Cambiamento
Sul finire degli Anni Settanta, Woody Allen è uno dei personaggi pubblici americani più apprezzati da pubblico e critica. Dopo gli esordi slapstick, culminanti nel capolavoro Amore e Guerra (1975), dopo l’affermazione nel cinema d’autore con Io e Annie (1977) e Manhattan (1979), commedie romantiche che rivoluzionano il genere e ottengono complessivamente quattro nomination e altrettante statuette agli Oscar, la popolarità di Allen è alle stelle. Nonostante Interiors (1978), primo segnale della pressante voglia di cambiamento, i suoi produttori e, soprattutto, i suoi fan sarebbero disposti a seguirlo in qualunque progetto. In tutti, tranne Stardust Memories. Quando quest’ultimo esce nelle sale americane, il 26 settembre 1980, gli ammiratori (addetti ai lavori e non) si rivoltano contro l’ex-standup comedian newyorkese.
Sinossi
Il film segue le vicissitudini di Sandy Bates (Woody Allen), regista comico di successo che non ha più interesse nel fare pellicole divertenti; il suo ultimo lavoro, riflessione amara sull’assurdità dell’esistenza, è preda delle ire dei produttori che cercano disperatamente di renderlo più alla portata del pubblico. In piena crisi professionale e umana, Sandy è costretto a partecipare ad un festival dedicato alla sua filmografia che si tiene nell’hotel Stardust, dove soggiorna a stretto contatto con ammiratori e critici. Qui, dopo esser stato raggiunto dalla compagna, ripenserà alla sua vita e al suo lavoro.
N. 4
Come sostiene lo stesso regista, «the backlash really started when I did Stardust Memories. People were outraged. […] I was just trying to make what I wanted, not what people wanted me to make». Nonostante Allen abbia sempre sostenuto la l’assenza di elementi autobiografici, è difficile non ritrovare quantomeno molte somiglianze tra Sandy e Woody: la volontà di emanciparsi dal ruolo di comico (da sempre vissuto, evidentemente, con una certa sofferente inadeguatezza), la difficoltà nel coniugare la gratitudine verso i propri fan con la paura da essi suscitata, il dolore di un’infanzia difficile attenuato grazie all’interesse verso la magia e l’illusionismo sono solo alcuni esempi di ciò. L’episodio alla base del film, inoltre, ripercorre il Film Weekend organizzato da Judith Crist nel 1973, al quale Allen ha presenziato con perplessità. Questa aderenza (più o meno fedele) alla realtà ha fatto sì che coloro che da sempre avevano seguito e supportato il regista, leggessero in Stardust Memories un attacco diretto e ingiustificato nei loro confronti. Attacco, per alcuni, confezionato sterilmente all’interno di un involucro palesemente debitore di Fellini, di Bergman e del cinema d’autore europeo (e quindi estraneo al contenuto autobiografico). Ma è davvero così?
Allen è intenzionato, in primis, a raccontare lo smarrimento di un regista «with no spiritual center […] on the verge of a breakdown». Il newyorkese però, con perfetto atteggiamento postmoderno, è consapevole che nel raccontare tale tema, indipendentemente dall’effettiva aderenza al proprio vissuto, non può che partire da 8 ½ (curiosamente, il titolo di lavorazione del film era “Woody Allen n. 4”; «I’m not even half of Fellini» sostenne lui), replicandone l’immaginario, soluzioni narrative (l’hotel, la fidanzata in arrivo, la sequenza onirica d’apertura…) e inquadrature. Così facendo, egli sembra cercare una legittimazione artistica simile a quella che disperatamente Sandy vuole ottenere dagli spettatori che sostengono di apprezzare soprattutto i suoi primi film, “quelli divertenti”. Se però il Guido Anselmi di Marcello Mastroianni è disturbato perlopiù dalle proprie maestranze tecniche, l’alter-ego alleniano vive in una maggiore e costante esposizione della propria immagine pubblica, è inseguito da coloro che vogliono autografi e foto, braccato da quelli che si propongono come attori o hanno idee per una sceneggiatura (“Can I talk to you about an idea for a film I have? It’s a comedy based on that whole Guyana mass suicide”).
In conclusione, Stardust Memories è una delle prime opere di Allen a ragionare sulla figura dell’artista e sul rapporto (qui fisico, ma in altri casi mediale) tra persona e sua immagine pubblica, è la diretta conseguenza del successo di Io e Annie e Manhtattan (due film che il regista non ama particolarmente) ed è il lamento di uno straordinario talento comico che afferma: «nothing would’ve pleased me more than if I could have written like Eugene O’Neil or Tennessee Williams».