Mentre in Italia finalmente si tira un sospiro di sollievo per il tanto atteso appiattimento della curva dei contagi, negli Stati Uniti i dati non sembrano ottimisti. Questo però non pare aver fermato le recenti proteste ancora in corso negli stati americani in cui non vi è stato un allentamento del lockdown. Per di più, le sommosse americane occupano strade e luoghi pubblici, spesso senza protezioni sanitarie che l’attuale situazione renderebbe necessarie. Ma queste non preoccupano il governo federale. Anzi, Trump, dopo che già a metà aprile aveva incitato a “liberare” Minnesota, Virginia e Michigan, ha voluto sottolineare con un tweet la sua empatia verso i protestanti (per gran parte armati) che erano riusciti a entrare nella Camera del Michigan a Chicago definendole “buonissime persone, ma arrabbiate” e incitando il Governatore a trovare un accordo.
Non è la prima volta che il presidente americano legittima in una certa misura estremisti dell’alt-right. Già nel 2017 ad esempio aveva affermato che alle proteste di Charlottesville fra suprematisti bianchi e membri del movimento Antifa “c’erano bravissime persone da ambo le parti”. Questa volta, però, la situazione ha implicazioni più personali. La governatrice del Michigan, che i facinorosi ironicamente comparano a Hitler mentre loro di fatto inscenano un putsch, è la democratica Gretchen Whitmer, considerata da molti in corsa per la nomina di candidata vicepresidente della campagna di Biden, prossimo sfidante del magnate newyorkese alle future elezioni presidenziali di novembre. A sostegno di questa tesi vi è la recente presa di posizione della Whitmer a difesa del candidato presidente democratico dalle accuse di molestie sessuali, sostenendo che non tutte le accuse sono uguali.
La scelta della governatrice come vicepresidente avrebbe una componente strategica per la corsa alla Casa Bianca grazie alla sua popolarità nello stato, anche per via delle norme di lockdown che ha applicato finora, condivise perfino dalla maggioranza dei repubblicani locali. Questo aumenterebbe le possibilità di vittoria per i democratici in uno dei così detti “swing states”, ovvero dove non vi è una storica maggioranza di uno dei partiti.
Il Michigan, tuttavia, è anche lo stato nativo di Betsy DeVos, attuale segretaria dell’istruzione dell’amministrazione Trump e moglie di Dick DeVos, magnate della corporazione a schema piramidale Amway (una di quelle che operano come Herbalife o Folletto per essere chiari). La famiglia DeVos ha un ruolo centrale come finanziatrice delle cause conservatrici a partire da Rich, il padre di Dick, fondatore e sostenitore economico di quasi ogni associazione e campagna evangelica, pro-vita, contro i diritti lgbtq e/o repubblicana esistente dagli anni 70’. Fra le tante organizzazioni vanno messe in evidenza la Michigan Conservative Coalition e il Michigan Freedom Fund, ovvero gli organizzatori delle recenti proteste nello stato. Per di più, il responsabile del Freedom Fund, Greg MacNeilly, è da tempo dipendente della famiglia DeVos.
I sospetti di una protesta orchestrata da stakeholders nazionali piuttosto che da movimenti locali non finiscono qui. Freedomworks, advocacy group fra gli organizzatori del tea party movement dopo l’elezione di Obama, ha ammesso di star coordinando e aiutando esponenti locali a organizzare manifestazioni in tutto il paese. Il New York Times ha evidenziato paralleli fra il modus operandi di queste proteste e quelle del Tea Party, suffragato dai fondi della famiglia Koch, influenti miliardari conservatori non diversi dai DeVos. In particolare è rilevante l’attuale coinvolgimento come coordinatore di Stephen Moore, scrittore e opinionista economico, esponente di spicco della Heritage Foundation finanziata sia dai Koch che dai DeVos (fondazione che a sua volta finanzia vari partiti conservatori europei come Fratelli D’Italia). Inoltre, i legami fra Moore e il presidente Trump sono innegabili: è considerato uno dei suoi maggiori consulenti economici ed è stato da lui candidato l’anno scorso alla nomina di amministratore della federal reserve.
Tutto questo sembra evidenziare un chiaro conflitto fra gli esponenti vicini al governo federale e i governatori dei singoli stati ancora sotto lockdown. Questi sono stati attaccati furtivamente attraverso quello che i media anglofoni chiamano “astroturfing”, la pratica di creare ad arte campagne con radici apparentemente locali o comunque “dal basso”, ma in realtà mosse da interessi superiori. Un fenomeno che spesso viene trascurato dai media italiani, anche se non è estraneo al nostro paese.