Le grandi manovre per accaparrarsi una chance di divenire Presidente del Consiglio cominciano concretizzarsi. In questo inizio di settimana i protagonisti sono sempre loro, Renzi e Di Maio, quelli che avrebbero dovuto “affrontarsi” da Floris martedì 7 novembre scorso, come due grandi boxeur all’apice della loro carriera, e invece sappiamo com’è andata a finire. Negli ultimi giorni ci sono state delle svolte interessanti osservando questi due personaggi, fra i più gettonati alla premiership: vediamole insieme.
1| Di Maio, l’americano.
«Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S».
La meta del viaggio sono gli Stati Uniti d’America, uno di quei posti che storicamente hanno dato natali a leadership forti ed autorevoli, ed il viaggiatore è Luigi Di Maio. Si ricorda su tutti il viaggio di De Gasperi negli USA all’indomani della guerra, rispetto al quale adesso è inutile scendere nei particolari. La mossa di Di Maio segue questo filone, poiché serve per chiarire la propria linea politica e quella del partito, oltre a far capire una cosa ai leader mondiali: il MoVimento c’è ed agirà attivamente governando ed intrattenendo rapporti internazionali. “Ci siamo, siamo qualcuno!” sembra dire Di Maio. Questo non per sminuirlo, ma semplicemente per chiarire un passo importante in questa fase propagandistica, ovvero il fatto che una volta per tutte il M5S smette di indossare i panni puramente anti-establishment per vestirne di più moderati.
«Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti»
Queste le parole di Di Maio, senza alcun tono di sfida sprezzante, senza la spacconaggine di cui i grillini si erano sempre potuti avvalere all’opposizione. La prospettiva è nettamente cambiata e se ne respira l’aria rinnovata. Non che il M5S si stia ponendo a servo degli States, lo stesso Di Maio infatti ha espresso parole forti in merito all’adesione dell’Italia ad una NATO da rivedere, per poi però chiosare:
«Non è vero che vogliamo bloccare i finanziamenti alle missioni».
Abbiamo a che fare dunque con un cambio di passo a 5 stelle. Ma si tratta forse di una prospettiva volta a mutare esclusivamente la posizione internazionale del MoVimento? Ovviamente no. La lettura da dare a questa mossa è interessante anche dal punto di vista interno. Sostanzialmente si vuol cercare di acchiappare una fetta di elettorato moderato che, per quanto già presente tra le fila grilline, non costituisce il più grande serbatoio del MoVimento. Riuscire ad accaparrarsela significherebbe dare una mazzata al PD e non solo. Di fronte all’elettorato più fedele Di Maio minimizza la svolta politica:
«Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all’ambasciata americana a Roma»;
poco importano però le analogie fra oggi ed il 2013, poiché la sostanza è cambiata ed il gesto del candidato premier non ha niente in comune col gesto compiuto da Grillo e Casaleggio quasi 5 anni fa. A decretare un mutamento, nei modi e nei fatti, è ancora una volta il candidato premier da Washington:
«Se non avremo la maggioranza assoluta ci assumeremo la responsabilità di non lasciare il Paese nel caos».
Ovvero: il MoVimento è pronto non tanto a coalizzarsi, quanto a convergere per formare una maggioranza dopo le elezioni. Con chi? Per quali scopi programmatici? Tutte domande meno scontate di quanto si possa credere, almeno a seguito del viaggio in America. Quel che è certo è che, così come la comparsata in consolato USA a Roma del 2013 non è paragonabile al viaggio a Washington di questi giorni, allo stesso modo la celebre comparsata di Beppe Grillo di fronte a Napolitano nel 2013 non sarebbe mai paragonabile ad colloquio tra Di Maio e Mattarella oggi. Questo cambia, la sottile differenza tra chi alza solo la voce e chi inizia a pensare di poter governare davvero.
2| Renzi, svolta mancina.
Se il M5S tenta di mangiucchiare l’elettorato moderato, il PD opta per una svolta a sinistra. Le parole di Renzi non sono mai le più concilianti possibili, ma proprio visto che si parla di Renzi una tale apertura ha del clamoroso. Il grande progetto di un centrosinistra ampio ed unito, che vada dall’angolo più estremo possibile sino all’ultima delle forze moderate, appare adesso più accessibile. Dice Renzi:
«Forse c’è stato l’uomo solo al comando, ma non è più così. […] Chi si tira indietro dall’invito all’unità del centrosinistra si assume una pesante responsabilità. […] chi vorrà rompere lo dovrà fare in modo trasparente perché da noi non troverà alcuna sponda».
Si tratta di parole chiarissime che certificano due cose. Punto primo il fatto che, qualunque cosa se ne possa pensare, è Renzi l’unico vero ago della bilancia del centrosinistra almeno dal punto di vista mediatico; lo si capisce bene dal fatto che la prima volta in cui si sente di poter parlare concretamente di un progetto in atto con buone probabilità di riuscita sia a seguito delle parole del segretario Dem. In Renzi sembra avere ancora il coltello dalla parte del manico.
Punto secondo, il fatto che da adesso in avanti, comunque vada, le responsabilità di un fallimento del progetto potranno essere addossate ai corpi a sinistra. È ovvio infatti che da ora in poi Renzi potrà dire di aver fatto una candida apertura alle sinistre, si tratta di un qualcosa di innegabile. È difficile, in questo quadro, capire se il politico toscano sia effettivamente intenzionato ad aprire un’alleanza in tutto e per tutto o abbia la concreta volontà di scatenare un effetto a catena a danno di bersaniani & co. Rimane però una certezza innegabile, ovvero che il PD, al pari del M5S, non possa correre da solo. In uno scenario simile, non troppo surreale, i democratici ne uscirebbero schiacciati dagli avversari, e questo Renzi lo sa bene, o dovrebbe saperlo. Cosa avrà la meglio, la voglia di leadership incontrastata del segretario PD o la volontà di creare qualcosa di nuovo? Avverte Renzi:
«Il futuro è una pagina totalmente bianca da scrivere: o la scriviamo noi o la destra».
Il futuro è una pagina totalmente bianca che rischia di rimanere bianca, ribattono da MDP. A sinistra c’è voglia di risposte concrete, una delle quali potrebbe essere la legge sulla cittadinanza (i dibattuti Ius Soli temperato e Ius Culturae) che guarda caso metterebbe d’accordo anche buona parte dell’area moderata. Per quanto una delle strade per ammorbidire la sinistra sia questa – Renzi ha dichiarato che si tratti di una legge da approvare «senza creare difficoltà alla chiusura ordinata della legislatura» – il percorso della mediazione extraparlamentare rimane una pista calda. È indiscrezione delle ultime ore che Piero Fassino sia stato incaricato da Renzi di tessere una tela tanto vasta quanto complicata da concretizzare. Fassino si è rimboccato le maniche e pare che, secondo l’Ansa, riferendosi ad un percorso comune col PD durante il colloquio con D’Alema, abbia affermato:
«A mio avviso il percorso è ormai tracciato».
Avrà ragione Fassino oppure dovremo prendere ancora una volta con le pinze le sue previsioni? Renzi, fai gli scongiuri!