Studentessa di Lettere moderne all’Alma Mater Studiorum, vivo divisa tra Prato e Bologna. Nell’attesa (e nella speranza) di diventare un giorno giornalista, mi dedico alla letteratura e alla politica. Nel tempo libero scrivo, vado in palestra, scrivo.

Quattro italiani su dieci credono che una donna, se vuole, può evitare lo stupro. Quasi uno su quattro pensa che siano gli abiti della vittima a provocare l’aggressione. Questi sono solo due dei dati contenuti in un recente comunicato stampa dell’Istat. La Repubblica lo ha definito “report shock” e leggendolo è difficile dissentire.

Le cause della violenza di genere

Il 77% degli intervistati ha riconosciuto nella bassa stima della donna, considerata come un oggetto, uno dei motivi che portano alcuni uomini a maltrattare le loro partner. Altre cause individuate sono l’abuso di alcol o droghe (75,5%), il bisogno dell’uomo di sentirsi superiore (75%), l’aver subito violenze in famiglia durante l’infanzia (63,7%). E ancora l’incapacità di accettare l’emancipazione femminile (62%) e le presunte difficoltà di alcuni uomini nel gestire la rabbia (70%). Quest’ultima lettura della violenza di genere ha avuto una triste realizzazione nella comunicazione di uno dei femminicidi che hanno scosso l’Italia nei mesi scorsi. Era settembre e il caso era quello di Elisa Pomarelli. All’indomani della confessione del colpevole, Massimo Sebastiani, Il Giornale titolava “Il gigante buono e quell’amore non corrisposto”. Un rifiuto troppo doloroso, un raptus incontrollabile e il classico stereotipo del macho, restio a mostrare i suoi sentimenti ma allo stesso tempo incapace  di domarli. Uno stereotipo, questo come altri, che si presenta fin troppo vitale all’alba del 2020.

Violenza, donne e responsabilità

Quasi il 40% degli intervistati si dice convinto che una donna che non riesce a sottrarsi allo stupro è, in fondo, contenta di subirlo. Se davvero volesse, potrebbe evitarlo.

Persiste quindi l’agghiacciante abitudine di attribuire alla vittima almeno una parte della colpa. In inglese si chiama victim blaming, ma la patina internazionale di questa espressione non toglie niente all’ottusità di un simile approccio: per il 23,9% del campione Istat una donna provoca l’aggressione con il suo modo di vestire, per il 15% è responsabile se subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La questione della corresponsabilità della vittima, se incosciente del tutto o in parte per aver assunto volontariamente alcol o droghe, è stata sollevata da una sentenza del 2018 della Cassazione che, esprimendosi su uno stupro del 2009, ha negato che si possano aggiungere aggravanti all’accusa. In poche parole, se una donna si ubriaca di sua spontanea volontà non c’è aggravante. Questo si potrebbe configurare solo se si dimostrasse che i responsabili l’hanno costretta o indotta a bere per stuprarla.    

La donna nella società tra vecchi stereotipi e nuove prospettive

Per il 27,9% degli intervistati è giusto che sia l’uomo a mantenere economicamente la famiglia, per il 32,5% le donne avvertono meno dei loro compagni la necessità di avere successo in ambito lavorativo. Sopravvive quindi quel mito del focolare domestico, già nato nella lontana età Romana e radicato in quasi tremila anni di storia come un’erba infestante, che vede la donna realizzarsi soprattutto in famiglia e occuparsi delle faccende di casa (per il 31% gli uomini sono meno adatti a svolgere queste mansioni). Resiste poi anche l’immagine di una donna maliziosa, che flirta con gli altri uomini (e in questo caso il 7% degli intervistati trova accettabile che il fidanzato la schiaffeggi) e dice di no a una proposta sessuale quando in realtà vuole dire sì (7,2%), volubile e inaffidabile al punto che spesso le denunce per violenza sessuale sono false (10%). Questi stereotipi persistono soprattutto tra gli over 60 (65,7%), nelle regioni del sud (67,8%) e tra i meno istruiti, ma non mancano di raggiungere anche l’informazione nazionale, come dimostra il caso del quotidiano Libero. Il giornale, scrivendo della fiction Rai dedicata a Nilde Iotti, prima donna a diventare presidente della Camera dei deputati, ha definito la protagonista “una bella emiliana, simpatica e prosperosa […] grande in cucina e grande a letto”. Il pezzo, di impostazione sessista e retrograda, ha il sapore stantio delle cose scadute. Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, ospite a Dimartedì (La7), ha provato a difendere i colleghi di Libero buttandola sull’ironia, ma la giustificazione non tiene: se il protagonista dell’articolo fosse stato un uomo, nessuno avrebbe mai pensato di richiamarsi alle sue doti tra le lenzuola. La strada che le donne italiane devono percorrere per essere valutate solo per la loro professionalità è evidentemente ancora lunga, ma nomine come quella di Marta Cartabia, prima donna a diventare presidente della Consulta, lasciano intravedere una possibilità di assegnare alla donna un ruolo sempre più pubblico e di responsabilità, con buona pace di Libero.