Studente di Giurisprudenza presso la prima Università di Roma "La Sapienza". Poliglotta e viaggiatore; la politica, i popoli e le culture sono la mia passione.

Un punto di partenza sulla legittima difesa

«La difesa è sempre legittima». Questa la frase che siamo abituati a leggere su fogli di carta sventolati da parlamentari nella camera, come titoli di reportage di DALLA VOSTRA PARTE visti in prima serata su RETE4 o su volantini che illustrano il programma elettorale di questo o quel partito.

Ma questa battaglia giuridica (o sarebbe più corretto dire di politica giuridica) esattamente su quali questioni verte?Cominciamo dal dato testuale e prendiamo il nostro codice penale all’articolo 52. Potremo notare che esso inizia con le parole «Non è punibile chi». L’attento lettore già da qui può dedurre qualcosa di importante: la legittima difesa nel nostro sistema è configurata come una causa di giustificazione. E questo cosa significa?

Bene innanzitutto significa che a monte dell’applicazione dell’art. 52 esiste un fatto illecito, un insieme quindi di condotta ed evento che sono qualificati come reato. Siamo quindi nell’area dell’antigiuridicità. Compito dell’istituto della Legittima Difesa è quello di riportare il fatto commesso all’interno dell’area del giuridico (insomma, di ciò che è lecito e che ci è concesso fare) e questo perché il nostro ordinamento valuta che ci siano ragioni che giustifichino la commissione del fatto. Nel caso dell’art. 52 questa ragione è (prendiamo di nuovo il testo) «esservi costretto [per] difendere un diritto proprio o altrui contro un pericolo attuale di un’offesa ingiusta sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

Il comportamento sarà tutelato se l’offesa sarà rivolta a difendere un diritto (l’incolumità o un bene nostro o altrui) e non oltrepassi questo fine. Possiamo dire che nel nostro Stato in realtà la difesa sia già di per sé sempre legittima fintanto che essa effettivamente sia difesa.

In caso contrario viene meno la ragione tutelata dal sistema e con essa, automaticamente, la tutela stessa.

La proporzione e l’eccesso di difesa

Il dibattito politico quindi si fonda sulla premessa sbagliata: che ci siano casi in cui la difesa non sia riconosciuta dalla legge. Argomentazione questa suggestiva ed efficace ma certamente sbagliata.

Tanto è vero in quanto l’ordinamento stesso prevede ai commi secondo e terzo dello stesso articolo due casi in cui non è necessario neppure dimostrare che la difesa sia proporzionata perché si suppone (attenti alla parola, vuol dire che comunque si può dimostrare il contrario) tale. Questi casi sono:

  •  La legittima difesa esercitata nella propria abitazione
  •  La legittima difesa esercitata nel luogo dove si svolge la propria attività commerciale

Inoltre l’eccesso nella legittima difesa è punito (a norma dell’articolo 55) a titolo colposo, deve quindi esservi una colpa dell’agente perché la sua condotta venga punita. Questo significa che la legge tanto tutela il diritto alla self-defense da ritenere che non sia sufficiente il solo eccedere il limite di proporzionalità tra azione e reazione a rendere punibile la condotta. Viene invece richiesta la sussistenza di un particolare stato psicologico dell’agente dovuto ad un errore tale da essere ritenuto ingiustificabile: cioè un errore che da un lato l’uomo medio non avrebbe commesso e che dall’altro non non sia tollerabile se compiuto dall’agente concreto (E.G. un membro delle Forze dell’Ordine – che dovrebbe essere particolarmente istruito sulla reazione ad un’aggressione – è meno giustificabile di un civile in caso di eccesso).

Tutto ciò ricordando infine che è tutelata anche la reazione ad un’aggressione che sia erroneamente supposta ma di fatto non sussistente (legittima difesa putativa).

Le proposte per una nuova difesa legittima

Il discorso quindi dovrebbe valere per mettere il problema sotto la giusta lente. Chi chiede che la difesa sia sempre considerata legittima, giuridicamente chiede un ampliamento della tutela a condotte che non mirino solo al minimo necessario alla desistenza dell’aggressore. Cioè che non sia più richiesta la proporzionalità dalla reazione. Se tu, aggressore, mi dai titolo a reagire allora ogni mia reazione è giustificata. Anche se tale reazione esorbita il fine (che per il l’ordinamento attuale è il fine ultimo) di far cessare l’aggressione.

E questa risulta comunque un’impostazione più pacata rispetto ad un’altra che invece vede nella difesa uno strumento di carattere retributivo: che cioè le attribuisce uno scopo di punizione verso colui che ha per primo posto in essere l’aggressione.

Questo entra in conflitto con principi superiori del nostro ordinamento e quindi è radicalmente inammissibile a meno di una sovversione dei valori del nostro Stato.

La prima e più moderata sarebbe, secondo me, astrattamente configurabile tramite il semplice ampliamento dell’area delle condotte giustificate.

Ma sarebbe forse tale ampliamento eccessivo? Il novero delle condotte già tutelate dall’istituto è già vasto, appunto anche grazie alle presunzioni dei commi due e tre. La questione non è certo di facile risposta ed è per questo che il dibattito politico se ne nutre. L’importante è non cadere nel tranello di chi vuol farci credere che lo stato non abbia intenzione di permettere ai propri cittadini di tutelarsi. Esso (e questo è sempre importante tenerlo a mente) ha scelto, in questa come in altre occasioni, una via di mezzo per tutelare più diritti. Quello alla difesa del singolo e quello alla sicurezza comune tentando di evitare che uno dei due vada a prevalere sull’altro.

Ma è questo il vero giusto mezzo?

articolo di Emanuele Toma