutti i sondaggi delle ultime settimane, infatti, sono concordi nel collocare stabilmente il democratico in testa: The Hill calcola un distacco di 10 punti tra Biden e Trump, CNN addirittura di 14.

Sulla corsa verso la rielezione del presidente in carica hanno pesato, come due macigni, la gestione dell’emergenza Coronavirus e le proteste per la morte di George Floyd. Con le presidenziali a 5 mesi di distanza, ora più che mai i giochi sono aperti.