Luigi non c’è più. O, per completezza, Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si è dimesso dal suo ruolo di capo politico del Movimento Cinque Stelle dopo mesi di lotte interne al suo partito. Le sue dimissioni erano nell’aria da settimane ma nonostante tutto hanno dato una scossa forte e chiara al Movimento, al Governo ed a Giuseppe Conte.
È il tardo pomeriggio di mercoledì 22, Luigi Di Maio si snoda la cravatta – “È stato il mio simbolo. Un modo per onorare la serietà delle istituzioni”, dice – e scende dal palco del Tempio di Adriano dal quale ha appena annunciato le sue dimissioni. “Oggi finisce un’era” dice Di Maio nel suo discorso: è vero, finisce l’era Di Maio appunto, quella che ha visto il Movimento raggiungere il 34% alle elezioni politiche del 2018, dove nessun altro partito aveva superato il 20%. È anche vero però che il Movimento di Di Maio non poteva proseguire così. “Si era esaurita la spinta propulsiva”, è il commento ufficioso nei corridoi.
E adesso? Dopo essersi accertati che il leader grillino non stesse bluffando o non tramasse un altro piano gli eletti e gli elettori del Movimento si sentono dispersi, come si procede ora? Le uniche due certezze che hanno i grillini sono un nome ed una data: Vito Crimi, 13-15 marzo. La prima è quella del reggente del Movimento, politico di lungo corso, viceministro, al quale è stato dato il compito di traghettare il partito fino agli Stati generali che si terranno appunto nel fine settimana del 13 marzo.
Ma a chi spetterà la nuova guida del Movimento? Il punto più cruciale lasciato da Di Maio è quello della sua successione, e qui si aprono due strade. La prima è quella che vede come guida del Movimento un, o al massimo due, nome di peso del Movimento, vero e proprio successore di Di Maio – si parla in questi giorni di Paola Taverna, Chiara Appendino o del ministro Patuanelli, apprezzato dai gruppi. L’altra ipotesi paventata per la leadership Cinque Stelle è quella di un collegio, composto da personalità di calibro minore che possano prendere decisioni in totale autonomia ed appunto in maniera collegiale.
Fra tutte le carte sul tavolo resta sempre un jolly, una incognita, ovvero Alessandro Di Battista. L’ex deputato grillino è in questi giorni in Iran ma è tornato prepotentemente sulla scena politica italiana parlando agli scontenti del Movimento. Di Battista è rimasto fuori dalla scena politica per tutta questa Legislatura e si può dire quindi “vergine” relativamente alla sua totale estraneità rispetto ai due governi guidati dal Movimento (prima con la Lega e poi con il PD). Il suo rapporto con Di Maio è sempre stato molto altalenante ma sono in molti a vedere nel futuro del Movimento un tandem Di Battista-Di Maio per la leadership.
Il futuro dei Cinque Stelle è incerto oggi più che mai e la strada fino a marzo è lunga, vedremo come ci arriverà il Movimento.