L’Unione Europea, fino ad ora, non si è sempre dimostrata campionessa di concordia e collaborazione tra gli Stati membri. Come molte famiglie allargate, spesso ha ceduto alle faide tra i suoi componenti, finendo per risultare una “madre presente” per alcuni e una “matrigna pedante” per altri. L’emergenza Coronavirus, che è ormai entrata nel vivo con i contagi cresciuti esponenzialmente in Spagna, Francia e Germania, potrebbe essere un’occasione per recuperare unità e coordinamento, ma i Paesi dell’Eurozona tardano ad allinearsi.
Coronabond sì, Coronabond no
A Bruxelles manca una strategia comune non solo per il contenimento del virus, con i singoli Stati che decidono in sostanziale autonomia per il lockdown totale o meno, ma anche per la programmazione del dopo. Il ritorno alla normalità rischia di essere traumatico per l’economia e l’Unione è divisa: da una parte l’Italia che chiede i Coronabond, dall’altra la Germania che si oppone. In mezzo la Francia che inizialmente sembrava condividere la linea italiana, ma che negli ultimi giorni pare aver accettato la proposta tedesca di un MES light.
I Coronabond sarebbero una riedizione degli Eurobond proposti tra 2011 e 2012, quando la crisi economica colpiva duro (in Italia erano i mesi del governo Monti, per intendersi), e dovrebbero consentire di erogare agli Stati prestiti necessari a far fronte alla pandemia. Il debito così contratto sarebbe ridistribuito tra tutti i membri dell’Unione e da questo punto nasce l’opposizione della Germania e dei Paesi del nord Europa. Gli Eurobond, alla fine, furono affossati.
Gentiloni: « Affronteremo questa sfida insieme o falliremo insieme »
A favore dei Coronabond si è schierato Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’economia, intervistato dal quotidiano tedesco Die Welt. Gentiloni, inoltre, ha sottolineato la necessità di un unico fronte europeo contro il Covid-19: « Affronteremo questa sfida insieme o falliremo insieme ».
La mancanza di una risposta comune all’emergenza, infatti, potrebbe mettere a rischio il progetto europeo, avvantaggiando gli antieuropeisti che in alcuni Stati dell’Unione (tra cui l’Italia) raccolgono già discreti consensi.
La lunga notte degli europeisti
Dallo shock del 23 giugno 2016, con la vittoria del leave sul remain al referendum sulla Brexit, l’europeismo sembra vivere una notte lunghissima. Da allora in Italia gli europeisti sono stati sistematicamente sconfitti: alle politiche del 2018 ha trionfato il Movimento 5 Stelle, che si presentava come forza antisistema, alle europee del 2019 ha vinto la Lega. La lista Pd-Siamo europei ha avuto 12 punti percentuali di stacco, segno che dichiararsi europeisti in Italia, ad oggi, non paga e nemmeno l’emergenza Coronavirus sembra invertire il trend. Un sondaggio di Demos (https://www.youtrend.it/2020/03/20/sondaggio-demos-gradimento-per-conte-alle-stelle/), infatti, ha evidenziato come gli italiani valutino positivamente tutte le forze in campo nella gestione della pandemia: il governo, la protezione civile, il sistema sanitario, le regioni e persino i giornalisti. Tutte tranne una. L’Unione Europea, infatti, riscuote l’ennesima bocciatura: solo il 35% del campione la promuove.
Nell’immaginario collettivo degli italiani, dunque, l’Europa resta matrigna e si fissa nell’immagine di Christine Lagarde, leader della BCE, che con un’unica frase (« non siamo qui per chiudere gli spread ») ha fatto crollare la borsa. Poi si è corretta, certo, ma ormai la frittata era fatta.