Dal 17 novembre la Francia è scossa da un terremoto sociale che sta facendo chiacchierare tutto il mondo: il movimento dei gilet gialli (gilets jaunes). Quasi un mese è trascorso dalla loro prima apparizione nelle strade francesi, eppure resta difficile poterne parlare e dibattere con precisione.
Il discorso del presidente Emmanuel Macron di ieri sera ha lasciato un po’ tutti con l’amaro in bocca: too little, too late. Eppure, la sua risposta fa trasparire un’esigenza da parte dello Stato di doversi confrontare con quel che sta accadendo, problema inizialmente minimizzato ed ignorato.
In questo breve articolo mi limiterò a dire ciò che non è stato detto o semplicemente tralasciato, precisando come il tutto sia frutto della mia analisi personale, senza la presunzione di ergermi a verità scientifica.
Questa premessa per ribadire un concetto fondamentale: la situazione è complessa;
cercare infatti di ridurre i protestanti ad una sola classe sociale sarebbe un grave errore. Nonostante la miccia che ha dato inizio alla sollevazione sia stata l’aumento (e la promessa di un progressivo aumento nel tempo) del prezzo del carburante, le ragioni della mobilitazioni sono da ritrovare in più fattori scatenanti, tra cui lo stesso turbolento tessuto sociale francese. Il gilet giallo, lo stesso che viene utilizzato per farsi notare in strada, è diventato presto simbolo di un’esigenza di riconoscimento, un grido che vuol dire “sono qui, guardatemi, esisto!”.
Innanzitutto, l’ultra centralizzazione dello Stato ha de facto costretto un numero esorbitante di francesi ad una vita da pendolari, la maggior parte per ragioni essenzialmente economiche, come ad esempio quelle famiglie che non potendo permettersi un appartamento a Parigi o nei grandi centri urbani sono costretti a spostarsi in macchina. La scarsa affidabilità e qualità dei trasporti che circondano la Capitale lasciano infatti poco margine di scelta rispetto agli spostamenti; per darvi un’idea, è spesso più rapido andare da Parigi a Rennes (1h30, 360 km) o da Parigi a Lille (1h, 210 km) piuttosto che spostarsi dalla banlieue parigina al centro della città (1h30 e tante preghiere).
Perché, se posso permettermi una breve riflessione, al posto di decentralizzare l’attività economico-lavorativa e ridistribuirla in tutta la Francia si preferisce investire sui TGV e creare nuove “banlieues parigine” un po’ in tutto lo Stato… bon, passons.
Inoltre, vi ricordate gli scioperi dei ferrovieri (gli cheminots) contro la privatizzazione della SNCF che hanno scosso il Paese fino a qualche mese fa? Ecco, anche loro hanno partecipato alle marce dei gilets jaunes degli scorsi giorni. Non pretendo qui di spiegare le ragioni di tali scioperi, ma è giusto tenere presente un quadro generale dello scenario politico-sociale francese per tentare di capire al meglio cosa stia accadendo oggi.
Continuando, la maggior parte delle facoltà francesi sono occupate o chiuse perché da venerdì scorso sono in corso delle assemblées générales per decidere se continuare a scioperare e sostenere i gilets jaunes.
Perché? Oltre l’introduzione di Parcousup nel sistema d’ammissione nelle università francesi – che ha di fatto impedito ai cittadini delle banlieues e provenienti da licei professionali di accedere a degli insegnamenti superiori – il governo ha deciso di decuplicare le tasse di iscrizione per gli studenti stranieri extra-UE.
Degni di menzione inoltre alcune riforme portate avanti da Macron a danno dello stato sociale francese: riduzioni delle APL (aide personnalisée au logement, praticamente il sistema CAF), soppressione della tassa sulla fortuna, sussidi di disoccupazione non più garantiti a tutti.
E’ evidente che ci troviamo di fronte ad un minestrone colmo di ingredienti diversi, provenienti da variegate realtà sociali.
Dunque questi gilets jaunes, chi sono? Il popolo francese nella sua (quasi) integralità: dal piccolo agricoltore bretone che ha bisogno del trattore per lavorare, al commerciante nantese che lavora in autostrada; dal liceale delle banlieue che non vede futuro nella sua carriera perché considerato non abbastanza parigino, all’impiegato delle poste che rischia di perdere la sua pensione; dal proprietario di una piccola media impresa in periferia, al lavoratore siderurgico delle grandi industrie nella regione di Lille.
