Referendum che rimescolano le carte.
I referendum in Veneto e Lombardia hanno riscosso un interesse mediatico molto marcato anche cavalcando l’onda dei fatti di Barcellona. Inutile dire che si tratti di due situazioni estremamente differenti dal punto di vista storico e socio-culturale, tanto che l’unica cosa in comune fra le due storie è la parola “referendum”. Abbiamo avuto in questo caso un referendum legale, consultivo, per un fine previsto dalla Costituzione, ovvero quello di raggiungere un maggior decentramento amministrativo. Il risultato è stato molto significativo, in particolar modo in Veneto, dove si è recato a votare il 57.2% degli aventi diritto a fronte di un quorum del 50%, esprimendo il “Sì” per il 98.1% delle preferenze. Il quesito era: “Vuoi che alla regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Qui di seguito i dati utili per capire i risultati sia del Veneto che della Lombardia raccolti nella nostra infografica:
Reazioni istituzionali a sorpresa.
Di fronte ai risultati schiaccianti a favore del decentramento le risposte del Governo e delle istituzioni più importanti sono state estremamente significative. C’è stata fin da subito apertura al dialogo da parte di Paolo Gentiloni, almeno secondo quanto riferito dal presidente della Regione Lombardia Maroni: “Mi ha confermato il via libera al confronto su tutte le materie previste dalla Costituzione, con anche il coinvolgimento del ministero dell’Economia”. Ovviamente questo non significa totale apertura: l’esecutivo ha fatto sapere infatti di non voler stare neanche ad ascoltare eventuali provocazioni come quelle pronunciate dal presidente del Veneto Zaia, che ha chiesto lo statuto speciale. Spiega il Sottosegretario agli Affari Regionali Gian Claudio Bessa: “La sua è una provocazione; siamo pronti ad aprire un tavolo subito ma la condizione di partenza è che le regioni approvino una legge di attuazione dell’art.116 della Costituzione. Il problema è che oggi Zaia ha fatto approvare in Giunta una proposta di modifica costituzionale per inserire il Veneto tra le regioni a statuto speciale. È una proposta non ricevibile dal Governo, semmai di competenza del Parlamento”. I principali partiti politici inoltre hanno analizzato i risultati prendendo molto sul serio le richieste delle regioni, dal centrosinistra al centrodestra, ed anche questo rappresenta un grande segnale.
Un cammino che parte da lontano.
L’ipotesi del decentramento è un qualcosa a cui non eravamo più abituati già da qualche anno, anzi si può affermare con certezza che l’operato dell’ultima legislatura è stato indirizzato fortemente verso un rinnovato accentramento dei poteri nelle mani dello Stato. Ovviamente si è trattato perlopiù di intenti che trovavano la loro sintesi nella riforma costituzionale Renzi-Boschi, ma se ne possono trovare avvisaglie anche nella legge Delrio del 2014 che ha ridisegnato l’assetto degli organi amministrativi locali.
Il processo di decentramento amministrativo e politico come saprete però parte da lontano ed è stato in continuo fermento proprio fino alla fine del decennio scorso. L’Italia, Stato tipicamente accentrato durante tutta l’epoca monarchica, aveva visto la crescita di politiche di decentramento all’inizio del ‘900 durante l’Età Giolittiana, per poi fare una forte retromarcia durante il Ventennio Fascista. Agli albori della Costituente del ’46 si tornava a vedere la luce dopo una lunga parentesi istituzionale che aveva completamente tarpato le ali al pluralismo politico locale. E dall’esigenza di un cambio di passo non poteva che nascere una Costituzione fortemente votata al decentramento. Il nostro Stato Regionale ha caratteristiche particolarissime sancite proprio dalla carta del ’48, ma non tutte sono state attuate subito: se le regioni a statuto speciale hanno visto la luce in pochi anni, per avere le regioni ordinarie come le conosciamo oggi si è dovuto attendere l’attivazione delle stesse negli anni Settanta e le successive riforme degli anni ’90 che hanno spostato tantissime prerogative statali in mano alle regioni. Con la Riforma Costituzionale del 2001 si è riformulato l’articolo 116 dando ancor più spazio di manovra alle regioni, e nel 2008 si è invece raggiunto, con ulteriori azioni di riforma, un vero e proprio federalismo fiscale.
