Laureato in Scienze della comunicazione presso l’università di Pisa, studente di Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica presso l’università di Firenze. Lettore assiduo di filosofia politica.

Intervista a Gabriele Rugani, dottorando di ricerca dell’università di Pisa; di Riccardo Ficini e Margherita Barzagli (Edera Rivista)


Si può essere dimenticati online? Secondo il diritto all’oblio, una ramificazione giurisprudenziale relativamente recente, , è possibile. In linea generale, tale diritto è inquadrabile come il non voler essere imprescindibilmente esposti ad ulteriori danni che una notizia potrebbe arrecare alla reputazione e all’onore. L’eterno presente delle notizie on-line è una dimensione continuamente dibattuta, sia nella sfera pubblica che in ambito giurisprudenziale, dato l’enorme utilizzo dei social network e del “mondo” internet in genere. La questione del diritto all’oblio ricondiziona inoltre l’utilizzo della memoria collettiva: rispetto al passato si è rovesciata la prospettiva che vigeva, per esempio, nell’antico diritto romano, in cui l’oblio era considerato una pena (damnatio memoriae), mentre oggi invece la “condanna” è la ridondanza informativa perpetua. Gabriele Rugani, Dottorando di ricerca in Scienze Giuridiche presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, chiarirà nelle righe successive le spinose dinamiche che condizionano il diritto all’oblio.

1) Cosa è il diritto all’oblio? Come nasce e perché?

Definire il diritto all’oblio è tutt’altro che agevole. Si tratta infatti di una figura che, in mancanza di una specifica disciplina positiva di riferimento, ha trovato la propria originaria elaborazione ad opera della dottrina civilistica e della giurisprudenza: in Italia, alcune importanti pronunce della Corte di Cassazione sul punto risalgono agli anni ’80 del secolo scorso, mentre in altri Stati vi sono sentenze ancor più risalenti (in particolare in Francia, dove il celebre caso Landru risale agli anni ’60)[1].

Una simile genesi ha inevitabilmente reso incerto il perimetro dell’istituto in questione, alimentando un vivace dibattito interpretativo in merito alla sua effettiva portata. Tuttavia, se si vuole tentare di definire il diritto all’oblio nella sua accezione più tradizionale, affermatasi come si è visto in epoca antecedente rispetto all’avvento della Rete, si può dire che esso consiste nel diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende che erano già state legittimamente pubblicate in un certo momento storico, ma rispetto all’accadimento delle quali è ormai trascorso un notevole lasso di tempo[2]. Esso, ovviamente, è finalizzato a tutelare la pretesa di un soggetto a non veder reintrodotte nel circuito della divulgazione informativa notizie relative a vicende personali che si vorrebbe venissero dimenticate, in quanto lesive della propria reputazione[3].

Come è stato autorevolmente sostenuto, si tratta dunque di un diritto che appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni’ del diritto alla riservatezza”[4].

2) Come si è mossa la giurisprudenza riguardo la tutela dei dati personali in correlazione alla libertà di informazione?

Fin dalla breve definizione che è stata appena data, appare chiaro come sia necessario bilanciare la tutela del diritto in esame con altri interessi e, in particolare, con la libertà di informazione. Secondo la giurisprudenza, per capire quale delle due esigenze prevalga, e quindi se la pubblicazione sia lecita o meno, è necessario verificare se si protrae nel tempo l’interesse pubblico alla conoscenza dell’evento (si veda, inter alia, Cass. Civ., 15 marzo 1986, n. 1763). Da questo punto di vista, dunque, non si tratta di valutare se la notizia che si vorrebbe nuovamente pubblicizzare sia lesiva della componente reputazionale ed identitaria, ma se il trascorrere di un significativo lasso di tempo abbia fatto venir meno la finalità dell’originaria divulgazione[5]. In tal caso, ne consegue la legittima pretesa del soggetto, cui la notizia si riferisce, alla non riemersione della memoria collettiva su quel determinato evento[6]. Al contrario, per poter ripubblicare, è necessaria una specifica e rinnovata utilità sociale all’ulteriore diffusione degli avvenimenti del passato[7].

