Laureato in Storia e critica del cinema, studia Informazione ed Editoria presso l'Università di Genova. Appassionato di tutto ciò che riguarda l'audiovisivo e la parola scritta.

Uomo e Artista

“Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”

-Friedrich Nietzsche

La distinzione tra uomo e artista, e quindi tra uomo e opera d’arte, è un tema spinoso e delicato. Da sempre oggetto di dibattiti, la complicata questione è riemersa recentemente a seguito del caso Weinstein, dove molti uomini, idolatrati per la loro produzione artistica, sono stati oggetto di accuse per via dei loro comportamenti moralmente inaccettabili.

Giustamente, mi sento di aggiungere.

La lotta che molte donne coraggiose hanno portato avanti non può che essere un passo in avanti per i diritti femminili e per l’uguaglianza in un mondo sessista come quello del cinema.

Nonostante ciò, una domanda sorge spontanea: è giusto cancellare ciò che di buono queste persone hanno lasciato? È giusto, per esempio, rimuovere un Kevin Spacey da Oscar da Tutti i soldi del mondo, ultimo film di Ridley Scott? Non lo so davvero.

Tutti gli amanti del cinema, delle serie tv e della stand-up comedy non possono che essere dispiaciuti nel scoprire che un gigante di tali generi come Louis CK si sia dimostrato molestatore seriale, che obbligava le donne a guardarlo mentre si masturbava. Sebbene ritengo sia scontato e giusto che CK si ritiri dalle scene, almeno per un tempo adeguato, sarebbe un peccato dimenticare e lasciar cadere nell’oblio quello che di buono ci ha lasciato.

Per questo motivo, oggi prenderemo in analisi due dei suoi lavori più riusciti: Louie (2010-2015) e Horace and Pete (2016).

Louie, Louie, Louie

Partiamo dalla sua serie più famosa e probabilmente più riuscita. Basata fortemente sulla vita del comico, essa mostra Louis nella vita di tutti i giorni, alle prese con spettacoli di stand-up e con le sue responsabilità da padre. Vi sono linee e personaggi continuativi (tra tutti, quello di Pamela) nel corso delle cinque stagioni, ma l’autore decide perlopiù di stravolgere e abbandonare le linee narrative, così da riuscire a concentrare in gruppi ristretti di episodi, spesso uno solo, le storyline di cui intende occuparsi. Non è sorprendente dunque, notare che l’ex moglie di Louie sia bianca nella prima stagione e nei flash back, mentre nella vita di tutti i giorni sia una donna di colore. Oppure non è strano che la madre di Louie compaia più volte interpretata da attrici diverse, cambiando di conseguenza carattere.

I temi affrontati sono molti. Dal rapporto con Dio e con la religione, passando per la ricerca del successo e del rapporto tra comici/amici, per l’omosessualità ed arrivando all’amore, perno di ogni minuto dello show, affrontato sia come quello di un padre verso le figlie che come semplice desiderio sessuale.

In alcuni punti, come altri hanno già sottolineato, emergono le bassezze dell’uomo; bassezze che però sono incanalate nell’arte dal CK scrittore/regista.

La scrittura e la regia di Louis CK segue, nel corso delle stagioni, una crescita esponenziale. Se nella prima le situazioni, per quanto fortemente marchiate dell’umorismo del comico, sono ancora abbastanza “canoniche”, dalla seconda in poi il vero stile emerge con prepotenza. Un bellissimo incrocio tra le atmosfere romantiche e dolceamare di Woody Allen e il surrealismo di David Lynch (che tra l’altro farà un cameo favoloso nel ciclo di puntate della terza stagione, denominate The Late Show).

Horace and Pete

Inedita in Italia, la web-serie narra la storia di due fratelli, Horace e Pete appunto, che gestiscono un bar familiare a Brooklyn. Il bar è della loro famiglia dal 1916 e, di generazione in generazione, è stato mandato avanti dai due primo geniti, sempre chiamati come il nome del locale. Oltre i due, interpretati rispettivamente dallo stesso CK e da Steve Buscemi, vi sono la sorella Sylvia, una straordinaria Edie Falco, e l’ottantenne zio Pete (Alan Alda).

Le vicende che i personaggi si trovano a dover gestire sono nere e cupe, così come nerissimo è lo straordinario umorismo che pervade la serie. Il pub diventa luogo di scontro per i conflitti familiari, ma non solo: i clienti sono il microcosmo di un’America divisa al suo interno, lacerata da tensioni politiche aspre e mai completamente risolte. La narrazione, qui continua, è intervallata da episodi isolati, che hanno spesso come protagonisti personaggi secondari; un esempio è il dialogo nel primo episodio tra due uomini al bancone, uno democratico e uno repubblicano.

Nel corso dei dieci episodi spiccano momenti di grandissima scrittura, primi tra i quali il dialogo presente nel settimo episodio tra Pete e Rhonda, una donna con cui ha appena passato la notte, che ruota intorno al problema del rapporto con la transessualità, e il monologo della sua ex-moglie in apertura al terzo episodio, che racconta gli eventi che l’hanno portata ad avere una relazione con il padre del suo nuovo marito.

La serie è stata girata in multicamera, ossia con più macchine da presa contemporaneamente, particolare che dona al tutto una regia teatrale con pochi stacchi. Ovviamente, come conseguenza, è difficile che l’azione si sposti dal bar. È interessante poi il metodo distributivo usato da Louis CK: lo show non è stato pubblicizzato e solo gli iscritti al suo sito hanno avuto notifica della sua pubblicazione. Il rapporto tra produttore e consumatore diventa, così facendo, diretto.

Ultima nota positiva è la grande musica di Paul Simon (degli Simon & Garfunkel) che accompagna la serie.