Laureato in Scienze della comunicazione presso l’università di Pisa, studente di Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica presso l’università di Firenze. Lettore assiduo di filosofia politica.


Non è questa, la sede d’analisi che tratterà ciò che Marx fu (ed in parte ancora oggi è) per il movimento operaio e per il proletariato in genere. Qui non si osserveranno le sue opere né le sue ricerche interdisciplinari. Il compito di questo articolo è un semplice ma ben intenzionato resoconto dell’uomo che, nonostante gli spettri che lo hanno ossessionato fino alla fine, ha cercato di essere.

Già nell’estate del 1880, Marx si trovava nella contea di Kent, in Inghilterra: per la precisione si era recato a Ramsgate insieme alla sua famiglia, costretto dai medici all’ozio a causa della sua bronchite.

Sua moglie, Jenny von Westphalen, già malata da tempo di cancro, si aggravò particolarmente in quell’estate, rischiando il non accettabile esito.

In questo corollario di eventi, John Swinton, capo redattore per tutti gli anni Sessanta del New York Times, ebbe l’occasione di conoscere Karl di persona. Lo descrisse come un uomo: “gentile sulla sessantina, con la testa massiccia, il fare magnanimo, cortese, con massa cespugliosa di capelli grigi lunghi e ribelli”.

Swinton annotò inoltre il modo in cui Karl discorreva: “così libero, travolgente, creativo, incisivo, autentico”, al giornalista “ricordava Socrate, per il tono ironico, i lampi umoristici e la giocosa allegria”. Si rese conto di aver davanti a sé una persona disinteressata “da qualsiasi brama di esibizione di successo, alla quale non importava nulla delle fanfaronate della vita e della messinscena del potere”.

Nonostante le sue vicende familiari, nonostante la vecchiaia, nonostante i medici lo avessero quasi obbligato a “curare i nervi con il fare niente”, Karl procedeva con ciò per cui semplicemente era destinato fin dalla nascita: dotare il movimento operaio di una struttura solida per distruggere il metodo di produzione capitalistico.

Estate, 1881: le condizioni della moglie si erano ulteriormente aggravate, continuava a perdere peso e le cure mediche sembravano recare alcun sollievo. Il Dottor Bryan Donkin convinse Jenny ad allontanarsi dal clima londinese, con l’obbiettivo di farla ristabilire in vista della partenza verso Parigi, dove avrebbe rincontrato la primogenita Jenny Longuet.

Karl e la moglie decisero quindi di trasferirsi nella cittadina di Eastburne, nella contea di Sussex, sul canale della Manica.

I due coniugi rimasero ad Eastburne per circa tre settimane, le spese riguardanti l’alloggio e le cure mediche necessarie (per la moglie e per Karl), furono sostenute dal più grande e sincero amico che Marx abbia mai avuto: Friedrich Engels. Così in una missiva rispose a Karl: “al momento, puoi avere da 100 a 120 sterline; si tratta solo di sapere se le desideri tutte in una volta, quante ne vuoi là e quante ne vuoi qui”.

Il 26 luglio dello stesso anno, Marx insieme a sua moglie Jenny approdarono in Francia, dirigendosi dipoi verso Parigi, nel sobborgo di Argenteuil dove si trovava la primogenita insieme alla sua famiglia.

Karl volle subito conoscere il medico di famiglia dei Longuet, che avrebbe dovuto monitorare le condizioni di salute della moglie.

Il caro amico Engels nuovamente si rese disponibile, rassicurando Karl: “ho con me degli assegni; se hai bisogno di qualcosa non fare complimenti e fammi sapere la somma che ti occorre. Tua moglie non può e non deve farsi mancare niente. Deve avere tutto ciò che desidera o che voi pensiate le farebbe piacere”.

Lo scambio epistolare proseguì con un ringraziamento da parte di Karl, facendo trapelare sia riconoscenza che disagio derivante dai prestiti dell’amico: “è molto penoso per me attingere così pesantemente dal tuo portafogli, ma l’anarchia che negli ultimi due anni ha stravolto il bilancio familiare producendo debiti arretrati di ogni specie grava su di me da diverso tempo”.

