Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Il fratricidio di Renzi

Era il 6 dicembre 2016 quando la sezione “politica” del sito prendeva vita con un’analisi del sottoscritto in cui si ergeva Matteo Renzi a figura di cui il governo italiano non avrebbe potuto fare a meno. Lo si paragonava al primo Giolitti, capace poi di tornare all’esecutivo più e più volte di fronte ad un’opposizione incapace. La realtà è che, per quanto affascinante fosse il paragone, abbiamo assistito ad una realtà ben diversa. È quasi impossibile azzeccare un parallelismo mettendo a confronto due realtà così distanti nel tempo, inoltre col senno di poi è stato quasi patetico mettere sullo stesso piano due figure dallo spessore così diverso. Ciò non toglie, però, che Renzi non voglia tornare al più presto ad occupare la posizione di rilievo che ritiene essergli spettante.

Breve cronistoria di una scissione annunciata

1. È il 2014. Matteo Renzi è l’uomo sulla cresta dell’onda, capace di sollevare i popoli come un qualsiasi Salvini odierno. Raggiunge, sulle ali dell’entusiasmo, sia la Presidenza del Consiglio che lo storico 40% del PD alle elezioni europee. Non si trattava di uno step raggiunto in seguito ad un lungo percorso di traguardi politici e di governo, bensì la consacrazione di un astro nascente, di un leader che sembrava avere le carte in regola per creare un percorso davvero nuovo.

2. Dopo due anni e nove mesi il governo Renzi giunge al termine. Si tratta di un operato amato ed odiato al tempo stesso. Un governo – giudicato dai più almeno come accettabile – si era fagocitato colpevolmente un partito ormai incapace di reggersi in piedi da solo. Fra vittorie e sconfitte si era consumata la totale presa di controllo del Partito Democratico. Le dimissioni di Renzi, annunciate in pompa magna, non arriveranno mai davvero: segue un periodo, corrispondente al governo Gentiloni ed alla reggenza di Maurizio Martina, in cui gli organi e i tempi di risposta del partito sono controllati dagli uomini di Renzi. Il congresso viene ritardato il più possibile, la si tira per le lunghe.

3. 2018. Si torna al voto, ed è storia abbastanza recente: i gruppi parlamentari del PD sono a trazione renziana grazie all’inserimento di fedeli tra i candidati nei collegi più sicuri. Matteo ce l’ha fatta, il “Senatore semplice” ha piazzato i suoi ovunque potesse. Solo a seguito di ciò si è potuti giungere al congresso del partito, da cui è uscito vincitore Nicola Zingaretti. In TV e sui giornali tuttavia Renzi mantiene il suo ampio spazio, e così gli stessi parlamentari renziani. Ma non è finita, ci sono altri uomini e donne da piazzare.

4. Inizio Settembre 2019. Nasce il governo giallo-rosso. Matteo Renzi anticipa le posizioni politiche del segretario Zingaretti screditandone la credibilità e lo spessore avvicinandosi ai 5 stelle. A Zingaretti non resta che cercare di tenere insieme la baracca e trovare una soluzione che accontenti tutti: Governo di legislatura con dei punti programmatici nei quali il segretario stesso possa metter mano in maniera rilevante. Così è stato. Nasce un governo dove altri renziani riescono a mettere le mani su un paio di Ministeri e alcuni uffici da Sottosegretario.

5. 17 Settembre 2019. Finalmente Renzi può dire addio ad un PD spolpato dell’anima, degli uomini, privato di una fetta di parlamentari, sottratto di forza contrattuale, a cui sono facilmente addossabili colpe ed errori che in realtà sono scaturite dal suo stesso arrogante modus operandi. Eccoci qua, diamo il benvenuto al partito di Renzi.

Cosa dobbiamo aspettarci?

Il partito di Matteo Renzi, Italia Viva, andrà senza dubbio a collocarsi in un’area tutt’ora figlia di nessuno. Sarà quell’anima liberale che, pur mantenendo una vicinanza importante col PD su alcuni temi fondamentali, andrà a dar noia a ciò che rimane di Forza Italia. Strategicamente questa mossa fa bene a tutti, se non fosse che il Partito Democratico ne esce spolpato. L’elettorato aveva bisogno di un’anima liberale capace di maggior forza rispetto a quanto +Europa è riuscita ad essere, con delle posizioni però anche leggermente più a sinistra su certi temi. Dal punto di vista politologico, si può dire che era normale aspettarsi uno smembramento di un partito, il PD, che mal si presta a raccogliere il massimo in un sistema elettorale di fatto proporzionale. Differenziare le offerte potrebbe significare crescere reciprocamente per poi trovare convergenze post voto. Si tratterebbe, dunque, di un partito renziano di media taglia capace di buona forza contrattuale. Non è difficile immaginarsi un Renzi tessitore di futuri governi o comunque ago della bilancia in sede d’opposizione, un jolly, una mina vagante. Ovviamente potrebbe non andar così, potrebbe rivelarsi tutto un fiasco. La domanda da porsi è: conta più l’uomo o il simbolo? In via iniziale si apre un importante braccio di ferro. Gli elettorati del PD e del nuovo partito dovranno riassestarsi e sarà fondamentale capire quanti saranno maggiormente fidelizzati al partito e quanti invece alla figura di Renzi.

Conte, occhio!

Le sorti della nuova avventura politica di Matteo Renzi interessano non solo il PD ma anche l’esecutivo giallo-rosso guidato da Giuseppe Conte.

Per quanto si sia ribadito a più riprese il convinto sostegno al governo, è chiarissimo che al Partito di Renzi occorra una scossa. La nave va varata, e non lo si fa di certo sostenendo fino a fine legislatura un governo con PD e 5 Stelle. Conte dovrà ben guardarsi le spalle, scongiurando la creazione di un qualsiasi casus belli da parte di Matteo Renzi. Quando sarà il momento (forse dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, forse anche prima) anche questo esecutivo comincerà a scricchiolare sotto i colpi di un Di Maio che ha bisogno come il pane di una riscossa e di un Renzi che ha una voglia di matta di tornare protagonista. Ancora una volta a buscarne sarà il PD, insieme ad un Conte che probabilmente non si vedrà regalata una terza occasione. Per adesso si naviga tranquillamente, ma un nuovo fratricidio è dietro l’angolo. Toccherà a Nicola Zingaretti dettare una linea che salvi questo PD percosso, che però ha anche l’occasione di tornare ad essere quel partito che lo stesso Segretario ed i militanti si auspicano.