In fin dei conti, è difficile tracciare una linea che marchi con esattezza l’estrazione sociale di tutti i partecipanti delle marce che infiammano il Paese, dato che la tensione sociale è in ascesa già da anni, se non decenni. Eppure un fattore in comune si può ritrovare: “Macron démission!” è lo slogan che viene gridato e cantato in ogni strada di Parigi ed in tutti gli angoli dell’Esagono, ma attenzione; anche se l’obiettivo che accomuna centinaia di migliaia di francesi può essere la caduta dell’attuale governo e la chiamata alle urne, ciò non significa che i progetti politici siano anch’essi condivisi da tutti. Infatti, come ogni movimento spontaneo e cittadino degno di questo nome, le aspettative e le modalità d’azione sono molteplici e di ogni colore politico – proprio perché, come ho scritto finora, la delusione e la rabbia accomuna un’enorme fetta di popolazione in tutta la sua varietà.
Ecco spiegato perché alla marcia di sabato c’erano, per darvi un’indicazione in ottica di spettro politico italiano, sia Potere al Popolo che CasaPound (anche se in proporzioni decisamente differenti): popolare e spontaneo non significa che gli “estremi si toccano”, piuttosto che il movimento è così esteso che è in grado di toccare persino due realtà politiche situati agli antipodi. Non a caso le marce sono state accolte con favore, nello spettro francese, sia da Marine Le Pen che da Jean-Luc Mélenchon. Pensare che questo dato indichi una somiglianza nei due poli significherebbe buttare al cesso tutta la storia e l’analisi politica, sociologica, economica e sociale che esiste nel mondo occidentale fino ad oggi.
Al contrario, ogni colore politico sta comunicando ed agendo al fine di egemonizzare quella fetta di popolazione che si riconosce in quelle specifiche lotte; per dirne una, tra le richieste (più o meno reperite)dei gilets jaunes troviamo l’abbassamento delle tasse ed un rafforzamento dello stato sociale. Così su due piedi, la richiesta di una maggior spesa pubblica con un taglio della pressione fiscale potrà sembrare ridicola e paradossale anche a chi non ha mai aperto un libro in materia. Eppure, questa richiesta potrebbe invece essere il sintomo di una non convergenza delle richieste, ed anzi dimostrare la presenza di approcci completamente opposti su come risollevare il Paese. L’assenza di veri e propri rappresentanti e portavoce istituzionali inoltre fa sì che ogni richiesta abbia un basso livello di legittimità politica, dato il rifiuto di dialogo con il governo.
Tirando le somme, spero abbiate compreso l’ampiezza del movimento, le sue ragioni e le insite contraddizioni. Dopotutto, sin dall’inizio, i gilet gialli hanno rifiutato ogni tipo di egemonia politica perché rivendicano loro stessi con l’appellativo le peuple: non a caso è lo stesso popolo che ha fatto una rivoluzione appoggiandosi sugli scritti di Rousseau e della sua teoria sulla volonté générale. La loro forza è politica ma apartitica,ma ciò non significa che non stia prendendo una certa piega. Ogni movimento spontaneo, se non vuole essere ridotto all’insignificanza, ha bisogno di digerire e razionalizzare i propri progetti politici. Non è un caso se, a sole tre settimane dalla prima manifestazione, abbiamo già assistito sabato 8 Dicembre a dei cortei come “Gilets Jaunes en lutte”, dichiaratamente antirazzisti ed antifascisti, dove le fanfares intonavano “Bella ciao” e gli slogan cantati erano “Siamo tutti antifascisti” (in italiano). Dunque possiamo dire che per come lo scenario si presenta ad oggi, la speranza per una convergenza delle lotte esiste.
Concludo con un invito: nonostante la contingenza faccia venir voglia di lanciarsi in analisi da bar, è importante tenere a mente il contesto storico-politico, il tessuto sociale e tutti i decenni di politiche dell’attuale governo e dei precedenti. Il consiglio che posso darvi, dato che per lo più siete lontani, è quello di seguire i loro movimenti online, dato che sono attivissimi sui social(come Twitter e Discord) vi renderete presto conto che qualcosa di estremamente potente e caotico si sta muovendo qui in Francia.
Nel frattempo, credo sia opportuno lasciar loro il tempo di raggrupparsi e dividersi secondo degli obiettivi precisi, non perdendoli di vista ed andando incontro a quelle fazioni che chiedono rappresentanza ed aiuto nei loro progetti.
Questo segnale sociale non fa altro che esplicitare quel sentimento di ingiustizia fiscale che il popolo francese sta covando da tempo.
Articolo di Giada Pistilli