Studentessa di Lettere moderne all’Alma Mater Studiorum, vivo divisa tra Prato e Bologna. Nell’attesa (e nella speranza) di diventare un giorno giornalista, mi dedico alla letteratura e alla politica. Nel tempo libero scrivo, vado in palestra, scrivo.


La corsa alla Casa Bianca di Joe Biden è stata, fin dai suoi primi passi, un’altalena di aspettative diverse. Scelto dai democratici al posto del più radicale Bernie Sanders, Biden parte svantaggiato: a gennaio tutti i sondaggi lo danno per perdente. Poi, l’imprevisto che nessuno poteva immaginare: la pandemia. Trump la gestisce male, anzi non vorrebbe gestirla proprio, e il trend si inverte. Black Lives Matter fa da carico da novanta e a settembre è Donald Trump a sembrare spacciato. Ma non è finita. Trump si ammala e la sua rapida guarigione lo rimette in corsa, rilanciando il mito di un presidente invincibile. Eppure, Trump è stato sconfitto, sebbene non sia disposto ad ammetterlo. Biden ha aspettato per quattro giorni di veder passare il cadavere del suo avversario, ma che candidato è stato (e che presidente sarà), il sornione Joe Biden?

“Sleepy Joe”, una questione di carisma

I repubblicani lo chiamano “Sleepy Joe”, e non è certo un complimento. “Joe l’addormentato”, un leader smorto, senza carisma. E la mancanza di verve nella figura di Joe Biden deve aver preoccupato anche lo staff democratico, che ha provveduto a piazzare sulla sua strada altri personaggi che portassero novità ed energia alla campagna. Va in questo  senso la scelta di Kamala Harris, prima donna a diventare vicepresidente, e l’impegno per Biden dei coniugi Obama. In un video girato durante un evento elettorale per il suo ex braccio destro, Barack Obama gioca a basket e segna un canestro da tre punti. L’agilità e il brio che Biden faceva fatica a comunicare sono arrivati dall’esterno. Lui è rimasto moderato e qui le opinioni si dividono.

Quando i numeri di Trump si sono dimostrati superiori alle attese, qualcuno si è chiesto se Bernie Sanders sarebbe stato un candidato migliore. Se la mancanza di carisma di Biden potesse costargli la Casa Bianca. Alcuni hanno pensato di sì, altri di no. Lo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer, ad esempio, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della sera che Biden è stato una buona scelta: in tempo di Covid un uomo che «incarna stabilità, affidabilità, correttezza» poteva funzionare.

E ha funzionato, anche se il risultato è stato molto più combattuto del previsto. Contrapposto a Donald Trump, con la sua campagna roboante e i suoi slogan spicci, “Sleepy Joe” per alcune ore ha rischiato di non farcela, poi i contestatissimi voti postali hanno risolto l’impasse. Questa elezione, in ogni caso, sa più di sconfitta di Trump che di vittoria di Biden. Senza il Coronavirus, infatti, la moderazione nulla avrebbe potuto contro l’impeto trumpiano, capace di intercettare (e cavalcare) i mal di pancia di ampie fasce della popolazione molto meglio dei democratici, ancora aggrappati a un “modello Obama”  che rischia di aver ormai esaurito la sua magia.                    

Un presidente contestato, che cosa aspetta Joe Biden

Un risultato conteso

Lo spoglio si è trascinato per quattro giorni, durante i quali Joe Biden è stato un presidente sospeso. Sapeva di avere in tasca i voti decisivi, ma doveva restare cauto per non esporsi al fuoco di Donald Trump che fin dalle prime ore di conteggio ha denunciato presunti brogli, tentato di bloccare gli scrutini e annunciato ricorsi su ricorsi.

In questo limbo, Biden ha comunque parlato più volte alla nazione e lo ha fatto fin da subito con la retorica di un presidente eletto. Già il 4 novembre si è rivolto agli americani per dichiarare la volontà di essere il presidente di tutti, democratici e repubblicani, senza distinzioni tra “stati rossi” e “stati blu”. Un appello all’unità che si è opposto frontalmente ai discorsi infuocati e divisivi del suo avversario. Trump, infatti, si è giocato tutto con la sua solita arma della contrapposizione. Bene contro male. Repubblicani onesti contro democratici imbroglioni.

Dall’esterno può sembrare solo il delirio di uno sconfitto, ma tutto ciò può avere un impatto importante sulla prossima presidenza. Jo Biden, infatti, arriva alla Casa Bianca al termine di una tornata elettorale incerta, contestata e logorante. Trump continuerà a gridare al complotto, forse trascinerà la questione in tribunale (vorrebbe arrivare, nei suoi piani, fino alla Corte Suprema) e in questo modo spera di delegittimare il nuovo presidente agli occhi degli americani.

2020-2024, una presidenza difficile

Dopo questa sconfitta, Trump non scomparirà dai radar, anzi. Farà di tutto per reinventarsi come leader dell’opposizione e avrà quattro anni per minare la credibilità di Biden e prepararsi il terreno per il 2024.

Per Biden, quindi, si annuncia una presidenza turbolenta, costantemente sotto tiro. Se poi dovesse concretizzarsi l’incubo americano di un sorpasso da parte dell’economia della Cina, previsto da una recente stima della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, pubblicata dal Sole 24 Ore, proprio nel 2024, ecco che Trump avrebbe un potentissimo volano per cercare la rielezione.

Le elezioni del 3 novembre, inoltre, non hanno consentito ai democratici di affermarsi al Senato. I dati non sono ancora definitivi, ma lo scenario migliore è un debole 51-49 o un 50-50 rotto da Kamala Harris. Non esattamente una maggioranza schiacciante. A questo si aggiunge una Corte Suprema che, con la recente nomina di Amy Coney Barrett, è decisamente a maggioranza conservatrice (6 giudici repubblicani contro 3 democratici).

Il presidente Biden, insomma, rischia di trovare sulla sua strada non pochi ostacoli, ma per ora la sua vittoria fa respirare i democratici e la sinistra europea. La speranza, fondata o meno che sia, è che caduto Sansone cadano anche i Filistei.