3) Quale correlazione c’è fra questo nuovo ma controverso diritto e il mondo online?

Come si è già detto, il diritto all’oblio, nella sua accezione più tradizionale, è stato elaborato prima dell’avvento di Internet. Tuttavia, con l’utilizzo della Rete, si può affermare che si è sviluppata una nuova accezione di tale diritto: su Internet, infatti, la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che l’informazione non è cancellata, ma permane disponibile per un tempo indeterminato. Non si tratta di un evento che si ripropone all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall’attenzione del medesimo[8]. Di conseguenza, l’esigenza che il diritto vuole soddisfare in questo caso è differente: si rende infatti necessario, se non cancellare, quantomeno contestualizzare l’informazione, come ha affermato anche la Suprema Corte italiana (sul punto, si veda Cass. Civ., 5 aprile 2012, n. 5525).

4) Quale caposaldo giurisprudenziale circoscrisse per la prima volta il tema?

Il caposaldo giurisprudenziale a cui si fa riferimento quando si parla di diritto all’oblio nella sua accezione più recente è, senza alcun dubbio, la sentenza nota come Google Spain, pronunciata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel maggio 2014[9].

La vicenda riguardava il cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzáles il quale, nel 2009, si era reso conto che inserendo il proprio nome nel motore di ricerca del gruppo Google (Google Search) l’elenco dei link rimandava a due pagine del quotidiano spagnolo “La Vanguardia” risalenti al 1998. Su di esse figurava l’annuncio di una vendita all’asta di immobili in seguito a un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei confronti dello stesso Costeja González[10]. Egli, tuttavia, sosteneva che la menzione di tale evento fosse ormai priva di qualsiasi rilevanza[11].

Orbene, il Giudice di Lussemburgo ha dato ragione a Costeja González, sviluppando il proprio ragionamento a partire dall’art. 12, lett. b), dell’allora vigente Direttiva 95/46/CE, che si limitava ad accordare il diritto alla cancellazione dei propri dati personali in determinate ipotesi. Attraverso un’interpretazione estensiva di tale scarna disposizione, la Corte di giustizia ha sancito il diritto dell’interessato di esigere dal gestore del motore di ricerca la soppressione, dall’elenco dei risultati che si possono ottenere effettuando una ricerca nominativa, dei link verso le pagine degli archivi del quotidiano contenenti il suo nome[12].

Il diritto all’oblio, che viene qui a configurarsi come un vero e proprio “diritto alla deindicizzazione”, prevale dunque sull’interesse del grande pubblico a trovare le informazioni in occasione di una ricerca concernente il nome di una persona. Così non sarebbe solo qualora l’interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione risultasse preponderante per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto dalla persona nella vita pubblica[13]: anche la Corte di giustizia tenta dunque di trovare un bilanciamento tra il diritto in questione e la libertà di informazione.

5) In che casi si applica il diritto all’oblio?

Attualmente, i casi in cui il diritto in esame può trovare applicazione sono sanciti dall’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679, meglio conosciuto come Regolamento generale sulla protezione dei dati o GDPR, che ha sostituito la menzionata Direttiva 95/46/CE[14]. Tale disposizione, rubricata proprio “Diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)”, elenca al par. 1 tutte le ipotesi in cui una persona ha il diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali che la riguardano. Tra queste, a titolo esemplificativo, è possibile menzionare il caso in cui i dati personali non siano più necessari rispetto alle finalità originarie[15]; il caso in cui il trattamento si basi sul consenso ed esso venga revocato[16]; il caso in cui i dati personali siano trattati illecitamente[17].

Conviene ricordare, a tal proposito, che il par. 2 dello stesso articolo prevede un meccanismo affinché in tali ipotesi la cancellazione abbia una portata ancora più ampia: il titolare del trattamento, infatti, è tenuto entro certi limiti ad informare della richiesta di cancellazione gli ulteriori titolari che trattino i medesimi dati, in modo che provvedano a rimuovere qualsiasi link, copia o riproduzione degli stessi.

