È sempre più frequente trovarsi di fronte notizie e immagini sui disordini in Venezuela, paese ormai nel pieno di una guerra civile. Sin dall’insediamento del presidente Nicolas Maduro, avvenuto nel 2013, la tensione non ha fatto che aumentare.
Tra la progressiva deriva autoritaria, gli scontri con gli oppositori del regime e l’82% delle famiglie in condizioni di povertà, il Paese pare sull’orlo del collasso.
Sarebbero 124 i morti nei vari scontri dallo scorso aprile, dopo che Maduro ha esautorato il potere legislativo ponendolo nelle mani del Tribunale Supremo, a lui fedele, ed eliminando i 112 seggi guadagnati dall’opposizione nel 2015; e il bilancio è destinato ad aumentare.
Ma come si è arrivati a questo punto?
Lo sguardo va rivolto all’indietro nel tempo, e per indagare le radici del conflitto non bisogna dimenticare né il ruolo fortemente strategico del Venezuela, prima riserva di petrolio al mondo, né l’influenza nell’area di una potenza come quella USA, e non giudicare la geopolitica con l’etica o con posizioni assolute. Perché come disse Henry Kissinger “non si fanno le guerre per il beneficio dell’umanità, ma per interessi nazionali”
LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA
Questo il nome dell’atto che ha delineato l’attuale assetto istituzionale del Paese, ad opera del referendum Costituzionale del 1999 promosso dall’ex-premier Hugo Chavez. La “révolution” ispirata alle idee di Simon Bolivar, principale fautore dell’indipendenza venezuelana dalla Spagna, rispondeva ad una particolare visione della politica latinoamericana, che riadattata ai tempi moderni ha preso il nome di “chavismo“. Una politica che fonde marxismo, socialismo, nazionalismo e anti-globalizzazione, contro il patronato statunitense sui Paesi dell’America Latina, sostenendo piuttosto una maggiore cooperazione tra di essi.
È sotto il governo di Chavez che vengono poste le basi della recessione e dell’attuale povertà dei venezuelani, dovute sia a scelte interne che a fattori esterni.
Il 90% dell’export del Paese dipende dal petrolio e dai suoi derivati: il crollo dei prezzi del greggio in seguito alla crisi del 2008 ha ridotto drasticamente le entrate, portando il Venezuela sull’orlo del baratro.
Chavez, salito al governo nel 1999 grazie alle promesse di redistribuire la ricchezza tra l’intera popolazione, l’ex-premier riuscì inizialmente nell’impresa; salvo poi dover ricorrere ad un sempre maggiore razionamento di beni di prima necessità, che ad un certo punto iniziarono a scarseggiare. Il presidente aveva introdotto, infatti, delle regole stringenti riguardo l’utilizzo di valuta estera, fondamentale per le importazioni. “Per proteggere il mercato del Venezuela”, la motivazione. La riduzione delle importazioni ebbe tuttavia effetti devastanti sull’economia: la disponibilità di materie prime si ridusse, mentre la domanda rimaneva alta. I prezzi iniziarono quindi ad aumentare, fino a diventare proibitivi per gran parte della popolazione.
Queste politiche economiche sono state protratte da Nicolas Maduro, succeduto a Chavez nell’aprile 2013, aggravando le già precarie condizioni della quarta potenza del sudamerica.
IL VENEZUELA OGGI
Secondo l’Assemblea Nazionale, l’inflazione avrebbe raggiunto il 176% nei primi sei mesi del 2017, ed è destinata ad aumentare secondo le stime del Fmi.
L’82% dei venezuelani vive in povertà, dei quali il 52% in povertà estrema.
I medicinali hanno raggiunto prezzi proibitivi, e solo nel 2016 sono morti circa 11mila bambini sotto un anno di età, per mancato accesso alle cure. Addirittura una famiglia su 12 ha dichiarato di rovistare nella spazzatura in cerca di cibo.
Il valore del PIL è crollato del 26,2% dall’elezione di Maduro, mentre le perdite dovute al calo dell’export ammonterebbero a 24,6 miliardi di dollari.