Il ruolo della Lega Nord nell’assetto statale italiano.
Scandendo sinteticamente le fasi di cui sopra, si denota come la Lega sia stata protagonista in questo processo di decentramento. È vero, ha sempre agito per mezzo di mosse politiche provocatorie, cercando di costruire una leggenda come quella della Padania, capace di instillare nei cittadini del Settentrione il sentimento di appartenenza ad un non precisato “Nord”. Durante gli anni ’80 erano molte le “Leghe” indipendentiste presenti, come appunto quelle Veneta e Lombarda, portatrici di una simbologia fittizia, come ad esempio “l’ampolla del Po” e “Capitan Padania”, capace di smuovere gli animi. Ma il fine (mai celato) è sempre stato quello di poter avere maggiore indipendenza economica da “Roma Ladrona”. E per quanto oggi questo possa sembrare incredibile, all’epoca questo racconto funzionò, in sinergia con una crisi politica mostruosa che di lì a poco avrebbe spazzato via i principali partiti politici italiani e avrebbe portato la Lega Nord sulla cresta dell’onda. Questi ingredienti hanno influenzato sia le leggi Bressanini del ’97 che le riforme che hanno dato agli Italiani la possibilità di eleggere direttamente Presidenti di regione, provincia e Sindaci. La stessa Riforma Costituzionale del 2001 trova molti presupposti in questo humus politico. Il federalismo fiscale del 2008, che suddivide definitivamente Regioni e Stato sul piano impositivo e rende le prime indipendenti, è frutto del lavoro di un Governo guidato da Berlusconi (il quarto) in cui Umberto Bossi ha ricoperto la carica di Ministro con delega alle riforme per il federalismo. Oggi la Lega non è più quel partito che faceva esclusivamente gli interessi del Nord, punta ad accaparrarsi voti in ogni parte d’Italia, è vero, ma nel Settentrione questo slancio verso il decentramento rimane radicato e la Lega continua tuttora a portarne avanti le istanze.
Lo stop della crisi e i referendum di oggi.
Con la crisi del 2008, che ha portato le sue nefaste conseguenze sui conti del Paese reale solo un paio di anni più tardi, la voglia di decentramento ha lasciato il posto, come si è visto, ad una necessità di centralismo che però non ha trovato le risposte sperate negli Italiani. Il bisogno di rimettere a posto la distribuzione delle risorse non è cessata, ma con i referendum di Veneto e Lombardia si è dato un messaggio forte: c’è almeno una parte d’Italia che crede ancora nel cammino di decentramento tracciato fino a pochi anni fa, e c’è il sentimento che tramite una maggiore autonomia si possa raggiungere una maggiore efficienza. L’apertura del Governo la si può spiegare solo in virtù di un assetto macroeconomico che finalmente ricomincia a lavorare a ritmi sostenuti e lascia margine di ottimismo per il futuro del Paese. Economicamente si è ancora “solo” in una fase di rinascita, ma a quanto pare già questo basta e avanza per dialogare in merito ad una nuova puntata del lungo cammino dell’Italia “verso il federalismo”, come lo ha definito più di uno studioso cercando un’iperbole per far capire quale fosse il cammino intrapreso dall’Italia negli ultimi 70 anni. Ovviamente l’obiettivo, al di là della propaganda che può essere venuta fuori in questi giorni, non è né il federalismo né la secessione, bensì un regionalismo ancor più accentuato dal punto di vista economico. E la strada sembra essere ormai nuovamente imboccata, attendendo ulteriori sviluppi magari durante la prossima legislatura, dove la Lega avrà sicuramente molto spazio.
Articolo di Stefano Ciapini, infografiche di Semir Tiric