LA STRAGE

28 maggio 1974. Piazza della Loggia, Brescia. Ore 10:12. Il sindacalista Franco Castrezzati, della CISL, sta parlando in occasione di una manifestazione antifascista indetta in seguito all’ omicidio/suicidio/incidente di Silvio Ferrari, giovane neofascista locale. Sta attaccando il segretario MSI Almirante, colpevole di aver ordito “fucilazioni e spietate repressioni”, quando un rumore secco, metallico, precede un ondata di fumo arancione: è la strage di Brescia, che porterà con se le vite di 8 persone e ne ferirà oltre un centinaio.

Lo scoppio dell’ordigno

Il rumore proviene da un cassetto dei rifiuti collocato in fondo alla Piazza, di fianco ad una fontana e poco distante dalla Torre dalla quale i “Macc de le ure” scandiscono le ore della Leonessa d’Italia da oramai seicento anni. Muoiono Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Clementina Calzari e Alberto Trebeschi, Vittorio Zambarda. È solo l’inizio di una delle storie più tristi ed affascinanti della nostra Repubblica.

IL CONTESTO ITALIANO

Il contesto della strage è quello degli “Anni di piombo”, parte della “Strategia della tensione”: l’eccidio di Brescia è però differente dagli altri attentati: è l’unica strage strettamente politica, in quanto avvenuta non in una Piazza intenta nelle sue mansioni quotidiane (come poteva essere stato a Milano nel ‘69), ma in una Piazza che stava manifestando contro l’escaletion di sangue in atto nel territorio cittadino. Facciamo un passo indietro: gli anni di piombo era iniziati con un meeting, detto “Convegno sulla guerra rivoluzionaria” avvenuto a Roma nel 1965: quei giorni giornalisti, studenti universitari, militari, politici ed imprenditori, tutti di ideologia anticomunista e spesso neofascista, avrebbero gettato la base della strategia degli opposti estremismi, che si doveva concretizzare in un primo periodo di terrorismo “nero” cui sarebbe seguito un ciclo “rosso”: obiettivo era rafforzare la Democrazia Cristiana davanti all’opinione pubblica come argine alle ondate rivoluzionarie, o in alternativa tentare un colpo di Stato che estromettesse i comunisti dalla vita pubblica. Alcuni dei tentativi ad essa riconducibili saranno il Golpe Borghese, il Piano Solo (anche se questo era stato organizzato già nel ’64, il modus operandi non è troppo differente), il Golpe Bianco di Sogno, il Piano di Rinascita Democratica della P2 di Gelli o la Rosa dei Venti. Mentre si progettavano epoche di terrore o golpi la vita politica proseguiva: Nelle elezioni del 1968 il PSI ed il PSDI si unirono nel Partito Socialista Unificato: obiettivo era quello di emarginare i comunisti e creare, insieme alla DC, uno scenario politico di alternativa democratica basato su un modello economico socialdemocratico, che avrebbe visto l’alternanza tra PSU e DC, ma non andò così e gli ‘unificati’ ottennero meno voti di quelli ricevuti divisi nel ’63 (-5,46%); il PCI avanzò (+1,64%), la DC ottenne una conferma (+0,84%): molti, specie tra i militari, videro queste elezioni come un segnale inequivocabile di come il PCI potesse essere fermato solo attuando la “Svolta greca”, dove l’anno prima i colonnelli avevano preso il potere instaurando una dittatura militare.

“Anno Zero”, la rivista del M.P. Ordine Nuovo

Nel frattempo il Centro Studi Ordine Nuovo rientra nel MSI: i dissidenti fondano il “Movimento Politico Ordine Nuovo”, che vantava alleanze con i servizi segreti deviati (tra cui Maurizio Tramonte, che vedremo più avanti), e che sarà sciolto ufficialmente nel 1973 dal governo pur rimanendo attivo clandestinamente fino agli anni ’80.

IL CONTESTO BRESCIANO

Torniamo però a Brescia, che nel 1974 vede acuirsi la violenza tra gli opposti estremismi: a Marzo vengono arrestati due neofascisti locali legati alla destra eversiva per compravendita di armi (Operazione Basilico, orchestrata dal capitano Delfino, di cui parleremo poi), in primavera i licei Gambara ed Arnaldo, oltre all’ITIS locale sono teatro di violente risse, che culminano anche in sparatorie. La scena criminale ed eversiva bresciana è popolata anche dal gruppo di Ermanno Buzzi, piccolo criminale con simpatie neofasciste noto per farsi chiamare ‘Conte di Blanchery’ in virtù di un certificato vendutogli da un patoccaro napoletano: questo gruppo opera in furti e rivendite di opere d’arte, ma aspira a farsi un nome nell’eversione nera lombarda, con l’obiettivo di ottenere il rispetto di “Quelli di San Babila” Il 13 marzo l’Italia dice “no” all’abrogazione del divorzio. Il 19 maggio 1974 Silvio Ferrari, 19enne legato all’organizzazione criminale di Ermanno Buzzi, di cui parleremo poi, muore dilaniato nell’esplosione della bomba che trasportava sulla sua Vespa e con la quale avrebbe dovuto compiere un attentato alla sede cittadina del Corriere della Sera: l’episodio è spesso collegato alla strage anche perché Ferrari lavorava per Buzzi, uno degli indagati per il massacro: secondo una delle ricostruzioni, Ferrari stava per lasciare il gruppo e Buzzi lo fece uccidere sfasando il timer della bomba, che esplose prima del dovuto uccidendo il giovane. La morte di Ferrari viene considerata il punto di non ritorno, ed il Comitato Permanente Antifascista indice, il 22 maggio, il corteo con manifestazione che terminerà nel macello di Piazza Loggia.

