Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.


Mario Draghi ha accettato con riserva l’incarico di formare un Governo, e nei prossimi giorni sapremo se effettivamente avrà luogo un esecutivo guidato dall’ex Presidente della BCE.
In rete e sui giornali si è fatto un gran parlare di governo tecnico, istituzionale, di unità nazionale e così via.
Tanti termini utili ad esprimere una situazione straordinariamente atipica per l’esecutivo del nostro Paese. L’opinione pubblica si sta spaccando proprio in merito a questa atipicità, anche semplicemente interrogandosi sulla sua regolarità per la nostra vita democratica: sembra quasi che ci si voglia ostinare a formare un Governo piuttosto che, in assenza di praticabili maggioranze, sciogliere definitivamente le Camere e andare alle elezioni.
Questo dubbio, senza volerlo declinare in beceri schiamazzi da stadio del tipo “FATECI VOTARE!”, risulta essere più che legittimo.
Di fronte ad un Parlamento che, rappresentando il Popolo, non riesce più ad esprimere alcun indirizzo politico, la logica vorrebbe appunto che tale Parlamento cessasse le proprie funzioni.
La situazione nella fattispecie è certamente più complessa di così, e non basta questo per spiegare la fase politica in atto. Cerchiamo perciò di andare più a fondo, chiedendoci cosa caratterizzi un governo cosiddetto tecnico e dove risieda la sua legittimità.

Governo “tecnico”? Solo uno stratagemma narrativo

Partiamo da qui. L’espressione tecnico lascia davvero il tempo che trova, o comunque si presta a situazioni molteplici: con essa si intende un esecutivo composto da personaggi di alta levatura prestati all’agone partitico, formanti un Governo sulla base di presupposti differenti da quanto accada coi normali esecutivi politici.
“Tecnico” si confà a molte situazioni: è stato definito governo tecnico l’esecutivo guidato da Mario Monti come anche quello guidato da Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994). Quest’ultimo, però, non era un governo prettamente di tecnici bensì un governo composto anche da svariate figure provenienti dai vari partiti a sostegno dell’esecutivo.
Fu definito “tecnico” dalla stampa di allora per via del fatto che Ciampi era il primo Presidente del Consiglio a non derivare dal Parlamento, e con lui anche alcuni ministri.
Su questa base, se cercassimo di forzare un po’ la definizione di Governo tecnico, lo stesso governo Conte I risulterebbe facilmente ascrivibile a questa categoria.

Carlo Azeglio Ciampi, Corriere della Sera

Un professore di diritto estraneo ai partiti come Giuseppe Conte che, a seguito di estenuanti trattative tra le forze parlamentari e un grande sforzo da parte del Capo dello Stato per far esprimere una maggioranza alle Camere, si improvvisa Presidente del Consiglio per suggellare un contratto di governo tra due forze politiche avverse e togliere il Paese dallo stallo politico: c’è qualcosa di più tecnico?
Tutto questo per dire, in parole povere, che il termine “tecnico” non si rifà necessariamente ad una chiara caratteristica dell’esecutivo, bensì alla narrazione politica che la stampa e le istituzioni intessono su di esso. Sergio Mattarella l’ha chiamato “governo di alto profilo”, ma potremmo chiamarlo davvero in tanti modi.
Più che la sostanza cambia la predisposizione mentale di chi il governo lo costituisce, lo sostiene, lo osteggia e lo racconta.
E, di conseguenza, cambia la percezione del pubblico.

