“Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia per la crescita. Ci consentirà di ridurre le emissioni e di creare posti di lavoro”.
Così Ursula von der Leyen, l’11 dicembre 2019 annunciò il Green New Deal: una rivoluzione sostenibile targata Unione Europea volta a trasformare il Vecchio Continente nel primo blocco di paesi a impatto climatico zero entro il 2050.
Il 14 gennaio 2020 il Parlamento Europeo ha approvato l’ingente piano di investimenti per rendere concreta la trasformazione di tutti gli Stati membri verso politiche più sostenibili. I finanziamenti ai vari stati membri saranno modulati in base alla struttura economica di ogni Paese: le economie più dipendenti dal carbone e dai combustibili fossili, come ad esempio il blocco dell’est Europa, riceveranno maggior sostegno monetario. Gli investimenti totali saranno pari a 1.000 miliardi di euro spalmati in 10 anni.
L’impatto del Green New Deal sui paesi UE avrà ripercussioni sia dal punto di vista energetico–ambientale che da quello economico–finanziario. Le azioni intraprese possono riassumersi nei seguenti sette aspetti: taglio delle emissioni inquinanti per un’Europa climaticamente neutra, protezione della biodiversità e catena alimentare sostenibile, agricoltura sostenibile, industria sostenibile ed edifici a zero emissioni, energia pulita, circular economy, mobilità sostenibile. Tutti i punti cardine sopracitati contribuiscono a diminuire le emissioni, in particolare le azioni saranno rivolte ad un minore inquinamento del suolo e dell’acqua tramite interventi di bonifica, con un focus speciale sulla plastica e sulle sostanze chimiche nocive: verranno incentivate alternative più naturali e sostenibili e si lavorerà sullo sviluppo tecnologico dell’industria chimica nell’ottica di una maggiore efficienza. A causa delle attività umane non sostenibili stiamo perdendo biodiversità come mai prima. La fauna selvatica del pianeta si è ridotta del 60% negli ultimi 40 anni e 1 milione di specie rischiano l’estinzione.
Per far fronte a ciò gli interventi previsti sono i seguenti: creazione di aree protette per almeno il 30% della superficie sia terreste che marina dell’Unione; ripristino di aree degradate aumentando l’agricoltura biologica; inversione del declino degli impollinatori; riduzione di almeno il 50% l’uso di pesticidi; piantumazione di 3 miliardi di alberi in 10 anni. Tutte queste azioni avranno effetti benefici sulla produzione futura di tutto il continente, sia dal punto di vista agricolo che ittico e zootecnico, inoltre creeranno nuovi posti di lavoro.
L’intervento sulla catena alimentare prende il nome “from farm to work”, volendo dare una grande spinta alla filiera corta per avvicinare indissolubilmente produttore e consumatore. Si introdurrà maggiore severità sulla sostenibilità del cibo importato, si contrasteranno le frodi alimentari e gli sprechi anche tramite metodi innovativi di pesca e agricoltura. La nuova PAC (Politica Agricola Comune) inizialmente prevedeva un taglio netto col passato, ma proprio due settimane fa è stata approvata una riforma sulla stessa che sembra tradire il Green New Deal: la gestione del denaro pubblico è conferita allo Stato membro e non a Bruxelles e i vincoli ambientali sono molto limitati.
Inoltre gli eco-schemi, quei meccanismi che dovevano permettere una distribuzione più mirata dei fondi e incentivare la diffusione di pratiche agricole attente alla biodiversità e alla tutela del clima sono stati modificati: in particolare i criteri ambientali per accedere a questo pacchetto di fondi non sono vincolanti e sono stati introdotti molti criteri che rispondono a logiche prettamente economiche.
