Studentessa di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pisa. Amo la musica e soprattutto il pianoforte. Amo la montagna, il mare e in generale viaggiare.


Nell’antico Egitto il medico era chiamato  “Swnw”, letteralmente “colui che appartiene a chi è ammalato”.  

Oggi questo termine conserva un suo significato, sebbene il concetto di malato e di malattia non sia solo legato a una patologia fisica, ma anche alla mancanza di salute mentale e psicofisica.

Il medico, e più in generale la medicina, hanno dunque come presupposto fondamentale la cura e laddove questa non sia possibile, la ricerca, proprio perché la medicina non è una scienza esatta. Non essendo tale, è inevitabile che possa andare incontro all’errore, e insieme ad essa anche coloro che la studiano e la applicano, i medici

Pensiero comune è che la medicina abbia l’obbligo e il potere di curare e di guarire, non tenendo conto del suo presupposto fondamentale. Oggi più che mai il medico viene descritto talvolta come l’eroe che combatte in prima linea, altre volte come incompetente, negligente o incapace di salvare una vita umana. 

Ma allora, chi è il medico? Il medico è una persona come chiunque altra, un uomo che ha l’obbligo di rispondere ai propri doveri lavorativi ma ha anche la possibilità di incorrere in errore, il peso di questo viene definito dalla medicina stessa. Pensare che il medico non possa sbagliare è indubbiamente ossimorico, occupandosi lui stesso di una scienza che non conosce leggi definite.

La medicina è un grattacielo sempre in fase di costruzione, da migliaia e migliaia di anni, e in ogni mattone di scoperta è insito un errore che comporta inevitabilmente una continua ricerca.

Questo è il dono della medicina, un moto vorticoso in cui la ricerca è l’oggetto primo.

Un periodo storico estremamente importante da questo punto di vista fu l’Ottocento, secolo in cui al fine di far trionfare una verità basata su evidenze sperimentali, vi fu una notevole volontà di distruggere dogmi e teorie attraverso studi e ricerche.

In Europa si affermò il positivismo, corrente filosofica e culturale caratterizzata da una fiducia nel progresso che coinvolse anche la medicina, gettando le basi per lo sviluppo di uno studio sperimentale che permise l’acquisizione di nuove conoscenze soprattutto in ambito microbiologico. Avviarono così gli studi relativi agli agenti patogeni e malattie infettive in abito chirurgico grazie all’invenzione e al perfezionamento di numerosi strumenti.

Nell’ambito della chirurgia il problema centrale era legato al fatto che questa era da sempre stata poco praticata, poiché legata a una storia del tutto indipendente dalla medicina. Se quest’ultima infatti era sempre stata ritenuta una scienza tramandata attraverso studi, la chirurgia aveva sempre seguito una via orale, spesso praticata da persone del tutto disgiunte da uno studio teorico, dal quale oggi è imprescindibile. Oltre a ciò, non avendo ancora chiara conoscenza di cosa fossero virus o batteri, e dunque della loro modalità di trasmissione, la chirurgia non possedeva strumenti atti a scongiurare possibili infezioni derivanti da un’operazione.

Una semplice quanto fondamentale norma igienica scoperta solo nell’Ottocento

Questo il motivo per cui questa branca della medicina risultava flagellata da un alto tasso di mortalità dato da infezioni che seguivano nel decorso post-operatorio.

Durante le operazioni, le pratiche di antisepsi (ovvero le procedure volte a ridurre il numero di agenti patogeni potenzialmente presenti) erano limitate a una semplice pulizia della ferita, i chirurghi operavano senza alcun dispositivo di protezione come guanti o mascherine, con indumenti sporchi, senza l’utilizzo di disinfettanti per la prevenzione di setticemie che regolarmente insorgevano in fase post-operatoria.

Uno dei più celebri studiosi di questo straordinario periodo fu l’ungherese Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865), il quale contribuì alla scoperta della trasmissibilità degli agenti patogeni che, tuttavia, gli venne riconosciuta soltanto dopo la morte. Semmelweis studiò a Budapest e a Vienna, dove iniziò a lavorare come medico.

In questo secolo più che in altri, si registrarono vere e proprie epidemie di una malattia conosciuta come “febbre puerperalecaratterizzata da febbre e dolori generalizzati, le cui cause erano sconosciute e che decimava le donne che partorivano.

Semmelweis osservò che dei reparti in cui venivano ricoverate le puerpere, uno era frequentato dagli studenti di medicina che, prima di visitare le donne, effettuavano autopsie, mentre l’altro era frequentato da studentesse di Ostetricia, le quali frequentavano solo quel reparto. Semmelweis notò che il numero di donne decedute per febbre puerperale era notevolmente più alto nel primo reparto, rispetto a quello frequentato dalle studentesse di Ostetricia.

Avendo ricollegato il quadro patologico alla morte di un suo collega, Jacob Kolletschka, sopraggiunta in seguito alla ferita che questi si era procurato durante una dissezione, suppose che l’origine della febbre puerperale fosse da ricondurre a invisibili particelle presenti nei cadaveri e trasmesse attraverso mani sporche, indumenti o strumenti utilizzati dai medici. Per verificare la sua ipotesi, introdusse la pratica di lavarsi le mani con un disinfettante prima di visitare le puerpere.

Attraverso questa semplice norma igienica in breve tempo venne rilevata un’importante riduzione di decessi, dimostrando la fondatezza della sua teoria. Questa conclusione venne tuttavia considerata offensiva nei confronti dei medici, ritenendo inaccettabile affermare che la malattia fosse portata dalla mano del medico, ritenuta quasi sacra e intoccabile, al punto che Semmelweis venne allontanato da Vienna. 

Trascorse il resto della sua vita a Budapest continuando a battersi per le sue teorie, cosa che gli valse la reclusione in manicomio.

Questa scoperta, sebbene inizialmente non accolta, pose le basi per una vera e propria rivoluzione: iniziarono ad essere introdotte norme igieniche e l’uso di composti chimici per la sterilizzazione delle sale operatorie; a tutto ciò si accompagnò uno studio più approfondito di batteri e successivamente di virus che permise, nel corso del XX secolo, di trovare una cura a malattie che fino ad allora non era stato possibile curare quali tubercolosi, poliomelite e malaria.

Gli studi di Semmelweis, oltre che permettere la comprensione della base microbiologica di alcune malattie, permisero di iniziare a studiare la medicina da un punto di vista molto più critico e moderno: la medicina non era più una scienza sacra” e intoccabile ma una scienza ricca di “se” e di “ma”, confutabile e in ogni momento rivoluzionabile. Capire che il medico, nella sua facoltà di curare portava con sé l’errore che conduceva alla malattia, premise di creare un nuovo mattoncino e di accrescere questo infinito grattacielo.