Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna, studente magistrale di Strategie della comunicazione Pubblica e Politica presso L'università di Firenze. Appassionato di politica, storia, sociologia, comunicazione e nuove tecnologie.

Nel 2015, a 35 anni dalla sua promulgazione, è stata abolita la One-Child Policy, la più estrema e dura forma di controllo delle nascite mai applicata nella storia dell’essere umano.

La politica del figlio unico ha fatto parte di un programma designato per controllare la crescita della popolazione cinese che, dagli anni ’70, ha iniziato ad impensierire la leadership di governo. Stando alle comunicazioni ufficiali delle autorità cinesi, più di 400 milioni di nascite sono state prevenute grazie all’applicazione di quella che, da molti, era considerata solo come una “One-Generation Policy”.
L’anno d’introduzione ufficiale fu il 1979 e nell’arco di tre decenni questo colossale progetto sociale ha cambiato per sempre il volto della Repubblica Popolare Cinese, non solo agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, ma anche, e soprattutto, a causa delle innumerevoli ripercussioni sociali, economiche e culturali che ha avuto sulla sua società.

Background storico

Mao Tse-tung, leader del Partito Comunista Cinese e successivamente primo Presidente della Repubblica Popolare, una volta salito al potere, trovò un Paese in condizioni disastrate, dilaniato da anni di guerra civile ed estremamente povero. Le condizioni del “Regno di Mezzo” erano pessime e per risollevarlo Mao ritenne essenziale implementare un grande piano sociale che avrebbe permesso di raggiungere l’autosufficienza economica e avrebbe ripopolato il paese: furono introdotte forti politiche a favore della natalità e furono aboliti l’aborto, i metodi contraccettivi e la sterilizzazione.

Mao vedeva nella crescita della popolazione il simbolo della futura forza della Cina che, infatti, da 540 milioni di persone nel 1949, arrivò a contare più di 940 milioni di persone nel 1976. Tuttavia, a questo enorme incremento della popolazione non fece seguito un altrettanto alto sviluppo economico, la popolazione era ancora povera e il benessere di cui oggi gode la Cina era ben lungi dall’essere raggiunto. Le cose cambiarono radicalmente con la morte di Mao nel 1976; il passaggio di leadership, infatti, dovette fare i conti con le mancate promesse raggiunte dal proprio precedente leader: era vitale raggiungere il progresso economico per poter riaffermare la propria autorità. Fu in questo momento che si identificò nella sovrappopolazione un ostacolo allo sviluppo e alla modernizzazione del paese.

La One-child policy fu solo una, anche se la più ferrea, delle tante politiche applicate negli anni dalle autorità cinesi per controllare il tasso di natalità della popolazione, infatti, già nel 1973 era stata applicata la legge dello “Wan Xi Shao” ovvero una campagna di educazione per le donne e per le coppie in cui veniva spiegata la necessità di sposarsi e avere gravidanze in età più avanzata (Wan), rispettando un intervallo di tempo più lungo tra un figlio e l’altro (Xi) e, soprattutto, di avere meno figli, possibilmente solo due per coppia (Shao). Prendendo in esame i grafici è possibile constatare come, anche solo tale politica, riuscì a far diminuire il tasso di fecondità, ovvero il numero medio di figli per donna in età fertile, in Cina da 6 che era prima del 1970 a 3 verso la fine dello stesso decennio. Questo, per molti esperti demografi come Wang Feng, era già un indicatore di come il tasso di natalità, ovvero quanti figli nascono in media in un determinato periodo di tempo, sarebbe naturalmente diminuito in Cina anche senza l’applicazione della politica del figlio unico.

Sebbene la tendenza della leadership cinese stesse andando sempre più verso la promulgazione di una legge che avrebbe, definitivamente, regolamentato e limitato la crescita della popolazione in Cina, si deve allo scienziato, specializzato in demografia, Song Jian l’edificazione del progetto della One-Child Policy: egli, infatti, stimò che la popolazione ideale della Cina sarebbe dovuta essere di 700 milioni di persone e che una politica del figlio unico universalmente applicata sul territorio avrebbe permesso di raggiungere questo obiettivo.

Song Jian constatò, inoltre, un dato allarmante che spinse le autorità cinesi a mobilitarsi immediatamente: se il tasso di fecondità in Cina fosse rimasto di 3 figli in media per donna, la popolazione avrebbe superato i 3 miliardi di persone nel 2060 e i 4 miliardi nel 2080. Una tale eventualità avrebbe comportato una catastrofe per l’economia del paese e molto probabilmente per quella di tutto il mondo (attualmente la popolazione mondiale è di 7 miliardi).

Allarmato da questa prospettiva il governo di Deng Xiao Ping, nel 1979, varò un ambizioso programma di riforme di mercato in concomitanza con la politica del figlio unico, in modo tale da risollevare il paese da una situazione di stagnazione economica. L’obiettivo era quello di contenere la crescita della popolazione entro 1,27 miliardi di persone per il 2000 e per lo stesso anno di raggiungere la crescita zero, ovvero il sostanziale pareggio tra natalità e mortalità.

