In un momento storico in cui i fabbisogni crescenti di energia vanno a braccetto con la necessità di ridurre l’impatto ambientale della produzione energetica, è importante un’analisi razionale di tutte le fonti non tradizionali. In questo contesto il ruolo dell’energia nucleare può acquisire notevole valore, visti la potenzialità e il progresso tecnologico degli ultimi anni.
Con energia nucleare, anche detta energia atomica, si intende l’insieme di fenomeni in cui si ha produzione di energia in seguito a trasformazioni nei nuclei atomici; tali trasformazioni sono chiamate reazioni nucleari. Essa è una fonte di energia primaria, ovvero è presente in natura e non deriva dalla trasformazione di altre forme. Le reazioni che coinvolgono l’energia nucleare sono principalmente tre: fissione nucleare, fusione nucleare e decadimento radioattivo.
Focalizziamoci sulle prime due senza esagerare con i tecnicismi: la fissione è una reazione, spontanea o indotta, in cui un nucleo atomico pesante si scinde in due nuclei più leggeri, rilasciando uno o più neutroni ed una grande quantità di energia oltre ai prodotti di reazione. La fusione consiste nell’unione di due o più nuclei leggeri in un nucleo più pesante, ma quest’ultimo ha una massa inferiore rispetto ai reagenti: la massa mancante si è trasformata in energia. Entrambe le reazioni rilasciano un grande quantitativo di energia specifica, ma a parità di massa la fusione risulta quella più esoenergetica; eppure tutte le centrali nucleari esistenti producono elettricità tramite la fissione, ed anche le bombe di Hiroshima e Nagasaki si innescarono grazie a questo principio in quel terribile mattino del 6 agosto 1945.
Questo perché la fusione nucleare, che è il principio tramite cui il Sole e tutte le altre stelle rilasciano energia, ha bisogno di condizioni molto difficili da riprodurre in maniera continua, ovvero valori altissimi di temperatura e velocità. Attualmente l’unico sistema costruito dall’uomo che sfrutta la fusione è la bomba a idrogeno, ma fortunatamente ci sono vari progetti in via di sviluppo per la creazione di centrali nucleari a fusione, che produrrebbero elettricità senza rilascio né di gas serra né di scorie radioattive! I risultati sperimentali sono incoraggianti e vista la grande densità energetica della fonte nucleare queste centrali potrebbero essere un’arma fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici di zero emissions.
Ma facciamo qualche passo indietro, forse noi giovani non conosciamo a pieno il ruolo dell’Italia nella storia dell’energia nucleare. Il primo reattore nucleare funzionante fu costruito il 2 dicembre 1942 negli USA da un fisico italiano, Enrico Fermi, e negli anni Sessanta l’Italia era considerata una potenza mondiale in quanto ad elettricità prodotta e know how sui reattori. La nostra storia parte proprio in questo periodo, in particolare nel 1962.
Quell’anno fu particolarmente denso di avvenimenti nel contesto italiano, uno dei più importanti fu la costituzione dell’Ente nazionale per l’energia elettrica, in acronimo Enel.
La decisione di accorpare in un’unica organizzazione il sistema elettrico nazionale è della metà di giugno dello stesso anno, quando venne presentato in Parlamento il disegno di legge che sancì le modalità operative nel suo complesso. Enel nacque ufficialmente il 6 dicembre 1962, sotto il governo Fanfani.
In quel momento il primo programma nucleare italiano era già stato avviato: la decisione di costruire la prima centrale elettronucleare venne presa poco dopo la conferenza Atomi per la pace di Ginevra del 1955. L’Italia, nonostante gli accordi di pace del 1947 che le impedivano una predisposizione all’industria dell’arricchimento del combustibile, s’impose a livello internazionale già dai primi anni Sessanta con tre centrali nucleari: la prima era situata a Latina, la seconda a Garigliano (in Campania) e per finire a Trino Vercellese.
L’unificazione e la nazionalizzazione del settore elettrico italiano fecero confluire le licenze d’esercizio ad Enel. Dal punto di vista operativo e di funzionamento, le tre centrali nucleari erano molto diverse fra loro, ma complessivamente raggiungevano la potenza di oltre 600 megawatt (MW).
Così facendo l’Italia divenne il terzo paese occidentale per potenza elettronucleare, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.
Ad Enel spettavano tutti i compiti dal punto di vista strategico, operativo, implementativo ed organizzativo: decideva la realizzazione delle centrali, stipulava accordi con i costruttori e contratti con i fornitori e gestiva l’esercizio di funzionamento dell’energia nucleare della penisola nel suo complesso.
Per ottimizzare e fluidificare i processi dei risultati fissati all’epoca, Enel si avvalse, oltre che delle proprie strutture, di centri di ricerca industriale: il più importante di tutti era il Centro Informazioni Studi ed Esperienze (Cise), un’istituzione indipendente che già dal 1957 si occupava della realizzazione del Cirene, il reattore italiano ad uranio naturale ed acqua pesante bollente.