LE PRIME INDAGINI

Siamo in Piazza della Loggia, la bomba è scoppiata due ore fa ed il vicequestore Diamare (che si scoprirà essere legato all’organizzazione “Noto servizio” o “Anello”) ha appena ordinato ai Vigili del Fuoco di lavare la Piazza dai resti umani e dal sangue, compromettendo qualunque rilevazione forense successiva: è solo la prima opera di depistaggio di questa storia. Ma Brescia non si arrende e chiede giustizia, una giustizia che sembra poter essere vicina alla fine del gennaio 1975, quando Luigi Papa si presenta alla stazione dei carabinieri di Brescia denunciando un abuso sessuale subito dal figlio 13enne Antonio: il responsabile sarebbe Ermanno Buzzi, piccolo criminale locale, ma la cosa che sconcerta il capitano Delfino è un’altra: a sentire Luigi Papa sarebbe stato proprio Buzzi a piazzare la bomba, secondo quanto dettogli da un altro dei figli, Domenico, anche lui del gruppo di Buzzi. Delfino trasmette tutto ai giudici Domenico Vino e Francesco Trovato, incaricati di condurre le indagini sulla strage. Questi cercano di stabilire dei collegamenti tra Buzzi e i giovani neofascisti vicini a Silvio Ferrari ed al quartiere San Babila di Milano, accorpando le inchieste sulla morte del presunto dinamitardo e quella sulla strage: in primo grado (1979) Buzzi viene condannato all’ergastolo come esecutore materiale per poi essere assolto in Appello (ma Buzzi sarà ucciso prima della sentenza nel carcere di Novara da due neofascisti, che temevano potesse ‘dire qualcosa di troppo’ all’appello): la tesi Vito-Trovato, dunque, fallisce anche a causa dei mezzi usati da Delfino per estorcere alcune testimonianze, oltre alla “non credibilità”, secondo i giudici, di alcuni personaggi vicini a Buzzi.

CHI È STATO

Quella che segue è un’ipotesi, avvalorata dalla sentenza del 2015 ma che elabora le posizioni di persone o decedute, assolte o condannate post-mortem, seppur i giudizi siano avvenuti in diverse circostanze e istruttorie: possiamo dire, con la sentenza del 2015, che quella che segue è la “verità storica” (cit. Gi Zorzi): ad infilare la bomba (progettata da Carlo Digilio, “Zio otto”, ordinovista legato ai servizi) nel cestino di Piazza della Loggia (dopo che dal Veneto era stata trasportata a Brescia da Marcello Soffiati) fu il gruppo di Buzzi (che aveva appena mandato a morire il giovane Ferrari, divenuto un elemento scomodo quando aveva deciso di abbandonare l’eversione con il carico di segreti che si sarebbe portato dietro), allettato dalla possibilità di ottenere fama negli ambienti della destra eversiva lombarda. Ad ordinare la strage fu Carlo Maria Maggi attraverso Ordine Nuovo del Triveneto, gruppo di cui faceva parte anche Maurizio Tramonte, la “Fonte Tritone” del SID. Insomma, una collaborazione tutt’altro che marginale tra i neofascisti bresciani, Ordine Nuovo e il SID: talmente poco marginali che è lecito chiedersi se davvero Tramonte (e così tanti altri in altri contesti e avvenimenti) fossero davvero ‘agenti deviati’, che una volta inseriti un contesto eversivo anziché ostacolarlo attraverso le segnalazioni lo fortificavano, oppure stessero facendo il proprio mestiere anche quando sorvolavano, anche quando facilitavano la morte di innocenti: furono davvero servizi deviati? A questo urge una risposta, dalla magistratura e dalla politica.

CONCLUSIONE

Come dice, ed a ragione, Luca Telese nella presentazione della collana di libri ‘Le radici del presente’, di cui fa parte il libro di Casamassima di cui sotto e da cui ho attinto gran parte delle informazioni, “L’Italia non conosce il passato prossimo […] grande passione per le guerre puniche, per i conflitti dei secoli passati, grande difficoltà a gestire quello che ci circonda  […] siamo il Paese

delle sentenze che non arrivano mai, delle stragi impunite, dei delitti dimenticati”: ed ecco perché ci sono voluti quattro decenni. Con la sentenza del 2015, la strage di Brescia si inserisce nei pochissimi fatti degli anni di piombo che hanno visto una condanna da parte dei tribunali. Nel 2010, dopo la sentenza di primo grado che assolve tutti gli imputati della quinta istruttoria (tra cui Maggi e Tramonte) qualcuno incollò, su una targa commemorativa presente in Loggia, un chiaro messaggio: “In questo luogo, il 28 maggio 1974, non è successo niente”, un messaggio che, grazie alla sentenza della Cassazione prima ed a quella d’Appello poi, possiamo finalmente cancellare dalla storia di Brescia, dalla storia d’Italia. In quel luogo, il 28 maggio 1974, è successo qualcosa.

di Luca Stanga

Manlio Milani, oggi Presidente della Casa della Memoria di Brescia e dell’Associazione dei Familiari delle Vittime della Strage di Piazza della Loggia

Fonti:
“Piazza Loggia: inchiesta su una strage” di Pino Casamassima per Sperling & Kupfer
“Piazza della Loggia” di Francesco Barilli e Matteo Fenoglio per Beccogiallo Editore
“Piazza della Loggia” del Collegio Geometri di Brescia per la Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori
Archivio della “Casa della Memoria” di Brescia
www.28maggio74.brescia.it