Nel settore industriale la sostenibilità verrà ottenuta con un decarbonizzazione dell’industria pesante e con una modernizzazione di tutto il settore, sia nell’efficienza energetica che nella digitalizzazione ed il controllo delle emissioni. Nell’edilizia si punta ad applicare rigorosamente la normativa sulle prestazioni energetiche, agire sui prezzi delle fonti rinnovabili che alimentano sia la rete che gli edifici, raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici pubblici ed incentivare anche quella dei privati. Anche per quanto riguarda l’energia pulita il piano si pone l’obiettivo di arrivare nel 2050 ad un consumo finale lordo di energia dell’UE 100% rinnovabile, nel 2017 era il 17,5%.
Gli interventi mirano alla creazione di una “smart grid”, con maggiori interconnessioni ed un flusso di energia bidirezionale, alla decarbonizzazione del settore gas, all’aumento dell’efficienza energetica, allo sviluppo del pieno potenziale dell’energia eolica offshore dell’Unione, a maggiori diritti ai consumatori, all’aiuto degli Stati membri ad affrontare la povertà energetica ed aumentare la cooperazione transfrontaliera e regionale per migliorare la condivisione delle fonti di energia pulita. Tutto ciò con un passaggio intermedio fondamentale: nel 2023 gli Stati membri dovranno aggiornare i piani nazionali per l’energia e il clima affinché questi rispecchino la nuova ambizione in materia di clima.
L’economia circolare è un tema trasversale e comune a molti aspetti già elencati. La Commissione presenterà una politica di “prodotti sostenibili”, che metterà in primo piano la riduzione e il riutilizzo dei materiali prima del loro riciclaggio; saranno fissati requisiti minimi per evitare l’immissione sul mercato UE di prodotti nocivi per l’ambiente. Inoltre proporrà misure per garantire che tutti gli imballaggi nell’UE siano riutilizzabili o riciclabili entro il 2030 e politiche di contrasto ai modelli di consumo di prodotti monouso o ad uso limitato.
Infine la mobilità sostenibile, problema rilevante ma sui cui si vedono già oggi cambiamenti. I trasporti rappresentano un quarto delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione, il Green Deal punta a una riduzione del 90 % di tali emissioni entro il 2050. Ciò tramite i seguenti interventi: in primis la mobilità automatizzata e i sistemi intelligenti di gestione del traffico, che contribuiranno a rendere i trasporti più efficienti e puliti. Poi un volume maggiore di merci dovrebbe essere trasportato su rotaia o per vie navigabili tramite l’iniziativa “Cielo Unico Europeo“: lo scopo è la riduzione significativa delle emissioni dovute all’aviazione.
Oltre a ciò verrà attuata la cessazione delle sovvenzioni per i combustibili fossili, l’introduzione di una tariffazione stradale efficace, la riduzione delle quote gratuite assegnate alle compagnie aeree ma soprattutto un incremento dell’offerta di carburanti sostenibili alternativi con 1 milione di nuove stazioni di ricarica o rifornimento entro il 2025.
Tra le fonti alternative particolare sviluppo lo avrà l’idrogeno: l’8 luglio 2020 la Commissione ha presentato la “Strategia per l’economia dell’idrogeno” in cui si dà grande importanza all’idrogeno verde (da fonti rinnovabili) senza però precludersi, almeno inizialmente, l’idrogeno blu (da metano). L’idrogeno non sarà utilizzato solo nella mobilità ma anche nel settore energetico, industriale e del riscaldamento. In termini pratici l’obiettivo è di installare 6 GW di elettrolizzatori entro il 2024 e 40 GW entro il 2030.
L’orchestrazione finanziaria del Green New Deal è diretta dal Meccanismo di transizione equa, che si baserà su tre canali economici principali. In primis, ci sarà un fondo specifico proveniente dalle casse dell’Unione Europea, che stanzierà 7,5 miliardi. Il denaro erogato potrà essere integrato con i contributi provenienti dal fondo sociale europeo Plus, dal fondo europeo di sviluppo regionale e da eventuali risorse nazionali. Pilastro fondamentale nel quadro finanziario della rivoluzione sostenibile sarà “InvestEu“, che sostituirà l’attuale “FEIS” (Fondo europeo per gli investimenti strategici): il nuovo programma potrà muovere fino a 279 miliardi di euro tra fondi pubblici e privati, denaro destinato esclusivamente ad issues ambientali e climatiche.
