Studente presso la facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, scrittore per il Prosperous Network. Fra fumetti, tecnologia e libri mi appassiono alla politica nostrana.

Noi Italiani, si sa, siamo bravi a mettere i soldi sotto il materasso. Le ricerche dei decenni passati hanno evidenziato come il luogo comune sulla vocazione al risparmio degli Italiani sia fondato: abbiamo l’abitudine di mettere da parte soldi visto anche che, pur con l’alta tassazione esistente, nel corso degli anni i guadagni sono stati sempre soddisfacenti e si è potuto mettere da parte dei tesoretti che ancora oggi alimentano in ciclo continuo le casse di risparmio delle famiglie. Ora, per quanto questa narrazione sia estremamente lontana da ciò che siamo abituati a sentire sin dai tempi della crisi del 2008 (e forse anche da prima) in realtà si può affermare che le cose stiano ancora un po’ così, ed è anche per questo motivo che molte famiglie ancora possono concedersi piccoli e grandi investimenti in tempi costantemente di magra. Ovviamente però non è tutto oro quel che luccica, e sembriamo davvero essere in bilico su un filo del rasoio. Perché? Perché per quanto le famiglie (soprattutto quelle coi capofamiglia più anziani) continuino ad avere discreti soldi da parte, sta emergendo sempre più una fascia sociale indifesa, priva di questi risparmi, una  classe giovane e giovanissima che fatica a trovare un lavoro che consenta di mettere da parte qualcosa e, dunque, che consenta di nutrire sicurezza nei confronti del futuro.

Italia e covid-19: quando il risparmio non basta

Come si diceva, nel corso dei decenni scorsi i lavoratori italiani hanno sviluppato un senso di fiducia nel futuro oggi parzialmente andato perduto. Le famiglie fortunate che riescono ancora a produrre un buon risparmio – e a rimpiazzarlo con nuovo cash nel momento in cui si decida di investirne una parte – non risente di questi disagi. Ma come già sottolineato ci sono famiglie che riescono a risparmiare solo grazie a svariate privazioni (dunque evitando di investire denaro e lasciandolo davvero a marcire sotto il materasso) od anche tante famiglie e singoli cittadini che non riescono a mettere qualcosa da parte. In altri paesi la razionalità vorrebbe l’intervento statale tramite un valido sistema di servizi pubblici: ciò accade nei paesi del nord e centro Europa, ma non pare essere affatto un’usanza italiana e mediterranea (Spagna, Grecia, Portogallo…). Nei decenni si è preferito agire in direzioni diverse, andando a rimpinguare il risparmio privato: così lo Stato non interveniva nella vita dei cittadini con sistemi strutturati di servizi pubblici ed assistenziali, bensì andando ad erogare soldi a pioggia ogniqualvolta fosse possibile concedere a tutti la chimera di un risparmio interminabile negli anni a venire.
Insomma, per tutto questo tempo si è avuto a che fare con uno Stato colpevole di non aver prodotto i servizi che col senno di poi sarebbero stati utili ai cittadini, ma al tempo stesso è stato dato ai cittadini ciò che questi chiedevano. Ora, nell’ultimo decennio questa macchina si è senza dubbio inceppata: la crescita economica è rallentata, la capacità di creare risparmio continuativo da parte delle famiglie è calata e tutto il sistema nazionale ne ha risentito. Con la crisi economica di dodici anni fa si sono poi venute a creare nuove risacche di povertà e al tempo stesso la presenza dello Stato è scemata per via di tagli a tutto l’apparato di servizi pubblici ed alle risorse utili ai cittadini stessi.
Il fatto che sempre più italiani non riescano a risparmiare abbastanza (o che lo facciano sacrificando certi investimenti privati di cui l’economia consumistica si nutre) produce grosse difficoltà a tutto il sistema Paese. Si capisce come nella situazione di difficoltà che stiamo vivendo a causa del Covid-19 tutte queste dinamiche creino una piccola bomba ad orologeria.

La problematica odierna

Ed eccoci qui a parlare di Coronavirus, come se in questi giorni non lo si facesse abbastanza, vero? Scherzi a parte, la questione è molto seria e propone spunti anche per il futuro, perché quest’esperienza ci sta insegnando che non si può vivere nell’illusione che vada sempre tutto bene e che i pericoli possono essere più imminenti di quanto si creda. Ipotizzando un’Italia popolata da cittadini ben sostenuti da un corposo risparmio privato, situazione ormai lontana dalla nostra realtà, saremmo sempre di fronte ad una grave emergenza di liquidità (le fasce sociali deboli sono purtroppo sempre esistite, anche in tempi rosei) ma forse non ci sarebbe stato bisogno di un intervento immediato a rimpolpare le tasche di così tante famiglie, scenario a cui invece assistiamo oggi. Insomma, è possibile ipotizzare che in altri tempi il risparmio privato avrebbe fatto da cuscinetto più di quanto lo stia facendo attualmente. E’ proprio per questo motivo che la situazione odierna è davvero un’occasione per un cambio di passo politico, che sembra parzialmente essere recepito dal governo: con gli interventi di marzo e aprile, checché se ne dica, si avrà a che fare con delle misure di intervento formidabili in termini di sforzo economico da parte delle casse dello Stato se paragonate alla limitatissima capacità d’investimento pubblico in situazioni di normalità.

Interventi dignitosi ma tempistiche all’italiana

Ora, per quanto la qualità degli interventi italiani vada calcolata anche alla luce del nascituro “decreto aprile”, che godrà della sospensione del Patto di Stabilità europeo (i Paesi potranno pompare denaro a piacimento, anche se rimane da stabilire le condizioni con cui sistemare in futuro i conti pubblici), non ci si può dire perplessi dalla quantità di denaro finora erogato dallo Stato – intervento diretto in economia per 25 miliardi di euro a marzo, a cui si aggiunge una somma almeno pari per il mese di aprile e ingenti tutele statali sui prestiti erogati alle imprese per 400 miliardi – quanto per le tempistiche con cui gli aiuti stanno giungendo nelle tasche degli Italiani. Fa ridere che le misure che servivano alle famiglie per sopravvivere durante marzo saranno erogate a metà aprile. 
Insomma, pur con tutte le buone intenzioni del mondo messe in campo dal potere Esecutivo (e pur con tutte le critiche che si possano legittimamente fare) lo sguardo va allargato di molto, fino a comprendere tutte le maglie statali, tutte le istituzioni che sembrano davvero “imballate” in una situazione di colpevole farraginosità. In un’Italia in cui il risparmio privato scarseggia sempre più erano proprio le tempistiche a contare, a fare da discrimine fra la presenza dello Stato davvero percepita dai cittadini o meno. Le tempistiche “all’italiana” sono il vero problema della situazione, perché oggi c’è chi davvero fatica ad andare avanti, e non si tratta di una quantità di persone tale per cui il ritardo dello Stato possa essere sopperito da un aiuto da parte della rete di cittadini, famiglie e società civile: sono troppe oggigiorno le persone in seria difficoltà. A questo si lega ovviamente un altro discorso, quello relativo allo stato di salute del nostro settore pubblico in ambito digitale ed informatico, una risorsa basilare per poter intervenire con tempestività in una situazione di lockout. Proprio su questo verterà la seconda fase di questa analisi, che proseguirà nel prossimo articolo.