DESTRA E SINISTRA –
Studiando e interessandoci alla politica siamo sempre stati abituati a ragionare in un modo ben preciso, cioè che sia possibile porre i partiti all’interno di uno spettro con ai capi “Destra” e “Sinistra”, in maniera da avere chiara la posizione politica delle principali forze e poter comprendere meglio la situazione. Per fare un esempio, qualche decade fa avremmo posto facilmente, da sinistra a destra: PCI – PSI – DC – MSI (giusto per dirne alcuni).
Ragionare secondo schieramenti del genere ha sempre restituito una buona comprensione dello scenario politico, ma le cose ultimamente stanno cambiando. Fra chi, esagerando, dichiara che destra e sinistra non esistano più e chi rimane attaccato fortemente al canone dx-sx, i partiti politici vanno cercando un nuovo assetto entro cui sentirsi a loro agio. E se da un lato quella sinistra che rinnega il PD (MDP su tutti) sembra aver rispolverato una dicotomia politica da molti data per morta, dall’altro lato pare proprio che questa stessa “nuova sinistra” stia abbandonando il classico asse destra-sinistra. Un po’ contorto, no? Sto dicendo che questa “sinistra”, che fortemente rivendica la propria identità rossa, stia di soppiatto screditando la vecchia concezione bipolare della politica. Faccio riferimento ad un episodio in particolare che ha scosso parecchio gli equilibri negli ultimi giorni, ovvero l’apertura di MDP al Movimento 5 Stelle.
Sì, proprio quel M5S che intanto vira sempre più a destra e di cui già qualche tempo fa sottolineavamo i molti punti di contatto con la Lega. “Dobbiamo dialogare e confrontarci”, ha detto Bersani di fronte ad una folla rumoreggiante e confusa, ma per niente amica del PD (alla festa del Fatto Quotidiano). L’ex segretario Dem è stato sostenuto anche dalle parole del relatore dell’evento Tomaso Montanari: “Guardate che non è assolutamente scontato che la nuova sinistra a cui si sta lavorando debba parlare per forza al PD di Renzi. Sono molte le cose che di loro non condivido, ma c’è il Movimento 5 Stelle. Se loro restano fedeli al loro DNA, e non come ha fatto Di Maio sull’abusivismo edilizio per dirne una, possiamo dialogare con loro”.
Sembrerebbe di avere a che fare con una forza politica che non vuole dialogare col PD perché rivolto troppo amichevolmente verso il centro destra, sì, ma che per non dialogarci scavalca completamente il centro per raggiungere intese col M5S, una forza che si autodefinisce “né di destra né di sinistra” ma, aggiungerei, fortemente rivolta verso una destra abbastanza spinta ed antieuropeista.
Ha senso tutto questo? Sto forse delirando? La scienza politica sembra essere arrivata a tali considerazioni (ovviamente considerazioni generali, non riguardanti il singolo MDP) già da qualche tempo: vediamo insieme di che si tratta.
ATTACCO AL POTERE –
Senza andare troppo per il sottile, c’è una nuova logica che accomuna tutti i partiti politici italiani da qualche tempo a questa parte, ovvero l’attaccare il potere di turno. Mi spiego meglio, è buon costume ormai non avere rapporti con quei partiti che costituiscono il governo, attuando una politica di critica continua e snervante. Una pratica che a raccontarla così può sembrare antica quanto il mondo, e lo è, ma la differenza fra ora ed il passato la fa il fatto che questa sia stata accompagnata da una progressiva perdita di importanza dell’asse dx-sx: ciò significa che stia diventando via-via l’unica discriminante che caratterizza i partiti, che fanno sempre più squadra unica contro l’esecutivo. Sin dalla caduta del governo Monti si è notata una deframmentazione simile: tutti i partiti hanno usato come unico (o quasi) cavallo di battaglia la critica sprezzante ad un esecutivo che più o meno tutti avevano sostenuto fino a qualche settimana prima. A decidere anzi il crollo di Bersani, allora segretario del PD, proprio alle elezioni del 2013 era stato proprio il non essere riuscito ad attuare una critica feroce al governo Monti tanto quanto fatto da Berlusconi e dal M5S, questo secondo i dati riportati dai politologi del gruppo ITANES, autori di “Voto Amaro”, un interessante resoconto di quelle elezioni. Da allora la dialettica destra-sinistra non ha avuto più la presa sperata, e l’atteggiamento dei partiti italiani ha assunto una piega differente.
QUESTIONE DI VARIABILI –
I partiti, rivelano gli studiosi del sistema politico italiano, non si schierano più su un asse destra-sinistra, ed il modo di studiarli muta progressivamente. Pur mantenendo gli stessi appellativi d’un tempo, i partiti sono da collocare in un nuovo spettro, ai cui estremi vi sono le voci “Vicinanza al Governo” e “Lontananza dal Governo”. I giochi politici dunque mantengono ancora una sorta di bipolarismo, ma i due poli non sono più “Destra” e “Sinistra” (concetto espresso anche da Cotta e Verzichelli, 2017). Ciò che potrebbe risultare scioccante altri non è che un particolare aspetto -molto italiano- del fenomeno dei partiti fluidi. I partiti non mantengono più una posizione stabile, ma sono comunque fortemente riconoscibili dagli elettori in funzione di un certo grado di vicinanza all’esecutivo. Ed ecco spiegato perché MDP può mostrarsi aperto al dialogo col M5S.