Esecutivo illegittimo

Da quanto detto, si potrebbe pensare che l’esecutivo nascente sia al limite della legittimità democratica. Anche questo dubbio non è affatto segno di stupidità, anzi.
Il fatto è che però la legittimità non va trovata nei presupposti politici del governo tecnico, quanto nella sua applicazione pratica.
E nella sostanza il governo tecnico, così come anche il governo istituzionale o quello di larghe intese, non ha nulla che lo distingua da un qualsiasi altro esecutivo nel pieno delle sue funzioni: esso è legittimato ad esistere dal Parlamento.
È il Parlamento che, liberamente, concede all’esecutivo la vita e il pieno esercizio dei poteri.
Per capirci meglio, può essere utile leggere le parole di Ugo De Siervo, giurista, accademico e Presidente della Corte Costituzionale dal dicembre 2010 all’aprile 2011.
Parlando della genesi del governo Monti, spiegava:

«Dal punto di vista del nostro sistema costituzionale non è mutato nulla di sostanziale: siamo dinanzi ad un Governo di tipo parlamentare, che ha conseguito una ampia fiducia dalle due Camere e che è sorto dopo le dimissioni volontarie del precedente Governo, evidentemente consapevole di essere inadeguato dinanzi alle dure prove che attendono il nostro Paese, anche in relazione ai confronti che si svolgono a livello europeo. Certo, vi è stato un palese impegno del Presidente della Repubblica ad evitare le elezioni anticipate, che avrebbero prodotto un pericoloso vuoto di potere in una fase non poco convulsa; così pure vi è stata una manifesta indicazione da parte del Presidente della persona di Monti come presidente del Consiglio, evidentemente ritenuto decisamente preferibile, nell’attuale contingenza, per le sue qualità professionali»

Facendo i dovuti distinguo, la situazione espressa all’epoca da De Siervo è molto simile a quella attuale, poiché Mattarella ha espresso a chiare lettere preoccupazione in merito ai pericoli di un periodo di vacanza dell’esecutivo, senza badare ai rischi sanitari che una campagna elettorale porterebbe con sé.
Insomma, un Governo è tale solo se detiene la fiducia del Parlamento: in caso contrario non può esistere alcun esecutivo. Il fatto che un esecutivo cosiddetto tecnico arrivi in seguito all’impossibilità di formare altri tipi di maggioranze nulla toglie alla propria legittimità, data solo e soltanto dal legame di fiducia esistente col Parlamento.

Il problema della reiterazione

Il fatto che vi sia piena legittimità nell’esercizio pratico del potere non previene però alcune problematiche.
Con reiterazione si intende il rischio che in linea teorica potrebbe sorgere in una fase di crisi (economica o di altro tipo, financo la crisi sanitaria), ovvero il continuo proporsi di nuovi esecutivi che man mano perdano ragionevolezza democratica. Mi spiego meglio.
È vero che, come abbiamo detto nel paragrafo precedente, ogni Governo che ottenga la fiducia godrà della necessaria legittimità parlamentare, ma al tempo stesso è vero anche che il presupposto politico e teorico su cui il governo tecnico poggia non è da ascriversi al normale svolgimento della vita parlamentare, bensì alla necessità di intervenire per risolvere una fase problematica.
Il governo tecnico vive cioè grazie ad una narrazione politica diversa da quella costruita attorno ad un “normale” governo politico.
Per questo motivo si tratta di una soluzione accettabile fintantoché non sia reiterata, perché la continua riproposizione di governi tecnici, con la giustificazione di andare a sanare una situazione emergenziale, potrebbe facilmente divenire motivo di lesione dell’iter democratico.
In parole povere, la strada del governo tecnico, o di alto profilo, non può essere una strada battuta fino allo sfinimento, non deve diventare accanimento; per quanto questo rischio ora sia assente, non possiamo non considerarlo a mero livello teorico. 
Il Presidente della Repubblica ha lasciato ben intendere che una volta fallito anche il tentativo di un esecutivo guidato da Mario Draghi la direzione sarà il voto, e ciò spazza via qualsiasi dubbio.

