Laureato in Scienze della comunicazione presso l’università di Pisa, studente di Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica presso l’università di Firenze. Lettore assiduo di filosofia politica.


Il 21esimo secolo era iniziato come “il secolo americano”. Il “The Economist” nel 1999 scrive che gli Stati Uniti “sovrastano il mondo come un colosso; dominano negli affari, nel commercio, nelle comunicazioni. Hanno l’economia più forte del mondo e la loro forza militare non ha rivali.”

Ciò che successe l’11 settembre, oltre a cambiare molte disposizioni di sicurezza, ha fatto riemergere un fenomeno politico e sociale che sembrava essersi oscurato da qualche decennio: la religione civile americana.

Quest’ultima è una religione “speciale”, diversa dalle altre religioni, perché è scaturita dalla sacralizzazione politica degli USA come una nazione benedetta da Dio. Il punto cardine di questa religione civile è la convinzione che Dio ha dato in dono al popolo americano i valori della democrazia, cosicché il popolo americano ne faccia dono a tutte le altre popolazioni.

Il Dio della religione americana è un Dio esclusivamente americano, che non si identifica con il Dio di nessun’altra religione conosciuta.

La costituzione americana afferma il principio di separazione fra Stato e Chiesa, eppure mai, nel corso della storia, la politica degli Stati Uniti è stata separata dalla religione. Il paradosso che riemerge dopo l’11 settembre è essenzialmente questo: una nazione che separa costituzionalmente lo Stato dalla Chiesa ma non separa la politica della religione. Il motivo che si cela dietro a questa fusione deriva dal pluralismo religioso della società americana che si fonda sul principio della libertà di culto, e non consente a nessuna religione a prevalere sulle altre. Non potendo prevalere nessun culto religioso sugli altri, si eleva a super partes la religione civile americana.

Quest’ultima sacralizza la democrazia americana senza entrare in conflitto con le altre Chiese presenti sul suolo statunitense. Inoltre, questa religione trascende le divisioni partitiche e politiche, innalzandosi al di sopra delle contrapposizioni ideologiche fra repubblicani e democratici. Emilio Gentile scrive: “Come fanno a gara nel professare la loro fede in Dio, così gli uni e gli altri fanno a gara nel professare la loro fede nella democrazia di Dio” (Fonte: Emilio Gentile, La democrazia di Dio, Laterza, Roma, 2012).

L’apice della religione civile americana è stato raggiunto anche grazie al ruolo che ha svolto George W. Bush jr. dopo l’attentato alle torri gemelle, elevandosi a capo di culto, specialmente nei confronti degli americani musulmani: proclamando che l’Islam è una religione di pace e che i terroristi non rappresentano la religione islamica, Bush ha impedito che si creasse una frattura fra il Dio della religione americana e la fede degli americani musulmani.

Nel discorso del 20 settembre al Congresso, il Presidente si rivolse ai musulmani di tutto il mondo per dichiarare il rispetto degli americani per la loro fede. Le dichiarazioni di Bush nei confronti dell’Islam, contribuirono a sedare l’atteggiamento antiarabo e anti-islamico fra la popolazione americana. Secondo un sondaggio pubblicato il 6 dicembre 2001 dal Pew Research Center, solo il 27% degli americani oltre i 65 anni dichiarava di sapere qualcosa dell’Islam, rispetto al 44% degli americani sotto i 30 anni. La percentuale di coloro che li consideravano favorevolmente era salita al 45% nel mese di marzo, al 59% alla fine dell’anno. L’intervento di Bush in favore dell’Islam e dei musulmani americani influì in particolare sull’atteggiamento dei repubblicani conservatori: la percentuale di quelli che consideravano favorevolmente i musulmani d’America era salita dal 29% nel marzo 2001 al 64% a dicembre dello stesso anno.

Oltre alle dichiarazioni favorevoli nei confronti della religione islamica, Bush assunse il ruolo di “Padre degli americani”, mostrandosi un abile ascoltatore del dolore che i cittadini provarono in un momento tragico come quello che stavano vivendo, elevandosi a Capo di Stato e teologo della religione americana. Riuscì ad esaltare sia la componente di Pastore compassionevole, che quella del Presidente autorevole, diventando il massimo interprete di quello che accadde l’11 settembre nel quadro della missione provvidenziale della “Democrazia di Dio”. Usando un linguaggio che mescolava, con molta efficacia, politica e religione, in poche settimane Bush riuscì a monopolizzare l’interpretazione della tragedia, e si incaricò personalmente di elaborarla, dandone una spiegazione religiosa e politica insieme.

Quella che verrà chiamata da Bush “guerra al terrore”, avrà come presupposto fondamentale la demonizzazione del terrorismo islamico e dei regimi che, secondo lui, lo sostenevano. Nella costruzione del nemico, si delineò immediatamente l’entità impersonale del male e, in questo modo, la guerra assunse un carattere religioso.

La differenza fondamentale fra gli americani e i loro nemici, dichiarò Bush, era il rispetto per la vita, perché ogni vita è dono del Creatore, che vuole che viviamo nella libertà e nell’eguaglianza, mentre i nemici dell’America non attribuivano alla vita alcun valore.

La tragedia dell’11 settembre riglorificò il carattere americano, e Bush, attraverso la sua retorica, sembrava voler proiettare sul tutto il popolo americano la propria esperienza di cristiano rinato attraverso la riscoperta della fede.

Il Presidente americano elevò l’America ad entità astratta, universale e sacra; una nazione benefica e salvifica, eletta da Dio e chiamata a difendere il bene nella guerra scatenata dal male.

Nel periodo che intercorse fra il “discorso sull’asse del male”, nel gennaio 2002, e l’abbattimento del regime di Saddam Hussein, nel maggio 2003, Bush continuò ad esercitare il ruolo di capo della religione civile americana. I temi furono i soliti utilizzati subito dopo l’attacco terroristico, che ripeté durante la guerra in Iraq, durante la campagna elettorale del 2004 e dopo la sua rielezione: la glorificazione dell’America unita e forte, pronta ad obbedire alla chiamata della storia per continuare, con l’aiuto di Dio, la sua missione a difendere e diffondere la democrazia nel mondo, combattendo contro i nemici dell’umanità.

Il militarismo messianico fu comunque un aspetto nuovo della religione civile di Bush, reso evidente anche attraverso il simbolismo di luoghi scelti dal presidente per pronunciare importanti discorsi alla “guerra del terrore”; per esempio il discorso in cui anticipava i principi della guerra preventiva fu pronunciato da Bush il 1° giugno 2002 davanti agli allievi dell’accademia militare di West Point; l’annuncio dell’abbattimento del regime di Saddam Hussein, il 1° maggio 2003, dopo tre mesi di guerra, fu dato da Bush a bordo della portaerei Abraham Lincoln, dove era giunto guidando lui stesso l’aereo: il presidente parlò indossando la divisa di pilota, attorniato da soldati e sullo sfondo uno striscione con la scritta “missione compiuta”.

In molte altre circostanze pubbliche, il Presidente appariva accanto a simboli della potenza militare, come a voler costantemente ricordare agli americani che erano in guerra, che la guerra era senza fine, e che in lui gli americani avevano un capo risoluto, deciso, devoto, e interamente dedito a difendere l’America, armato con la sua fede in Dio e scelto da Dio stesso.