Dopo le due Top 10 di settimana scorsa, chiudiamo il 2019 immergendoci nelle zone oscure dell’anno di cinema appena trascorso. Parliamo oggi di quelle che sono state le peggiori uscite degli ultimi dodici mesi, tra film poco –o per nulla- riusciti, fallimenti artistici, commerciali e passi falsi di grandi cineasti. Contrariamente al modo di dire, prima il piacere poi il dovere.
La Flop 10 di Davide Fiolo
- Submergence di Wim Wenders
- Domino di Brian De Palma
- Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores
- Il signor diavolo di Pupi Avati
- It – capitolo 2 di Andy Muschietti
- Yesterday di Danny Boyle
- Il paradiso, probabilmente di Elia Suleiman
- Wounds di Babak Anvari
- La mia vita con John F. Donovan di Xavier Dolan
- L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti
È quasi iconoclastico vedere, nel podio dei film meno convincenti dell’anno, tre registi del calibro di Wenders, De Palma e Salvatores. Il regista tedesco, nel corso del tempo, ha perso la propria creatività. Dopo il bellissimo documentario Il sale della terra ed il raffinato Ritorno alla vita, Wenders torna con Submergence, storia d’amore che si propone di affrontare altissime questioni filosofiche e religiose, senza riuscire mai a raggiungere i suoi intenti. Wenders si perde tra il mar glaciale artico e l’Africa, speriamo faccia ritorno.
Brian De Palma, tra controversie produttive e disconoscimento del proprio film, approda sul grande schermo con Domino. Una vera delusione. L’interessantissimo tema del terrorismo Jihadista in Europa sembra rimanere di contorno, i protagonisti privi di sfumature psicologiche, la stessa estetica cinematografica tipica di De Palma non è mai presente. Un errore di percorso in oltre 50 anni di carriera è più che concesso, soprattutto se ti chiami Brian De Palma. Chi, invece, di errori di carriera ne ha fatti fin troppi è Gabriele Salvatores. Tutto il mio folle amore è un film scontato e superficiale, l’ennesima prova negativa di un regista che ormai da almeno quindici anni non sa più stupire. Il film peggiore dell’intera carriera del regista napoletano. Forse, il punto d’arrivo di anni e anni di continue delusioni.
Nel complesso delude anche Il signor diavolo di Pupi Avati, soprattutto nella sceneggiatura e nelle recitazioni.
Di certo It – capitolo uno non era un capolavoro, ma un buon film con spunti interessanti. Ecco, dimentichiamoci quanto di buono vi era nella prima parte dell’ormai abusato libro di Stephen King. It – capitolo due è infatti una grande occasione sprecata, un film lunghissimo che presenta carenze sotto tutti i punti di vista. Funziona davvero poco, che peccato.
Un mondo senza Beatles sarebbe davvero impensabile, ma non di certo un mondo senza Yesterday di Danny Boyle. Film ambizioso che diventa una commedia romantica senza se e senza ma. Eppure, con un regista del calibro di Boyle ed uno sceneggiatore come Richard Curtis, ci aspettavamo tutti un grande film.
Il regista palestinese Elia Suleiman non convince pienamente con la sua ultima, ambiziosa opera. Non di certo da condannare, ma anche in questo caso, le aspettative erano alte.
Dopo lo straordinario Under the Shadows, horror politico di grandissima intelligenza cinematografica, il regista di origini iraniane Babak Anvari non ripete quanto di bello vi era nel film precedente appena citato. Wounds è un’opera riuscita a metà, carente di vera originalità.
La mia vita con John. F. Donovan di Xavier Dolan é certamente il peggior lavoro del regista canadese. D’altra parte, cerchiamo di essere sinceri: dopo ben 6 film bellissimi, un film meno bello è concesso.
L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti è invece un film con ottimi spunti, soprattutto nella prima metà, ma cade nella seconda. Anche in questo caso, con un attore come Elio Germano, ci si poteva aspettare ben di più.
La Flop 10 di Matteo Abrami
- Pinocchio di Matteo Garrone
- It – capitolo 2 di Andy Muschietti
- Dumbo di Tim Burton
- El Camino di Vince Gilligan
- Domino di Brian De Palma
- Il Signor Diavolo di Pupi Avati
- 6 Underground di Michael Bay
- Beautiful Boy di Felix Van Groeningen
- C’è Tempo di Walter Veltroni
- L’Uomo del Labirinto di Donato Carrisi
La mia FlopTen, personale e idiosincratica come tutte le classifiche, non è propriamente una lista dei peggiori film dell’anno, quanto delle delusioni più grandi. Film di registi con almeno un po’ di talento, su cui avevo una qualche aspettativa positiva. Il primo esempio, L’Uomo del Labirinto, ben esplicita questa premessa: Donato Carrisi, il regista, veniva da un film solido e di successo come La Ragazza nella Nebbia, dopo il quale ha deciso di cimentarsi con un progetto originale nell’idea quanto nella realizzazione. Si apprezza il coraggio, ma solo quello: più che un noir allucinato e “alla Sin City”, L’Uomo del Labirinto è pacchiano, mal riuscito e fragilissimo nell’intreccio giallo. Una copia sbiadita dei modelli a cui tende.