Mario Draghi dopo essere stato ricevuto da Mattarella; Panorama
Un governo che non sarà MAI “tecnico”

La direzione presa da Mario Draghi, almeno per quanto si è appreso nelle ultime 48 ore, è quella di andare verso un esecutivo ibrido, per metà composto da ministri di provenienza partitica e per metà da tecnici competenti. La domanda legittima che deve sorgere è dove stia il confine tra una persona che agisca esclusivamente sulla base di conoscenza oggettiva ed una persona che, attraverso convinzioni e tesi economiche su cui si potrebbe dibattere, dia il proprio contributo grazie ad una personale visione di carattere politico.
In poche parole: può esistere un esecutivo che non esprima mai un indirizzo politico poiché guidato dalla tecnica? Può esistere un ministro che, nel suo agire, effettui esclusivamente decisioni nel nome di una scienza esatta?
La risposta dovrebbe essere secca, e dovrebbe essere “NO”.

Anche sotto questo aspetto, torniamo a parlare della narrazione che viene fatta del governo tecnico e dei tecnici in sé: se la stampa ed i telegiornali narrano che Mario Draghi sia la persona più ricca di nozioni e sapere di questo mondo, cosa che potrebbe pure essere vera, noi come pubblico saremo portati a pensare a Draghi come ad una personalità di una levatura ed una dignità ben più alta di tutti gli altri politici e della politica stessa. E questo genere di narrazione non determina un servizio positivo alla cosa pubblica, bensì negativo.
La politica non è solo applicazione del sapere nozionistico ed economico (cosa che comunque serve, per carità), ma è anche saper leggere le sensibilità, le istanze e le problematiche della popolazione e del mondo, e spendersi a livello politico per trovare risposte. La politica è tensione creativa, al di là di quelli che possano essere i costrutti teorici più in voga presso le scienze economiche.
E occhio, non sto dicendo che Draghi sia incapace a fare questo, sto più semplicemente dicendo che Super Mario, accettando di guidare l’esecutivo, dovrà per forza di cose applicare questo tipo di approccio, divenendo per questo un politico. Non potrebbe essere altrimenti: il governo tecnico in fin dei conti non esiste, o comunque non è mai del tutto tale.

La politica è compromesso

Il Governo in un sistema parlamentare non può mai essere definito tecnico anche per un altro motivo di carattere procedurale. La politica è infatti un gioco di compromessi, e spesso se ne parla anche in termini pressoché negativi.
In realtà trovare compromessi è un qualcosa di vitale in una società complessa ed eterogena come la nostra. Eterogeneo è anche il parco di partiti politici che occupano le poltrone di Camera e Senato: lo stesso gioco democratico si regge sulla loro eterogeneità e non potrebbe essere altrimenti.
Anche i governi cosiddetti tecnici prima o poi dovranno scendere a compromessi con quei partiti che hanno deciso di sostenere con i propri voti l’esecutivo. È naturale, è così che deve andare: se il governo di Pinco Pallino è supportato dai Rossi e dai Verdi, è chiaro che i Rossi chiederanno qualcosa in cambio del proprio sostegno, e lo stesso faranno i Verdi: si capisce fin da subito che i tecnici chiamati a guidare il Paese lo dovranno fare scendendo a compromessi con le istanze di queste forze.
Improvvisamente appare chiaro come si abbia sempre a che fare con un esecutivo politico e non con un esecutivo illuminato e scientifico. E non potrebbe mai essere altrimenti, è il gioco parlamentare.

Conclusione: Governo legittimo ma viziato dalla sua stessa narrazione

Non si confonda questo articolo con una trattazione sul perché il Governo tecnico sia qualcosa di sbagliato, perché non è ciò che penso. Il Governo tecnico è una forma legittima di esecutivo, ma è anche, nella sostanza, più un costrutto narrativo che altro.
Questa narrazione non inficia la legittimità del tutto, ma ha dei presupposti e delle conseguenze negli equilibri politici e sociali, e porta con sé anche qualche recondito rischio.
Saper leggere questa situazione è perciò necessario per capire cosa effettivamente sarà il nascituro Governo Draghi, senza false illusioni né becere critiche sbraitate in qua e in là.
Ricordandosi, come sempre, che nessuna personalità tecnica, per quanto preparata, potrà essere assunta come depositaria di una verità assoluta, perché la politica, come anche l’economia, non si poggia mai su verità assolute, mai.