Dopodiché lo aggiornò sulle condizioni di salute della moglie Jenny, a sua detta eccessivamente altalenanti: a brevi momenti di quiete, sopraggiungevano dolori terribili.

Un ulteriore avvenimento straziante costrinse i due coniugi a lasciare la Francia: il 16 agosto 1881, ricevettero la notizia che la figlia minore, Eleanor, era gravemente malata.

Marx si precipitò nel più breve tempo possibile nella capitale inglese e dopo due giorni, arrivò anche la moglie Jenny.

La figlia Eleanor, secondo la scrittrice Yvonne Kapp (autrice del libro Eleanor Marx) soffriva di depressione. Il motivo è da considerarsi duplice: da una parte stava tentando di porre fine al suo fidanzamento con Prosper – Olivier Lissagaray (fidanzamento che in famiglia non venne mai accettato); dall’altra, le motivazioni sarebbero da riscontrarsi nella sua carriera d’attrice: dopo aver preso parte a diverse rappresentazioni, le sue aspirazioni erano quelle di iniziare una vera e propria carriera come attrice in teatro.

Le sfortune familiari sembravano essere inarrestabili: il 19 agosto da Argenteuil giunsero notizie che la primo genita Jenny e suo figlio Harry si erano molto ammalati.

Il definitivo colpo di grazia Karl lo ebbe il 2 dicembre 1981. All’età di sessantotto anni Jenny von Westphalen, la donna che gli stette accanto fin dalla giovinezza e di cui era perdutamente innamorato, chiuse definitivamente gli occhi per un cancro al fegato. Questo evento non fece più riprendere Karl, innamorato di lei fin dall’età di diciotto anni.

Per non aggravare ulteriormente lo stato di salute di Karl – dato che a metà ottobre risentì nuovamente di una forte bronchite – il medico decise che lui non avrebbe partecipato al funerale. Karl si rassegnò pensando alle ultime parole che la moglie disse all’infermiera sul letto di morte: “non siamo persone che danno valore all’esteriorità”.

Al funerale però partecipò il più caro amico della famiglia, Engels, che volle ricordare Jenny come una “donna la cui massima gioia [era consistita] nel far felici gli altri”.

Sostenuto dal dottore Donkin, Engels convinse Karl a trasferirsi ad Algeri, per sfuggire dai più freddi mesi dell’anno che avrebbero potuto aggravare ulteriormente le sue condizioni di salute. La figlia Eleanor in una missiva ricorda che il motivo centrale che convinse Karl ad intraprendere questo viaggio fu l’ossessione di mettere l’ultimo punto al Capitale: “egli cercò di portare a termine la sua grande opera e perciò acconsentì, ancora una volta, a fare un viaggio per rimettersi in salute”.

Ci vollero 34 ore di viaggio ma il 20 febbraio Marx approdò in Africa, dove l’unica persona che sapeva chi fosse Il Moro (in famiglia Marx veniva chiamato così per via della barba ed i capelli di un nero molto intenso) era Albert Fermé, un giudice di pace approdato ad Algeri un decennio prima, che subì precedentemente un periodo di prigionia poiché oppositore dell’impero francese. Albert fu l’unica compagnia di Karl nella nuova terra in cui era approdato.

Ad Algeri, Il Moro venne preso in cura dal dottor Charles Stéphann, che gli impose (oltre a misture mediche) di ridurre gli sforzi fisici e mentali al minimo, ed a causa dall’aggravamento della sua tosse, gli venne impedito dal mese di marzo anche di uscire e di conversare.

La terapia più dolorosa, ma che gli avrebbe recato poi un discreto sollievo, fu quella di drenaggio del liquido in eccesso nei polmoni, cura che gli venne poi interrotta intorno il 20 di marzo. Il sonno, da tempo perduto, pian piano ricomparve procurandogli grande sollievo: “chi non ha mai sofferto d’insonnia non può capire il benessere che si prova quando il terrore delle notti senza riposo inizia finalmente a scemare”.

La notte gli divenne lieve per non molto tempo: durante le notti iniziarono a scoppiare le vesciche ed era obbligato dal medico a rimanere fasciato con il divieto di grattarsi.