A onor del vero, occorre anche ricordare che sull’opportunità di qualificare un simile diritto come “diritto all’oblio” vi sono alcuni scetticismi. A tal proposito, mi sia concesso rinviare al mio contributo G. RUGANI, Il diritto all’oblio dell’articolo 17 Regolamento (UE) 2016/679: una grande novità? Una denominazione opportuna?, in A. MANTELERO, D. POLETTI (a cura di), Regolare la tecnologia: il Reg. UE 2016/679 e la protezione dei dati personali. Un dialogo fra Italia e Spagna, Pisa University Press, Pisa, 2018, p. 455 e ss..

6) Perché solo in alcuni casi?

È possibile esercitare il diritto all’oblio solo in alcuni casi perché anche il GDPR tiene conto delle possibili esigenze confliggenti, con cui è necessario trovare un punto di equilibrio. A tal proposito, giova ricordare che il par. 3 dello stesso art. 17 elenca una serie di ipotesi in cui il diritto in questione non può essere esercitato (e quindi i paragrafi 1 e 2 non si applicano). Ancora una volta, possiamo vedere che si fa riferimento al caso in cui il trattamento è necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di informazione[18]. Ma non solo: tra le ragioni per cui la cancellazione può essere negata figurano anche motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica[19]; fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o fini statistici[20]; oppure per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria[21].

7) Cosa consigliereste alle persone per la tutela di questo diritto?

Le persone che vogliono tutelare il proprio diritto all’oblio potrebbero, in primo luogo, rivolgersi al gestore del motore di ricerca. Google, ad esempio, ha deciso di attivarsi senza indugio per dare attuazione all’analizzata pronuncia della Corte di giustizia, e ha messo a disposizione un modulo online da compilare identificandosi e descrivendo la propria richiesta di cancellazione. Tale modulo è reperibile al seguente link.

Tuttavia, cosa ancor più importante, occorre ricordare che i diritti sanciti dal GDPR, compreso quindi il diritto alla cancellazione (o all’oblio che dir si voglia) dell’art. 17, possono essere tutelati ai sensi degli artt. 77 e ss. dello stesso Regolamento: l’interessato potrà dunque adire in via amministrativa l’autorità di controllo competente (che in Italia è il Garante per la protezione dei dati personali), oppure proporre un ricorso innanzi all’autorità giudiziaria (che, in Italia, è il giudice ordinario e non il giudice amministrativo)[22].


[1] M. MEZZANOTTE, Il diritto all’oblio, ESI, Napoli, 2009, spec. p. 216 e ss.

[2] G. FINOCCHIARO, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in G. RESTA, V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma TrE-Press, Roma, 2015, p. 29 e ss..

[3] A. RICCI, I diritti dell’interessato, in G. FINOCCHIARO (a cura di), La protezione dei dati personali in Italia: Regolamento UE n. 2016/679 e d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, Zanichelli, Bologna, 2019, p. 392 e ss..

[4] G.B. FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Rivista di diritto civile, 1990, p. 801 e ss..

[5] A. RICCI, op. cit..

[6] Ibid..

[7] G.B. FERRI, op. cit..

[8] G. FINOCCHIARO, op. cit..

[9] Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 13 maggio 2014, causa 131/12, Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González, ECLI:EU:C:2014:317.

[10] Ibid., § 14.

[11] Ibid., § 15.

[12] Ibid., § 98.

[13] Ibid, § 97 e § 99.

[14] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), 27 aprile 2016, GU L 119, 4 maggio 2016, pp. 1-88.

[15] Ibid., art. 17, par. 1, lett. a).

[16] Ibid., art. 17, par. 1, lett. b).

[17] Ibid., art. 17, par. 1, lett. d).

[18] Ibid., art. 17, par. 3, lett. a).

[19] Ibid., art. 17, par. 3, lett. c).

[20] Ibid., art. 17, par. 3, lett. d).

[21] Ibid., art. 17, par. 3, lett. e).

[22] A. CANDINI, Tutela amministrativa e giurisdizionale, in G. FINOCCHIARO (a cura di), La protezione dei dati personali in Italia: Regolamento UE n. 2016/679 e d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, Zanichelli, Bologna, 2019, p. 742 e ss..


Articolo in collaborazione con Margherita Barzagli di Edera Rivista