Gli anni Sessanta giungevano al termine e nel neo-nascente commercio globale iniziarono ad emergere nuove e meno costose tecnologie dedite alla costruzione di impianti nucleari. Le stime sul fabbisogno energetico italiano convinsero Enel ad implementare ulteriormente lo sviluppo del settore nucleare: nel 1969 Enel indusse una gara d’appalto volta alla realizzazione di un quarto impianto. Venne scelta la città di Caorso, vicino Piacenza e il quarto impianto nucleare ad acqua bollente entrò in funzione nel 1981.
Il 1973 nei libri di storia è spesso associato alla crisi energetica a causa dell’aumento improvviso dei prezzi del petrolio. I motivi scatenanti sono associati alla guerra del Kippur, che vide Egitto e Siria contro Israele: i Paesi arabi che erano affiliati all’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), decisero di sostenere gli eserciti egiziani e siriani tramite cospicui aumenti dei prezzi “al barile” a discapito dei paesi filo-israeliani.
Essendo il prezzo del greggio eccessivamente alto, Enel decise di investire in fonti energetiche alternative pianificando lo sfruttamento dei bacini naturali del settore idroelettrico e del geotermico, oltre ad un vasto piano di espansione nucleare che comprendeva la costruzione di ulteriori centrali nucleari con l’obbiettivo di far raggiungere loro la potenza di 1000 MW.
La necessità di una maggiore sostenibilità ambientale iniziò ad emergere nei primi anni Ottanta, all’interno di Enel aumentò nuovamente l’esigenza di investire le proprie risorse in energie rinnovabili, tra cui il settore eolico, solare ed ovviamente nucleare.
Il 1986 però sancì un apparente punto di non ritorno: per Enel cominciò una fase di costante declino sul piano operativo ed organizzativo, in quanto venne riscontrato un progressivo rallentamento dei tempi di costruzione delle nuove centrali nucleari; a questo si aggiunse la difficile localizzazione di mete per destinare i nuovi impianti ed il nuovo clima internazionale iniziò ad essere sempre meno propenso all’implementazione di questa fonte di energia.
Questi fattori ridimensionarono quantitativamente e qualitativamente i piani di sviluppo Enel, che nel 1986 vide come unica centrale in costruzione quella di Montalto di Castro vicino Viterbo.
Il 1986 è però ricordato come l’anno del più grave incidente della storia del nucleare: a circa 2 Km dalla città di Pryp”jat’, la centrale nucleare a fissione Vladimir Il’ič Lenin di Černobyl’ riscontrò l’esplosione del quarto reattore.
Il caso Černobyl’ ebbe un forte eco in tutto il pianeta, in particolare in Italia: l’8 e 9 novembre del 1987 i cittadini italiani furono chiamati ad esprimere le loro opinioni su cinque quesiti referendari di carattere abrogativo, tre dei quali riguardavano la questione nucleare.
Il primo attribuiva al Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) il potere di scegliere le diverse aree per l’insediamento delle centrali nucleari (nel caso in cui non venisse fatto dalle Regioni di competenza territoriale). Il secondo riguardava l’autorizzare Enel a versare i contributi a Regioni e Comuni in proporzione all’energia prodotta sul territorio tramite centrali a carbone o nucleari. L’ultimo chiedeva se consentire ad Enel la costruzione di impianti elettronucleari avvalendosi della partecipazione di società e/o enti stranieri, oppure, la partecipazione di Enel a progetti d’impianti elettronucleari in uno Stato diverso da quello italiano.
L’esito delle urne segnò l’uscita dell’Italia dal nucleare, unico Paese al mondo a rinunciare a questa fonte di energia dopo il disastro di Černobyl’.
I risultati furono probabilmente influenzati dalle strategie politiche dei partiti egemoni in quel periodo: una prima strategia adottata fu lo scioglimento anticipato delle Camere, causato dal rapporto di forte stallo creatosi tra la Democrazia Cristiana e Partito Socialista Italiano.
Il pre-scioglimento dell’organo legislativo fu conseguenza di elezioni anticipate: l’idea sottostante era quella di intervenire sui legami sempre più densi che stavano iniziando a crearsi fra i partiti di area laica.
Le elezioni anticipate di metà giugno 1987 posero all’orizzonte il referendum di novembre. La Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista Italiano ebbero diversi cambi di rotta sull’argomento: in prima battuta contrari e successivamente schierati a favore dell’abrogazione.
Il cambio di visione fu prettamente strategico-elettorale: entrambi i partiti erano consapevoli che l’elettorato, dopo il disastro di Černobyl’, avrebbe potuto avere un forte astio nei confronti dell’energia nucleare. Se quindi la DC ed il PCI si fossero schierati a favore del “no” e questo poi avesse avuto un cattivo esito, i risultati referendari sarebbero potuti andare a favore del blocco progressista, capeggiato da radicali e socialisti.
Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Amir Landucci, di Pianeta Energy.
Fonti:
F. Oriolo, N. Frangione. “Principi di Ingegneria Nucleare”
https://archiviostorico.enel.com/
https://bit.ly/3p3WqEz
https://bit.ly/3aNUhb8