Due mesi di sofferenze che portarono però ad un miglioramento delle sue condizioni di salute e che resero il suo ritorno in Francia sostenibile: il 7 giugno Karl fu nella possibilità di riprendere il treno per recarsi ad Argenteuil dalla figlia maggiore.

Il proseguo delle cure era da abbinarsi ad un clima favorevole che all’arrivo di Karl non era presente. Solamente a luglio iniziò con una certa continuità i bagni solfurei che portarono un discreto giovamento; in una lettera ad Engels descrisse le sale delle inalazioni con un certo umorismo, qualità che nonostante le condizioni fisiche, non vacillò mai: “Tutti sono avvolti dalla testa ai piedi come mummie in una gomma elastica; dopo di che, si marcia, uno dietro l’altro: innocente scena dell’inferno dantesco”.

Il 20 luglio ci fu l’ultima sua visita ai bagni sulfurei: il consulto medico riscontrò un costante sfregamento pleurico, che comunque era del tutto previsto.

Il colloquio con il dottor Feugier si concluse con il consiglio di recarsi al Lago di Ginevra, dove erano presenti miglior condizioni meteorologiche. Questa volta Karl non partì da solo, venne scortato dalla figlia Eleanor. La tappa finale del viaggio era la città di Vevey, situata a nord est del lago. In una missiva, Karl scrisse ad Engels che la sua tosse non sembrava voler cessare. Al Moro mancava moltissimo il suo più caro e vecchio amico; gli chiese sa da Londra avrebbe potuto raggiungerlo ma per procedere negli aiuti finanziari, Engels decise di rimanere a Londra. Karl comprese perfettamente la situazione e si gratificò nuovamente: “l’altruismo che mostri nei miei confronti è incredibile e spesso me ne vergogno in silenzio”.

Dopo la morte della moglie, l’11 gennaio all’età di 38 anni, la primogenita Jenny morì di cancro alla vescica ed il 13 gennaio Karl si rimise subito in viaggio verso casa, Londra.

Fu probabilmente questo il definitivo colpo di grazia del Moro; la morte della figlia, in aggiunta al deperimento fisico e ad un ascesso polmonare, sancirono il 14 marzo 1883 alle ore 14.45 la morte di Karl Marx.

Engels raccontò a Friedrich Adolph Sorge, ex segretario dell’Associazione internazionale dei lavoratori, ciò che egli provò all’arrivo quando lo vide: “Sono arrivato alle 14:30, l’ora che egli preferiva per la visita quotidiana. La casa era in lacrime, dicevano che sembrava vicino alla fine. Si era verificata una piccola emorragia, seguita da un improvviso collasso. La nostra brava vecchia Lenchen, che lo ha curato come neanche una madre curerebbe il proprio bambino, è andata di sopra e poi è riscesa. Ha detto che si era assopito e che io potevo salire. Quando siamo entrati, egli giaceva nel letto addormentato, ma per non risvegliarsi più. Non c’erano più né polso, né respiro. In due minuti era spirato, serenamente e senza dolore”.

Dopo la morte di Karl, ovunque venne innalzato il suo vessillo. In ogni parte del mondo milioni di lavoratori e altrettanti studenti presero a fondamento i suoi scritti. Organizzazione era la parola chiave, per porre fine al dominio del capitale.

Voglio concludere ricordando un breve dialogo che Karl e John Swinton, in compagnia di Charles Longuet e Paul Lafargue (i due ultimi erano i generi di Marx) intrapresero una sera d’estate nel 1880, quando John incontrò per la prima volta il moro. Il giornalista del New york Times fece una domanda secca a Karl: “la legge ultima dell’essere, qual è?”. Karl, in maniera altrettanto concisa rispose: “La lotta!”.


Bibliografia:

  • Marcello Musto, L’ultimo Marx. 1881-1883. Saggio di biografia intellettuale, Donzelli, 2016.
  • Karl Marx a Nikolaj Danielson, 12 settembre, 1880.
  • Friedrich Engels a Jenny Longuet, 17 giugno 1881, in Marx – Engels, Lettere 1880-1883 (marzo).