Il debutto nel cinema di finzione di Veltroni, invece, è convenzionale e fastidiosamente ruffiano. Sarebbe un nulla facilmente dimenticabile se non fosse per l’ambizione da “cinema d’essai” che pervade C’è Tempo per tutta la sua durata. Bene, per quanto riguarda Beautiful Boy le parole “convenzionale e fastidiosamente ruffiano” si possono perfettamente riciclare. Un racconto che vorrebbe essere doloroso, ma si rivela patinato, superficiale e bloccato nella stucchevole bontà dei suoi personaggi e del suo narratore.
Per quanto riguarda il sig. Bay il discorso è diverso: Bay, che piaccia o meno, è un autore con una sua idea di cinema, portata avanti con tenacia a colpi di esplosioni ed incassi stratosferici. Il suo problema, a mio modesto avviso, è che la ricerca sull’action che sta portando avanti -quantomeno da Pain & Gain- si riduce ad un’auto-parodia per nulla interessante, in cui l’indagine sul (suo) cinema avanza solo per mezzo dell’esagerazione, dell’infarcitura esagerata di suoni, sequenze e situazioni tipiche del “Bayhem”. 6 Underground è il manifesto più programmatico del suo autore, con tutta la noia che ne deriva.
Per i fan dell’horror il 2019 è stato un anno dolceamaro: grandi titoli e grandi schifezze. Spiace doppiamente, in primis perché italiano, in secundis in quanto ritorno al genere di un regista come Avati, che Il Signor Diavolo faccia parte della seconda categoria. Una premessa interessante e un ritratto riuscito della comunità rurale del nord Italia (sempre cara ad Avati) non salvano il film da una messa in scena così povera e mal riuscita da risvegliare l’attenzione solo nei momenti d’involontaria ironia. Un horror in cui a far spavento è solo il comparto tecnico della produzione. Domino, la cui puzza di fallimento si sentiva fin dal primo trailer, è il peggior lavoro di un gigante come Brian De Palma (che, perlomeno, ha rinnegato il montato finale). Non funziona niente, dagli attori alla sceneggiatura, e i problemi che hanno attanagliato la produzione fin dal primo giorno si sentono tutti. Neanche uno come De Palma, di cui ogni tanto si intravede una scintilla, un’idea che poteva essere interessante (il “terrorismo d’immagini” dell’ISIS, ad esempio), avrebbe potuto tenere a galla una nave tanto disastrata.
Con El Camino siamo davanti all’operazione produttiva più subdola dell’anno: l’idea, evidentemente posticcia, di continuare la storia di Breaking Bad si scontra con la paura –giustificata- di rovinare l’immagine della serie originale. Il film di Gilligan dunque è il nulla: totalmente privo di idee, di novità, rischi e sviluppo dei personaggi. La sensazione è di ritrovarsi davanti ad una puntata minore di BB, uscita con anni di ritardo.
La medaglia di bronzo va, con immenso dispiacere, al Dumbo di Tim Burton, un regista che sembra ormai davvero aver smarrito il tocco che lo contraddistingueva. L’elefantino protagonista del film è una metafora di tutto il suo ultimo cinema: si spaccia per freak, per outsider non accettato, ma è troppo docile e normale per riuscirci. In ogni caso, a Tim vogliamo bene. Finché non farà Beetlejuice 2, quantomeno.
Al secondo posto, il peggior horror del 2019: il prosieguo del già mediocre It di Muschietti. Lungo e stupido, It 2 si schianta subito dopo un prologo interessante. Dei tanti problemi che lo affliggono (scare jump ripetitivi e fiacchi, mancanza di costruzione della tensione…), il principale è la sceneggiatura, o meglio: la struttura ripetitiva su cui vengono costruite le vicende dei singoli protagonisti. Una volta capito il sistema su cui viene costruita la ricerca dei Perdenti, tutto è prevedibile. Ogni 27 anni Pennywise torna per terrorizzare Derry; 27 anni è anche la durata percepita del film.
Come detto all’inizio, Pinocchio non è al primo posto in quanto film peggiore del 2019, ma, con il massimo rispetto per un grande regista come Garrone, l’ultima riproposizione delle vicende del burattino collodiano non funziona per nulla. Manca un’idea che guidi il film, una lettura autoriale che ci sia aspetterebbe da uno dei migliori registi italiani viventi: Pinocchio non sa cosa essere, se un prodotto puramente per bambini o una favola più adulta e dark, alla Del Toro (che sta lavorando alla sua versione in questi mesi). Quest’essere sempre in bilico si fa sentire nella messa in scena e nella scrittura che, a volte, dà la sensazione di essere un bignamino dei capitoli del libro. Come conseguenza, i personaggi, tranne il Geppetto di Benigni, unica nota positiva, sono privi di qualsiasi sostanza. L’adattamento della lingua non funziona, così come il cast e, in alcuni momenti chiave, il make-up: si vedano il concept di personaggi come il protagonista, Mangiafuoco e quello grottesco del Tonno -più adatto a Society di Yuzna. Un Fantasy con nessuna voglia di fantasticare, peccato.