Donald Trump ha annunciato di voler ritirare gli Stati Uniti d’America dall’accordo sul nucleare con l’Iran (Joint Comprehensive Plan of Action) firmato da Barack Obama nel 2015 insieme a Regno Unito, Francia, Germania, Iran, Cina e Russia.
La decisione del Presidente americano di ritirarsi dal JCPoA (accordo del quale puoi trovare una chiara disamina qua) può essere letta a mio avviso secondo due lenti:
1) Rottura diplomatica con l’Unione Europea.
A niente sono servite le visite a Washington, prima di Emmanuel Macron (condita di episodi degni delle migliori bromance) e poi di Angela Merkel, nel tentativo di distogliere Trump dal decantato ritiro dal JCPoA.
Le risposte dal Vecchio Continente all’alba della decisione sono quindi arrivate in una dichiarazione congiunta di Theresa May, Angela Merkel e Emmanuel Macron: “Accogliamo con dispiacere e preoccupazione la decisione del Presidente USA di ritirarsi dal JCPoA […] ed in questo momento vogliamo enfatizzare il nostro rinnovato impegno nel supporto all’accordo” e attraverso l’Alto Rappresentante Federica Mogherini: “L’accordo nucleare iraniano è cruciale per la sicurezza della regione, dell’Europa e del mondo intero e assicuriamo il nostro pieno impegno affinché continui a funzionare anche senza gli States”
Il Segretario del Tesoro USA, Steven Mnuchin, nelle prime istruzioni sulle nuove tariffe che verranno imposte dagli USA su Teheran, ha indicato che una prima serie di attività verrà vietata da Agosto: export di velivoli e loro componenti, transazioni in dollari, commercio in oro, accordi nel settore automobilistico e operazioni sul debito sovrano. Nel Novembre prossimo cadranno invece sotto la scure tariffaria tutti gli acquisti di greggio, le intese nelle spedizioni e portuali, le operazioni nel comparto assicurativo e i rapporti con la Banca centrale di Teheran.
Tali sanzioni però non danneggeranno solamente l’industria petrolifera e il settore finanziario iraniano ma anche gli interessi di una pluralità di compagnie europee private accorse dopo l’apertura nel Paese nel 2015 come le tedesche Daimler e Siemens o le francesi PSA Peugeot Citroën e Total, o ancora Airbus.
Dopo la firma dell’accordo infatti anche il volume di scambi complessivi tra il Vecchio Continente e l’Iran sono cresciuti dell’83.29% per un valore nominale nel 2017 di 20,965 miliardi di euro, dimostrando una fiorente attività commerciale tra i due mercati, messa a rischio dalla minaccia di tariffe americane.
Mai come con Donald le relazioni transatlantiche erano state così incrinate: pesano parimenti la beffa dell’uscita dall’accordo sul Clima di Parigi, la decisione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme che irrigidisce i processi di pace in Medioriente, le tariffe sull’acciaio e l’alluminio imposte nel braccio di ferro commerciale con la Cina che colpiscono collateralmente il Vecchio Continente e infine quest’ultima presa di posizione.
Jean-Claude Juncker ha dato a mio avviso la risposta più calzante alla vicenda: “Sotto il signor Trump, gli Stati Uniti stanno voltando la schiena alle relazioni multilaterali e la cooperazione amichevole con una ferocia tale che può solo sorprenderci”
2) L‘Anti-Obama.
Donald Trump sembra essere determinato non solo nello smantellare, pezzo dopo pezzo, l’eredità politica del suo predecessore Barack Obama, sia in politica interna che estera, ma anche nel continuo discredito della sua figura e operato.
Cronologicamente gli sforzi nel rovesciare il lascito politico del primo presidente afroamericano sono: il ritiro dal Trans-Pacific Partnership nel Gennaio 2017, l’uscita dal sopracitato Accordo di Parigi, l’abrogazione della legge sull’immigrazione DACA, la fine della “guerra al carbone”, la rimozione del Clean Power Plan ed infine quest’ultima decisione.
Nel discorso di dodici minuti in cui ha annunciato il ritiro dal JCPoA Trump non ne ha risparmiato critiche definendolo come “il peggior accordo della storia”, “dalla struttura marcia, decadente ed ineffettiva” e “fonte di imbarazzo per ogni cittadino americano”.
L’accordo con l’Iran infatti, siglato negli ultimi mesi di Presidenza Obama, divenne tema centrale nella campagna presidenziale 2016, ed ogni candidato repubblicano, Donald su tutti, ha espresso la propria posizione contraria alla scommessa diplomatica dell’uscente Presidente.
La linea di pensiero del Partito Repubblicano (e di alcune frange critiche di quello Democratico alla firma) era quella ben descritta dal columnist del Daily Telegraph, Timothy Stanley, secondo la quale tale trattato funzionava come un tentativo di “corrompere l’Iran, convincendolo a rinunciare al programma nucleare nel modo in cui si nutre un animale feroce con scarti di carne per cercare di dissuaderlo dall’aggredirti”.
Secondo questo punto di vista rimuovendo le sanzioni al regime si è consentito all’Iran di rientrare a pieno titolo nella vita economica della comunità internazionale legittimando così la regolarizzazione di uno “stato pariah”, tra l’altro ritenuto dalla comunità internazionale come il “maggior sponsor del terrorismo globale e regionale“.
La differenza sostanziale di visione politica è molto chiara: laddove secondo l’Amministrazione Obama e le Cancellerie Europee la diplomazia e il dialogo negoziale sono state strumento fondamentale per il raggiungimento di un accordo, per quanto perfettibile, in grado di generare benefici ad ogni controparte firmataria, per l’Amministrazione Trump questo tipo di approccio è segno di debolezza e inutilità in termini di contenimento espansivo dell’influenza iraniana nella regione, in quanto non menziona restrizioni sulla ricerca missilistica o il finanziamento di attività illecite.
Uscendo dall’ombra istituzionale che si confà ad un ex Presidente, Obama ha rilasciato ieri una rara dichiarazione di due pagine:
«Il mondo sarà meno sicuro, con lo spettro d’una futura scelta tra un Iran dotato di armi atomiche e un’altra guerra nel Medio Oriente. E’ per questo che l’annuncio di oggi è incauto. Uscire dall’accordo implica volgere le spalle ai nostri più fedeli alleati e ad un accordo che diplomatici, scienziati e professionisti d’intelligence hanno a lungo negoziato. In una democrazia ci saranno sempre cambi di priorità e politica da un’amministrazione all’altra, ma la consistente violazione d’impegni presi in corso rischia di erodere la credibilità americana nel mondo e ci mette in contrasto con le altre potenze globali. In un mondo pericoloso gli Stati Uniti d’America devono poter essere in grado di affidarsi su una diplomazia forte e guidata da sani principi per proteggere la propria nazione”
articolo di Matteo Manera