Studentessa di Lettere moderne all’Alma Mater Studiorum, vivo divisa tra Prato e Bologna. Nell’attesa (e nella speranza) di diventare un giorno giornalista, mi dedico alla letteratura e alla politica. Nel tempo libero scrivo, vado in palestra, scrivo.

Qualche giorno fa la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha ribadito la volontà di cambiare i decreti sicurezza, approvati dall’ex governo giallo-verde con Matteo Salvini al Viminale.

Un piano per smantellare i due provvedimenti-bandiera della Lega sembrava pronto già a febbraio, ma l’emergenza sanitaria ha rivoluzionato l’agenda dell’esecutivo. Fatto sta che, a quasi nove mesi dalla nascita del Conte bis, le leggi sull’immigrazione volute da Salvini restano in vigore e il governo, nonostante cicliche dichiarazioni d’intenti, non sembra aver fatto della loro modifica una priorità. Forse perché smantellare i decreti, in fondo, a nessuno sembra davvero conveniente.   

Decreti sicurezza, che cosa prevedono e che cosa cambierebbe   

I due testi conosciuti come “decreti sicurezza” sono entrati in vigore tra l’ottobre del 2018 e l’agosto del 2019, prima del mojito ghiacciato del Papeete, e contengono numerose disposizioni volte a impedire l’arrivo e rendere più difficile la permanenza dei migranti in Italia. Tra i provvedimenti, ad esempio, il depotenziamento del servizio SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), l’abolizione della protezione umanitaria e la possibilità per il Viminale di impedire l’ingresso di navi nelle acque territoriali italiane, con confisca dell’imbarcazione e multe molto salate per i trasgressori.

Le modifiche annunciate da Luciana Lamorgese devono ancora cominciare l’iter parlamentare, ma prima della pandemia l’agenzia Agi parlava della possibilità di consentire di nuovo l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe, bloccata da Salvini, di ripristinare parzialmente la protezione umanitaria per alcune categorie a rischio, di ridurre l’importo delle multe alle Ong e di prevedere il sequestro della nave solo in caso di reiterate condotte scorrette.   

Il PD e lo spauracchio della sconfitta

Il PD è, o dovrebbe essere, il contraltare della Lega. Fin dalle consultazioni per il nuovo governo i dem di Zingaretti hanno chiesto discontinuità e, come qualcuno ricorderà, questo li aveva portati a rifiutare in un primo momento il nome di Giuseppe Conte per la guida dell’esecutivo. Inoltre, con la nascita di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, sarebbe stato lecito aspettarsi che il PD si spostasse più a sinistra e concretizzasse la tanto invocata discontinuità puntando sulla modifica, se non sull’abrogazione, dei provvedimenti-simbolo dell’avversario leghista.

I dem, tuttavia, sono reduci da una serie di dure sconfitte elettorali (le politiche del 2018, le europee del 2019, le amministrative in Umbria, ex roccaforte rossa) e la vittoria di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna non è bastata a guarirli dalla grande paura dei tempi del Papeete, quando Salvini andava in vacanza sfiorando il 37%. Con all’orizzonte un crollo del Pil italiano, stimato a – 9,5% per il 2020, il PD non vorrebbe prendere decisioni impopolari. Una nuova fase di recessione rischia di risvegliare quel bisogno di sicurezza che ha fatto esplodere la Lega, vanificando i punti faticosamente recuperati e riportando il PD al traumatico 18% del 4 marzo 2018. Tutto questo lascia i dem in una posizione scomoda, che li spinge a promettere una radicale revisione di quei decreti tante volte definiti disumani, ma allo stesso tempo a tirare il freno a mano. Una riforma, sì, ma il più possibile procrastinata e diluita, per non scontentare né la base né la “pancia” del Paese.

Le due anime del M5S

Diversa, e forse persino più difficile, è la posizione del Movimento Cinque Stelle. I grillini, infatti, erano al governo quando i decreti sicurezza sono stati approvati e adesso dovrebbero smontare due provvedimenti passati anche con i loro voti.

Già nell’estate del 2019 il decreto sicurezza bis aveva spaccato il M5S, con diciassette pentastellati che non avevano votato e il presidente della Camera Roberto Fico che aveva lasciato l’aula. Un chiaro segnale della contrarietà dell’«ala sinistra», se così si può chiamare, del M5S alla linea sovranista della Lega. Il Movimento, però, ha al suo interno anche un’altra anima, più vicina al centrodestra che al centrosinistra, che aveva il suo punto di riferimento nell’ex vicepremier Luigi Di Maio e che non manifestava, e non manifesta tutt’ora, la stessa repulsione per la politica dei porti chiusi. Per prendere una decisione definitiva sui decreti sicurezza, dunque, i grillini dovrebbero prima risolvere alcune questioni interne che, tuttavia, rischiano di minare la già fragile unità del Movimento. Anche su questa sponda della maggioranza, quindi, procrastinare sembra la soluzione meno dolorosa.  

Il M5S, inoltre, siede al governo con la consapevolezza che i suoi numeri non riflettono più il sentimento del Paese. Gli ultimi sondaggi collocano i pentastellati dietro al PD e i due alleati condividono ormai lo spauracchio del crollo dei consensi, il che, in assenza di una linea comune sull’immigrazione, li mette d’accordo almeno sulla volontà di rimandare il più possibile questa spinosa questione, per non urtare un elettorato provato dall’inattesa crisi sanitaria ed economica. Non sarebbe dunque strano se, una volta in aula, le modifiche preparate da Luciana Lamorgese, già caute, fossero ulteriormente ridimensionate o se l’intero pacchetto fosse rimandato ancora, rivelandosi poco più che un bluff.