ATTACCO AL PD –
Il sistema pare dunque aver assunto sembianze molto chiare e la trama è una sola: attaccare il governo indipendentemente dalla posizione effettiva che il principale partito dell’esecutivo ricopre nello spettro politico classico. Così nel 2017 il nemico da mettere a ferro e fuoco per la nuova sinistra è il PD di Renzi, quando di fatto il posizionamento dei partiti sull’asse destra-sinistra direbbe ben altro, almeno dal punto di vista teorico.
Ciò di cui si parla insomma non è una pratica dettata da un capriccio della sinistra, ma dalla visione che gli Italiani stessi hanno del governo e di come le forze politiche rispondono a tale visione. La concezione di governo che si delinea è quella di un esecutivo monopolio di Renzi (“Renziloni”) e del PD. Il Partito Democratico diviene virtualmente unico responsabile di tutte le scelte di governo, anche se di fatto il collegio ministeriale è composto da figure politiche di varia estrazione. È ovvio che vi sia una forte presenza del PD all’esecutivo, ma questo non può voler dire che “partito” e “governo” siano sinonimi.
La responsabilità di questo risale alla personalizzazione e alla spettacolarità della politica, che ha visto prima Berlusconi e poi Renzi occupare il palcoscenico in maniera esagerata; anche il fatto che la figura di leader del partito sia coincisa con quella del Presidente del Consiglio ha peggiorato le cose sotto questo preciso aspetto, così come le ha peggiorate il fatto che la dialettica del PD sia spesso una legittima quanto sconveniente celebrazione dei risultati ottenuti dal governo “dei 1000 giorni” e non un programma sul futuro. L’equazione fatta dagli Italiani e dai partiti all’opposizione dunque è estremamente semplice: Pd = governo ; ed è così semplice e penetrante che persino certi membri del governo arrivano a criticare il governo stesso quasi dimenticandosi di farne parte.
IL MOVIMENTO 5 STELLE, BANDIERA DELL’ANTIGOVERNO –
La riprova del fatto che la strada di aprioristica opposizione al governo sia il sentiero giusto da battere è il Movimento 5 Stelle stesso: esso nasce come movimento “antigoverno” (passatemi il neologismo) più che “antisistema”, visto che sappiamo bene che i grillini vogliano guidare il sistema piuttosto che annientarlo per far nascere qualcosa di nuovo.
È questo che ha portato il M5S all’incredibile successo, ovvero raccontare una politica da dare in mano a fresche e nuove personalità che distruggano simbolicamente quanto fatto da qualunque precedente governo, espressione di disonestà e vecchiaia politica. Ed è questo che punta a fare adesso una parte della sinistra: tagliare i ponti coi parenti del governo, classici partner secondo una concezione classica della politica, acerrimi nemici secondo questa nuova visione.
Una nuova ostinata visione a cui sembrerebbe però non arrendersi volentieri Pisapia, che col suo Campo Progressista porta avanti un atteggiamento quasi camaleontico, alla ricerca di un dialogo che non escluda il centrosinistra a priori, per cui Pisapia spesso nutre riguardo. Aveva destato sgomento, fra le altre cose, che a luglio scorso egli definisse come “casa propria” la Festa dell’Unità. Non è roba da poco.
LEGGE ELETTORALE, LA MEDICINA? –
A seguito di un cambio tanto marcato di sistema partitico, l’unica soluzione per riportare la situazione nei ranghi è l’utilizzo di un sistema elettorale che spinga la creazione di coalizioni competitive, così si vedrebbe il ricongiungimento della sinistra al centrosinistra, non tanto per virtù quanto per necessità. Probabilmente però si tratterebbe più di un tappabuchi che di una medicina: rimane infatti costante il sentimento avverso alle forze vicine al governo da parte della popolazione, qualunque siano i risultati, le problematiche affrontate, i motivi di determinati provvedimenti, e questo non può curarlo nemmeno una legge elettorale.
LA SINISTRA CHE SOPRAVVIVE –
La situazione non è però da leggere in modo troppo netto: l’esplicazione di certi atteggiamenti è stata volontariamente portata alla massima potenza per far passare dei concetti. Tutt’ora sopravvive infatti una concezione di destra e sinistra, forse in maniera più nitida fra i partiti di destra, che non permette di parlare di sistema definitivamente mutato, bensì in mutazione. L’elettorato infatti non è ancora del tutto pronto ad un cambiamento così grande: non si è avuto infatti un pieno ricambio generazionale e molti individui rimangono affezionati al vecchio metodo di suddividere la politica in schieramenti. Inoltre, gli stessi partiti di destra e sinistra mantengono una distanza chiara almeno in merito ai diritti civili ed altre cruciali questioni. Si ottiene così un quadro estremamente variopinto in cui i partiti si dispongono a fasi alterne secondo più variabili distintive. E Dio solo sa cosa ne verrà fuori.