Applicazione della politica e ripercussioni socio-culturali

Come già detto, la One-child policy fu da subito considerata come una “One-generation policy”, ovvero un sacrificio generazionale, stimato per un periodo di 25 anni, che avrebbe comportato “lacrime e sangue” nell’immediato futuro ma un benessere maggiore per le generazioni successive. E’ importante sottolineare come l’applicazione della restrizione ad avere un unico figlio ebbe, comunque, ampio margine di tolleranza e flessibilità: già nel 1985, infatti, fu deciso che in molti casi sarebbe stato possibile applicare la “1,5-child policy” che prevedeva la possibilità, per una coppia, di avere un secondo figlio se il primogenito fosse stato una femmina. A questa eccezione se ne aggiunsero una serie di varianti per cui se il primo nato, anche se maschio, fosse stato disabile o malato sarebbe stato possibile avere un secondogenito. Perciò, anche se Song Jian aveva fortemente consigliato di applicare una politica universale del figlio unico, concretamente nel 2007 solo il 36% della popolazione era soggetta alla restrizione, al 53% era concesso, invece, di avere un secondo figlio se il primo fosse stata una femmina, al 9,6% era permesso di avere due figli in qualsiasi caso e all’1,6% non si poneva alcun limite (popolazione tibetana).

Nonostante questa flessibilità non bisogna, però, illudersi che la situazione fosse tollerabile per gli standard occidentali di libertà: come parte integrante della politica vi erano pesantissime sanzioni a chi violasse il divieto e, soprattutto, terrificanti e disumane ripercussioni per le giovani donne cinesi. Una volta compiuto il primo parto alle madri era imposto l’innesto, tramite intervento chirurgico, di un dispositivo intrauterino, lo IUD, che funzionava da contraccettivo mentre, nel caso di una seconda gravidanza, le donne erano costrette ad essere sterilizzate. L’inasprirsi delle sanzioni contro i figli non autorizzati portò poi alla nascita di un fenomeno, se possibile, ancora più disumano del precedente: dagli anni ’80 quasi due milioni di bambini furono abbandonati dalle proprie famiglie, specialmente se femmine, di queste 120 mila furono adottate da genitori stranieri, mentre le restanti furono messe in orfanotrofi. Nel caso in cui la famiglia avesse avuto modo di capire il sesso del futuro neonato prima del parto, cosa illegale in Cina all’ epoca, il destino per una potenziale figlia era di venire abortita. La selezione per sesso dei figli, durante la One-child policy, fu il problema più grave che nacque all’interno della società cinese, soprattutto nei casi in cui alle famiglie veniva concesso di avere un secondo figlio perché il primo femmina. Il retaggio di ciò, oggi, si traduce in uno squilibrio all’ interno della composizione della popolazione cinese: vi sono, infatti, 30 milioni di uomini in più che donne, uno squilibrio che se non sarà arginato, porterà ad una forte instabilità sociale e sarà motivo di una enorme emigrazione dal paese.

La selezione per sesso, per quanto atroce sia stata, tuttavia aprì le porte ad un inatteso fenomeno culturale: le bambine figlie uniche ebbero, infatti, la possibilità di accedere alla stessa educazione dei maschi e in questo modo aumentarono le loro opportunità di fare carriera e ottenere lavori migliori all’interno della società.

Conclusioni

Con quasi un decennio di ritardo rispetto ai piani originari, la One-child policy è oggi stata abolita e anche se si potrebbe pensare che questo sia frutto di una maggiore apertura, delle autorità cinesi, verso il rispetto dei Diritti Umani, la realtà è ben diversa. Come suggerisce Mei Fong, reporter del Wall Street Journal: “la ragione per cui la Cina ha abolito la politica del figlio unico adesso è perché la popolazione cinese conta troppi maschi, troppi anziani e troppi pochi giovani; la società cinese sta vivendo una sconvolgente crisi demografica e se le persone non inizieranno ad avere più figli, nell’immediato futuro, ci sarà troppa poca forza lavoro per poter mantenere una popolazione in maggioranza anziana.” E’ stimato che la Cina perderà 67 milioni di cittadini in età da lavoro entro il 2030, mentre simultaneamente raddoppieranno i “pensionati”, cosa che molto probabilmente manderà in crisi l’economica cinese.

Nel 2015 il tasso di fecondità in Cina aveva raggiunto l’1,4%, ovvero circa 1 figlio in media a famiglia (nel 1979 era circa del 3%) ma il governo credeva che abolendo la One-child policy si sarebbe immediatamente verificato un “boom” demografico che avrebbe in poco tempo risolto la crisi demografica. Queste previsioni sono state, tuttavia, disattese e nel 2018 ci sono state all’incirca 15,2 milioni di nascite, il tasso di natalità più basso dal 1961. Il governo del nuovo Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, dovrà sicuramente intervenire per ribaltare questa tendenza favorendo la natalità e agevolando le famiglie che faranno più figli.

La paradossale ironia della storia è che per quanto si possa imparare dai propri errori passati, alla fine ritorneremo, sempre e comunque, a ripercorrere sentieri già battuti: nel 1949 la Cina necessitava di far crescere la propria popolazione per rinforzare lo Stato, e lo ha fatto; nel 1979 ha capito, invece, che troppe persone limitavano il raggiungimento di un più alto benessere collettivo, così hanno limitato la crescita demografica; oggi, questa limitazione, ha riportato la Cina in una situazione di crisi dalla quale potrà uscire solamente favorendo di nuovo la crescita della popolazione; domani, invece, cosa accadrà?