Il Meccanismo di transizione equa includerà, inoltre, un sistema di prestiti a favore del settore pubblico tramite il sostegno della Banca europea per gli investimenti, potendo così muovere risorse che oscillano tra i 25 e i 30 miliardi di euro. Secondo i dati resi noti da Bruxelles, l’Italia riceverà 364 milioni di euro per lo sviluppo di fonti di energia più pulite e tecnologie verdi, con l’obbiettivo di creare un’economia circolare e proteggendo contemporaneamente la biodiversità.
L’Italia ha però integrato i finanziamenti europei con altre quantità di risorse: la strategia italiana porterà stanziamenti aggiuntivi per oltre 59 miliardi di euro nei prossimi 15 anni. Il fondo avrà una dotazione iniziale nel 2020 di 470 milioni di euro, 930 milioni nel 2021 e 1420 milioni nel 2022 e nel 2023. In contemporanea è stato istituito un fondo per il rilancio degli investimenti delle Amministrazioni centrali dello Stato, con una dotazione iniziale di 435 milioni nel 2020 (salendo fino a 20,8 miliardi nel 2034). Infine, 500 milioni nel quinquennio 2020–2024 verranno assegnati gli enti locali per la riqualificazione energetica e lo sviluppo sostenibile dei territori.
Il Green New Deal dovrebbe comportare una notevole crescita sostenibile, gli ingenti finanziamenti contribuiranno alla costruzione di un’economia circolare ed una notevole riduzione di emissioni inquinanti.
Ma a livello legislativo, l’Italia è “à la page” con il nuovo progetto? Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è intervenuto alle 74esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riaffermando nuovamente quanto l’Italia sia interessata nella battaglia contro i cambiamenti climatici; inoltre ha affermato: “Dobbiamo inserire nella nostra Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità, dello sviluppo sostenibile. Serve un cambiamento radicale. In Italia abbiamo inaugurato una nuova stagione di riforme per uno futuro sostenibile, un progetto che mette al centro soluzioni che migliorano la qualità della vita dei cittadini e rispondono alle urgenze che assillano le società”.
Scrivendo la nostra Costituzione, tra il 1946 e il 1947, i padri fondatori costituenti hanno trascurato del tutto la nozione di ambiente come oggi noi la interpretiamo. In un momento storico nel quale la ricostruzione del paese a causa della Seconda Guerra Mondiale seguì un’impronta prevalentemente industriale, non ci fu nessuna presa di coscienza dei gravissimi danni che l’azione umana avrebbe provocato al patrimonio naturale. Così, l’articolo 9 della costituzione venne limitato a prevedere l’impegno della Repubblica a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.
Nel 2001, tramite la riforma del Titolo V, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sono stati assegnati alla potestà legislativa esclusiva dello Stato: si è parlato chiaramente di ambiente nel testo costituzionale, ma solo per ciò che concerne la distribuzione di competenze tra Stato e regioni. La Corte Costituzionale, a sua volta, ha affermato che l’ambiente è un valore costituzionalmente protetto. Tuttavia, rimane irrisolta la possibilità di riconoscere all’ambiente un valore fondamentale nei primi 12 della Costituzione. Ma nel Gennaio 2020, nel corso della prima Commissione del Senato della Repubblica dedicata agli Affari Costituzionali, ci sono state alcune riunioni informali riguardanti disegni di legge costituzionale, aventi l’obbiettivo di modificare l’articolo 9 della Costituzione per introdurvi tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente.
Questi disegni di legge di revisione costituzionale, al momento ancora in esame, potrebbero fornire l’occasione di riconoscere in forma definitiva la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione italiana.
Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Amir Landucci, di Pianeta Energy.
Fonti:
“A European Green Deal. Striving to be the first climate-neutral continent”
“Il parlamento UE tradisce il Green Deal: via libera alla riforma della PAC“
Antonio Rancati, Slide dei “Corsi di Terza Rivoluzione Industriale, 2020”