Laureato in filosofia presso l’università degli studi di Genova, dove frequento la magistrale in metodologie filosofiche. Appassionato, ovviamente, di filosofia, soprattutto nel suo versante etico, politico e sociologico.

Rupert Turner (Jacob Tremblay) ha otto anni ed una forte passione per John F. Donovan (Kit Harington), star di una serie televisiva americana, tanto da avviare con lui una corrispondenza epistolare che nasconde a tutti, persino alla madre (Natalie Portman). Tuttavia il segreto sarà destinato ad essere scoperto: Il bullo della scuola che Rupert frequenta ruba le lettere, scatenando l’ira del protagonista e la reazione dei media. Le conseguenze non abbatteranno Rupert, il quale continuerà a seguire le tracce del suo idolo, diventando un attore affermato che adesso si confessa al microfono di una giornalista, raccontando la sua vita con John F. Donovan.

Con The Death and Life of John F. Donovan Dolan affida nuovamente all’immagine il ruolo di mezzo privilegiato per comunicare i propri segreti più intimi, attraverso la struttura di “film-confessionale” che già aveva caratterizzato le prime opere del regista canadese. J’ai tué ma mère si apriva proprio con il protagonista Hubert che, davanti ad una videocamera, confessava allo spettatore il suo rapporto con la madre. Le domande sul tema dell’amore e delle relazioni umane aprivano invece Les amours imaginaires, mentre in Laurence Anyways una lunghissima intervista permetteva al protagonista di raccontare la sua scelta di cambiare sesso.

In quest’opera maledetta, montata e ri-montata, al centro dell’intervista c’è Rupert Turner che descrive ad una giornalista la corrispondenza avuta con il suo idolo qualche decennio prima, che permette a noi spettatori di esplorare contemporaneamente due vite diverse (quella di Rupert e quella di John Donovan) e due mondi diversi, ma non così distanti come si potrebbe pensare. Infatti se John Donovan è una celebrità affermata, Rupert è un aspirante attore che si identifica con il suo idolo, che diventa il suo modello indiscusso. La distanza geografica (l’azione si svolge tra New York e la periferia londinese) non separa da un punto di vista esistenziale i due protagonisti, i quali a loro volta si confessano in modo reciproco attraverso le lettere che regolarmente si scrivono. Donovan è un uomo che mente costantemente a se stesso alla propria famiglia, si interroga sulla propria identità e sulle possibilità del suo passato, che adesso sembrano crollare davanti ai suoi occhi. Il successo non ha fatto altro che corrodere l’esistenza dell’attore, costretto a vivere una vita che non gli appartiene, scandita dall’apparenza e dai giudizi del tribunale mediatico, che si rivelerà una delle cause del suo suicidio (il film si apre proprio con Rupert che, guardando il telegiornale, assiste alla notizia della morte del suo idolo).

A fare da controcampo alla vita da star di Donovan, c’è invece la quotidianità di Rupert, bambino ambizioso e sensibile che vive con la propria madre, anch’essa ex aspirante attrice. Egli non aspetta altro che uscire da scuola per arrivare a casa e poter vedere la serie televisiva nella quale è protagonista il suo idolo, come fosse una sorta di protezione dai pericoli e dalle insicurezze che la realtà esterna presenta ogni giorno.

Dolan ancora una volta decide di parlare di sé, infatti l’opera nasce proprio a uno spunto autobiografico: Dolan rivelò di aver scritto a Leonardo Di Caprio una letterina dopo aver visto Titanic, che ha letto all’attore proprio in occasione della presentazione del film al festival di Toronto.

Adesso il regista è cresciuto e non può più solo identificarsi con Rupert, ma la sua figura si riflette anche in John F. Donovan, nella sua fragilità, nei suoi dubbi e nelle sue angosce. Siamo forse di fronte all’opera più intima di Dolan, che si interroga sul percorso della propria vita, sulla sua infanzia e sul suo presente da regista di successo. Ancora una volta ritornano i temi che percorrono la sua carriera, tra i quali il rapporto madre-figlio, l’omosessualità, la ricerca di se stessi e la grande domanda sulla consistenza delle relazioni umane. La bellissima scena di in cui Donovan torna a casa e si confronta con la propria famiglia ed in particolare con la madre (Susan Sarandon) ed il fratello, ricorda il dramma famigliare che era al centro di Juste la fin du monde. Dolan sa emozionarsi ed emozionarci grazie alla spontaneità del suo cinema, nel quale egli si riflette e confessa le sue paure e le sue ossessioni che inevitabilmente diventano anche quelle di noi spettatori. The Death and Life of John F. Donovan è un film di ricordi e sensazioni, di istanti di vita frammentati che si avvicinano e poi si allontanano tra di loro, che nemmeno in un libro (come quello che scriverà Rupert proprio sulla sua corrispondenza epistolare con l’attore) o in un film possono essere contenuti.

La stessa colonna sonora, che comprende brani come Stand by Me, Rolling in the Deep, Hanging by a moment e Bitter Sweet Symphony, accompagna le inquadrature fatte di primissimi piani e dettagli, grazie ai quali Dolan sembra voler, ancora una volta, penetrare nell’interiorità più profonda dei suoi protagonisti.

Sembrava gravare una maledizione sulla prima opera di Xavier Dolan lontano da Montréal, infatti il giovane regista era stato invitato a presentare il suo film in anteprima al Festival di Cannes 2018, ma non contento ancora del proprio lavoro Dolan decise di posticipare la presentazione al Toronto International Film Festival nel settembre 2018, in seguito alla quale ha ricevuto aspre stroncature da parte della critica.

Siamo indubbiamente di fronte all’opera più ambiziosa del regista canadese, forse criticata in modo eccessivo e presentata come un disastro pressoché assoluto. The Death and Life of John F. Donovan è in realtà un film spontaneo, potente da un punto di vista emotivo e caratterizzato da una profonda autorialità. Tuttavia è innegabile che Dolan abbia fatto un passo indietro rispetto alle sue opere precedenti, soprattutto per quanto riguarda la gestione di alcuni personaggi (Susan Sarandon in primis) e per la scrittura che tende a disperdersi nella seconda parte del film.

Dolan, pur cadendo in eccessi virtuosistici, continua il proprio percorso cinematografico, aggiungendo un importante tassello alla sua carriera. E adesso noi non possiamo far altro che attendere l’uscita nelle sale di Matthias & Maxime.