L’avanzo commerciale, ossia la prevalenza delle vendite sugli acquisti con l’estero, viene mantenuto alto per assicurarsi la disponibilità di dollari americani per pagare gli elevati debiti venezuelani con gli investitori stranieri.
L’ELEZIONE DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE
In questo contesto di instabilità politica ed economica Maduro tramite decreto presidenziale ha deciso di indire un’elezione per una nuova assemblea costituente, svoltasi il 30 Luglio scorso. Un mezzo democratico dimostratosi invece una “farsa”, che ha dirottato il Paese sudamericano ancora più rapidamente verso un regime dittatoriale, portando i vertici militari ad assumere maggiore potere politico, pur essendo già forti della precedente leadership di Chavez. L’opposizione si è dimostrata inoltre divisa e priva di mezzi per contrastare il potere di Maduro, incidere sulla politica del Paese e quindi sulle elezioni. (Vinte poi dai sostenitori di Maduro ndr).
L’unica protesta concreta messa in atto dal Mud, l’unione delle opposizioni, è stato il simbolico referendum anti-Maduro contro la nuova Costituente. Il voto, svoltosi il 17 luglio, ha visto la partecipazione di 7,2 milioni di persone, delle quali il 98% ha detto “no” alla nuova Assemblea. Numerosi gli scontri in giornata, con 4 feriti gravi e due morti dopo un attacco ad un seggio vicino Caracas.
Tuttavia niente da fare, opposizione troppo blanda. La Costituente si farà.
Il nuovo organismo avrà potere di riscrivere il testo costituzionale esautorando definitivamente il parlamento, occupato pochi giorni fa dalla Guardia Nacional (fonte: lastampa)
L’affluenza alle urne è incerta (41,43% per il Consiglio nazionale elettorale, 12% per le opposizioni)
L’elezione è stata segnata da profondi scontri e violenze al limite di una guerra civile, culminata con 10 morti e l’arresto di alcuni esponenti dell’opposizione da parte dei servizi d’intelligence del Venezuela.
REAZIONI ESTERE
Il resto del mondo fino ad ora è stata capace solo di condanne e moniti formali limitati, quali la sospensione del “Mercosur” (il mercato comune dell’America Meridionale, fonte ansa) e sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti. La causa di tale inerzia è legata anche ai problemi interni dei Paesi vicini, unici capaci di poter intervenire quali il Brasile, Argentina e Columbia. Il presidente di quest’ultima, Juan Manuel Santos, starebbe tuttavia cercando l’appoggio di Raul Castro dalla vicina Cuba per restituire un percorso democratico al Venezuela, che definisce formalmente “dittatura”
Gli USA potrebbero isolare il regime chavista interrompendo del tutto l’export del greggio e l’import del petrolio raffinato nel Paese, ma ciò provocherebbe una catastrofe umanitaria senza precedenti costringendo il Venezuela a dipendere esclusivamente dalla Russia e Cina, le quali sarebbero fortemente interessate ad avere un alleato nella sfera d’influenza statunitense. Ma l’intero caso rischierebbe di diventare una nuova “Cuba” sacrificabile nella nuova guerra fredda economica tra gli Stati Uniti e la Cina e la Russia.
Per il momento, Trump ha preferito inserire Maduro, dopo le dubbie votazioni, in una lista nera di stampo economico (con cui privati e compagnie americane hanno il divieto assouto di poter concludere affari di qualsiasi genere).
Il presidente venezuelano è il quarto ad entrare in questa lista dopo Mugabe (Zimbabwe), Al Asad (Siria) e Kim Jong Un (Corea del Nord).
Anche di Stati Uniti ha parlato Maduro nel suo discorso di fronte alla neonata Costituente. Dapprima ha espresso il desiderio di un incontro con Trump a margine della prossima Assemblea Generale ONU a New York; salvo poi accusare gli stessi USA quali responsabili delle violenze negli scontri, appoggiando le opposizioni, e del recente attacco a una base dell’esercito venezuelano.
Lo stesso Maduro ha presentato un progetto di legge che prevede pene severe per i cosiddetti “delitti di odio” contro lo Stato, e ha dichiarato che la controversa Costituente rimarrà attiva fino alla metà del 2019.
Articolo di Chiara Minelli e Marco Meniconi