Laureato in Storia e critica del cinema, studia Informazione ed Editoria presso l'Università di Genova. Appassionato di tutto ciò che riguarda l'audiovisivo e la parola scritta.

Dal Fondo alla Gloria

A metà Anni Cinquanta, Stanley Kubrick era uno dei giovani registi in rampa di lancio. Nonostante fosse distante dalla definitiva consacrazione a divinità cinematografica con cui siamo soliti riferirci a lui oggigiorno, il suo ultimo lavoro Rapina a Mano Armata (1956) aveva ottenuto un ottimo successo di critica. Il pubblico però non era ancora totalmente dalla sua parte, così come non lo erano le grandi case di distribuzione americane; Max Youngestein, della ormai defunta United Artists, disse che, in una immaginaria classifica dei nuovi talenti, Kubrick “non era lontano dal fondo”.

Stanley Kubrick negli Anni Cinquanta

Non stupisce dunque che la MGM, con cui aveva un contratto, si rifiutò di produrre il suo nuovo progetto, tratto da un romanzo di Humphrey Cobb (che Stanley lesse anni prima, per caso, nello studio del padre) troppo controverso per via del suo soggetto chiaramente antibellico. Così egli passava il giorno lavorando allo sviluppo di uno dei script voluti dalla sua casa di produzione, ma, durante la notte, scriveva segretamente la prima stesura della sua pellicola sulla guerra.

Naturalmente fu scoperto e licenziato. A salvarlo però ci pensò Kirk Douglas, che nel frattempo aveva ricevuto una copia dello scritto ed era molto interessato al ruolo principale. Disse alla United Artists che si sarebbe rifiutato di girare I Vichinghi (su cui la UA puntava molto) in caso non venisse prodotto anche il film di Kubrick; probabilmente senza il suo intervento non avrebbe visto la luce Orizzonti di Gloria, una delle vette cinematografiche più alte di sempre.

Un franco, grazie

Prima guerra mondiale. Al generale francese Mireau (George Macready) viene ordinato di organizzare l’assalto ad un forte tedesco, saldamente difeso e fortificato. Nonostante sia cosciente dell’inevitabile massacro a cui i soldati andranno incontro, si reca sul fronte amico per predisporre l’attacco. Gli uomini di quella zona sono guidati dal capitano Dax (Kirk Douglas), persona valorosa e leale, che nonostante le perplessità non può esimersi dall’eseguimento dell’ordine. La mattina designata, solo la prima ondata trova il modo e il coraggio di uscire dalla trincea per lanciarsi incontro alle bombe tedesche e, quindi, alla morte. Mireau, oltraggiato da quella che ritiene vigliaccheria, decide di allestire una punizione esemplare: tre uomini del reggimento, scelti casualmente, verranno processati e fucilati. Dax tenterà in ogni modo di difendere e sottrarre alla morte il gruppo di innocenti, anche presentandosi al processo come avvocato difensore. È chiaro però che il giudizio è sommario, i suoi sforzi si risolvono in un nulla di fatto. Dopo aver rifiutato una promozione, Dax torna in prima linea a combattere con i suoi.

Come già detto, il film è tratto dal romanzo omonimo di H. Cobb. Quest’ultimo, veterano di guerra, si era ispirato alla storia vera di cinque francesi fucilati per ammutinamento nel 1915. Quando poi furono assolti vent’anni dopo, una delle vedove ricevette, quasi come ultima beffa, un franco di risarcimento.

Kubrick aveva pensato di cambiare il finale per renderlo più commerciale, anche per via delle vicissitudini produttive sopradescritte, ma, nella stesura finale, uno degli sceneggiatori che lavoravano con lui reintrodusse l’amara chiusura originale (si dice che, anche in questo caso, le pressioni di Kirk Douglas siano state decisive).

La Guerra e il Cinema

Fin dal suo esordio Stanley Kubrick aveva manifestato un interesse molto forte per le potenzialità rappresentative della guerra. Egli però non era affascinato dall’idea di mostrare lo scontro tra due divisioni distinte, bensì dall’utilizzo della situazione di estrema confusione morale come pretesto per mettere in luce le divisioni interne all’animo umano e, come diretta conseguenza, alle fazioni amiche. Il suo primo film Paura e Desiderio (1953) rappresentava lo scontro tra due gruppi di soldati dove sia i “buoni” che i “cattivi” erano interpretati dagli stessi attori. Una metafora forse un po’ sempliciotta (o come la definì esageratamente lo stesso regista “un balbettante esercizio amatoriale di cinema scritto da un poeta fallito”), ma comunque già rivelatrice di quello che sarebbe stato il soggetto centrale del cinema Kubrickiano.

Nonostante il contesto bellico, in Orizzonti di Gloria il nemico non si vede mai (idea ripresa recentemente dal Dunkirk di Christopher Nolan); si avverte nei bombardamenti sulle trincee, ma non è centrale. La sua eliminazione è un ulteriore conferma di come il regista intenda lanciare un grande “no” all’assurdità della guerra e al contempo dichiarare con sconfortante pessimismo che la razza umana è destinata a lacerarsi dall’interno. Così, per gli stessi motivi interni, si distruggerà la famiglia di The Shining (1980) o l’intero pianeta terra ne Il Dottor Stranamore (1964).

Parlare del lato tecnico, come per ogni film di Kubrick, è superfluo. Basterebbe vedere la devastante fluidità delle carrellate interne alle trincee o le ordinate e simmetriche inquadrature che si oppongo al caos morale dell’omicidio dei tre soldati innocenti. Per tutta la durata della pellicola si ha la netta sensazione di essere davanti al cinema puro, nella sua massima sintesi tra forma e sostanza.

L’esecuzione dei tre soldati

Poi, negli ultimi minuti, arriva uno dei finali più belli della storia del cinema. Una ragazza tedesca, catturata dai francesi, è costretta ad esibirsi per i soldati che fischiano e urlano per divertirsi. Piangente, la giovane inizia ad intonare con voce esile The Faithful Hussar. Gli uomini poco a poco si zittiscono per poi accennare un sommesso canto di accompagnamento. È l’unico momento in cui Orizzonti di Gloria non lascia trasparire l’orrore profondo della guerra e riesce a dare qualcosa di ancora più profondo, sul labile confine che separa la speranza da un assoluto senso di abbandono.