Studentessa di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pisa. Amo la musica e soprattutto il pianoforte. Amo la montagna, il mare e in generale viaggiare.


Probabilmente tra cinquant’anni nei libri di storia ci sarà un capitolo sul 2020, così come oggi possiamo leggere un capitolo sulla Grande Guerra.
Ma noi come lo racconteremo? Le nostre testimonianze non saranno tanto pagine di storia, quanto stralci di vissuto personale.

Certo si racconterà come è nata la pandemia, il suo evolversi e la sua fine.

Ma un punto di passaggio in questo periodo storico sarà la cura che tutto il mondo scientifico, alleato contro il virus, avrà trovato.
Il 2020 è iniziato con questo virus e finito con la sua sconfitta? Non possiamo ancora dirlo con certezza, ma sicuramente il vaccino è un punto di snodo fondamentale in questa battaglia.

C’è un dibattito acceso tra chi sostiene che il vaccino sia la luce in fondo al tunnel e chi, invece, rimane scettico di fronte a uno scenario mai visto prima: una coalizione senza precedenti in cui tutto il mondo ha preso parte a una ricerca senza sosta contro il nemico comune.

Ma quando sono nati i vaccini?

Fino al Medioevo la malattia veniva concepita come una punizione divina, motivo per cui i grandi flagelli di quel periodo storico, primi fra tutti lebbra e peste, rappresentavano per i malati una vera e propria condanna, allontanati dalle città e destinati a morire.
A partire dal XVI secolo il dilagare di alcune malattie come sifilide e sudore anglico, nonché la diffusione della tubercolosi, indussero a porre l’accento su una questione: l’origine terrestre” delle malattie.
L’ipotesi, ampiamente dimostrata in secoli successivi, che alla base di alcune patologie ci potessero essere particelle o microrganismi completamente disgiunti dal divino, probabilmente non visibili all’occhio umano, pose le basi per lo sviluppo di un’idea che oggi, come in passato, ha permesso di minimizzare il loro espandersi: l’esistenza del contagio.
L’evoluzione della tubercolosi durante il Rinascimento indusse a mettere in atto misure volte a evitare possibili, eccessivi, contatti che avrebbero permesso di trasmettere la malattia da persona a persona.


Personaggio emblematico di quel periodo fu Girolamo Fracastoro, primo a intuire l’esistenza di particelle descritte come “seminaria” (ovvero i semi della malattia) nel suo trattato “De contagione et contagiosis morbis”.
Fu tuttavia a partire dal Seicento che la diffusione di malattie come la varicella, il morbillo, la malaria, il tifo e la celebre peste del Manzoni condusse a una ricerca più approfondita delle cause di così elevati contagi. Gli strumenti di ricerca, ancora rudimentali, permisero di individuare i primi nemici dell’uomo nei cadaveri degli infetti.
Ma fu il Settecento la chiave per il vaccino, e in particolare in questo secolo un uomo: Edward Jenner.

Il suo successo fu dovuto a una tragica epidemia di vaiolo che nel corso del XVIII secolo fece migliaia di vittime. All’epoca il metodo volto a circoscrivere i contagi e ridurre la mortalità derivante da questa malattia era la cosiddetta “variolizzazione” che consisteva nel prelevare materiale derivante da croste o lesioni di malati non gravi e inocularlo nel soggetto che si voleva immunizzare. Questa tecnica, seppur apparentemente efficace, non tardò a mostrare i primi effetti negativi sulla popolazione, motivo per cui venne presto abbandonata.

In questo quadro storico, Jenner, medico inglese, osservò che le mungitrici che vivevano in campagna erano spesso colpite dal vaiolo vaccino, forma leggera di quello umano. Le persone che contraevano tale malattia sviluppavano sintomi simili alla forma umana ma la mortalità legata al vaiolo vaccino era nettamente inferiore e, cosa più importante, una volta contratta la forma leggera risultavano immuni dalla forma umana.
Partendo da questa osservazione, Jenner si accostò a una pratica sperimentale: prelevò materiale derivante da una pustola di una persona che aveva contratto il vaiolo vaccino e lo inoculò in un bambino. Questi sviluppò presto sintomi come febbre e mal di testa guarendo, tuttavia, in breve tempo. Jenner decise allora di portare avanti il suo esperimento: avendo ipotizzato che il bambino avesse sviluppato una forma leggera che avrebbe potuto renderlo immune dalla forma umana, effettuò un’ operazione simile alla precedente inoculando nello stesso bambino materiale derivante da una persona infettata dalla forma letale.

I risultati dei suoi esperimenti confermarono la sua ipotesi: era il 1796 e nel mondo era nato il vaccino,.


Un passo epocale in seguito alle scoperte di Jenner fu il vaccino messo a punto da Louis Pasteur, celebre per l’invenzione della tecnica della pastorizzazione e considerato padre della moderna microbiologia. Il merito di Pasteur nell’ambito della vaccinazione è legato alla preparazione di un primo vaccino efficiente contro la rabbia, malattia violenta che si trasmetteva soprattutto tramite il morso di cani infettati dal virus. La principale difficoltà nel realizzare il vaccino era legata al fatto che l’agente eziologico era un virus, più piccolo dei batteri e non visibile ai microscopi dell’epoca. Nel 1855 Pasteur preparò il primo vaccino contro la rabbia usando virus inattivati, prelevando il campione dal midollo di un coniglio infetto. Dopo averlo opportunamente trattato, inoculò il preparato in un bambino di nove anni, Joseph Meister, il quale aveva contratto la malattia.

Nonostante le ripetute obiezioni e i più legittimi dubbi da parte di molti, il vaccino di Pasteur ebbe successo e segnò un ulteriore passo avanti, aprendo la strada all’ ”epoca dei vaccini”.
Gli esperimenti di Jenner e Pasteur gettarono le basi per lo sviluppo di vaccini contro malattie che nel corso del Novecento avrebbero altrimenti devastato il genere umano.

Oggi il vaccino sembra essere quella piccola luce di speranza, il primo mezzo attraverso cui un virus, un batterio o in generale una malattia infettiva può essere debellata, e chissà se tra cinquant’anni potremo dire che una nuova e decisiva tappa nella storia dei vaccini sarà quella che viene scritta oggi.