Nata a Gubbio, ora studentessa di Scienze Politiche presso l'Università degli studi di Perugia. Amo la fotografia, i libri, la musica e la politica. Una ne faccio, cento ne penso.

Le elezioni britanniche, tenutesi ieri, sono ormai state analizzate in tutte le salse: il “passo falso” dei conservatori, la rimonta dei laburisti, il ritorno del socialismo inglese… Ciò che però colpisce è come con queste ultime elezioni ci sia stato un netto cambio nel sistema britannico all’insegna di un rinnovato bipartitismo.

I risultati: (fonte: BBC News)

CONSERVATORI (Tories): 42.4%
LABURISTI (Labour): 40,0%
LIBERAL-DEMOCRATICI: 7,4%
SCOTTISH NATIONAL PARTY: 3,0%
UKIP: 1,8%
VERDI: 1,6%

Per quanto riguarda l’affluenza, è stata leggermente superiore a quella degli anni passati: (fonte BBC)

2005: 27.148.510 elettori
2010: 29.687.604 elettori
2015:  30.691.680 elettori
2017: 32.158.241 elettori

La riconferma della presidentessa uscente Theresa May, data per scontata, c’è stata, ma con un divario di soli 2 punti rispetto ai Laburisti. Questa risicata maggioranza non permette perciò ai Conservatori di formare un governo forte come la leader avrebbe voluto.
La premier uscente si è detta però decisa a formare un nuovo esecutivo, e dopo un breve colloquio con la Regina ha annunciato l’asse Conservatori – autonomisti Irlandesi (DUP).
Queste elezioni anticipate erano state indette dalla stessa May per formare una larga maggioranza che permetta una migliore conduzione delle trattative per la Brexit. Speranza disattesa a causa dell’exploit dei Laburisti di Corbyn, leader di una sinistra capace di attrarre il consenso delle masse come non si vedeva da tempo.

IL RITORNO DEL BIPARTITISMO ALL’INGLESE

Il bipartitismo all’inglese è stato per molti anni una chimera agli occhi di tutti gli altri sistemi parlamentari, che consideravano la democrazia britannica come perfetta, caratterizzata da forte bipolarizzazione ed alternanza di governo. In Gran Bretagna si hanno storicamente fazioni solide poiché di fatto esistono due grandi partiti che occupano la scena quasi per intero: il partito laburista ed il partito conservatore. A rendere la competizione a due nel Regno Unito non è tanto il sistema elettorale maggioritario quanto la capacità dei due partiti principali di raccogliere da soli la quasi totalità  dell’elettorato, o almeno così era fino a qualche tempo fa.

Negli ultimi decenni infatti, cosa impensabile un tempo, c’è stato il vitale bisogno di creare coalizioni per poter costituire una maggioranza valida alla Camera dei Comuni. La situazione è rimasta comunque ben gestibile, in maniera assai lontana dal pluralismo italiano, tuttavia il trend era preoccupante: la doppietta Labour+Tories ha garantito progressivamente sempre minor presa sul Parlamento britannico vedendosi sfuggire l’egemonia per mano di vecchie conoscenze o nuovi partiti. La stabilità  del sistema è stata dunque messa in bilico e si sono dovuti creare nuovi equilibri all’interno del legislativo, intanto si cominciava a paventare la morte dietro l’angolo del Partito Laburista e perdita di centralità da parte del Partito Conservatore.

Come sappiamo queste ipotesi sono state spazzate via dalle elezioni dell’8 giugno, ma su questo aspetto si è posto fin troppo poco l’accento, soffermandosi invece sull’errore politico e strategico di Theresa May. Il risultato ottenuto dal Labour di Corbyn ha dato nuova linfa vitale non solo alla sinistra, ma anche al bipartitismo britannico stesso.
In totale il dato risulta essere eclatante, poiché assieme si raggiunge l’82.4%, un tasso di bipartitismo che non si osservava da molto, molto tempo. Per capire le dimensioni di questa svolta ecco i dati elettorali dal dopoguerra ad oggi accompagnati dal tasso di bipartitismo.

Anno: Conservatori – Laburisti; (totale = tasso di bipartitismo) (fonte: Wikipedia)

2017: 42.4 – 40 (82.4)
2015: 36.9 – 30.4 (67.3)
2010: 36.1 – 29 (65.1)
2005: 32.4 – 35.2 (67.6)
2001: 31.7 – 40.7 (72.4)
1997: 30.7 – 43.2 (73.9)
1992: 41.9 – 34.4 (76.3)
1987: 42.2 – 30.8 (73)
1983: 42.4 – 27.6 (70)
1979: 43.9 – 36.9 (88.9)
1974(2): 35.8 – 39.2 (75)
1974(1): 37.9 – 37.2 (75.1)
1970: 46.4 – 43.1 (89.5)
1966: 41.9 – 48.0 (89.9)
1964: 43.4 – 44.1 (87.5)
1959: 49.4 – 43.8 (93.2)
1955: 49.7 – 46.4 (96.1)
1951: 47.97 – 48.78 (96.75)
1950: 43.4 – 46.1 (89.5)
1945: 36.2 – 47.7 (83.9)

Come potrete osservare, fino alla prima metà degli anni Settanta i due principali partiti sono riusciti a raccogliere da soli percentuali che non sono mai scese al di sotto dell’83.9%, con picchi intorno al 96%. Dal 1945 per quasi un trentennio si è mantenuta una media pari al 90.8% dei voti totali ottenuti da laburisti e conservatori, permettendo maggioranze solide ed abbastanza durature.
La crisi del bipartitismo britannico pone le radici dunque a partire dagli anni Ottanta quando per venti anni non si riesce più a sfondare la soglia dell’80% come tasso di bipartitismo, raggiungendo al massimo un 76.3% nel 1992, poi tutti risultati un po’ fiacchi, pur sempre nel range dei settanta punti percentuali.
Un ulteriore dato al ribasso arriva negli anni 2000 quando per la prima volta dal dopoguerra Labour e Tories non raggiungono assieme neanche il 70%, fermandosi al 67.6% del 2005. I dati poco esaltanti nell’ultimo periodo hanno per lo più riguardato i socialisti rispetto ai conservatori, infatti come potete osservare il Partito Laburista è sorprendentemente sceso al di sotto del 30% nel 2010, con un unico precedente – tuttavia isolato – risalente al 1983.

La situazione è panoramicamente riassunta da questo nostro semplice grafico:

Gli interrogativi da porsi adesso però prescindono dai meri dati numerici e portano all’attenzione considerazioni di valore diverso. Come mai si è avuta questa inversione di tendenza? Può essere questo episodio considerato uno “sblocco” di sistema od un caso semplicemente isolato?  Quanto possono aver influito fattori internazionali in queste elezioni?
E’ inutile negare come la Brexit possa aver giocato un ruolo fondamentale.
Tale episodio ha infatti inasprito la dialettica fra Labour e Tories e può aver avuto una ripercussione sul comportamento degli elettori, attratti forse da una nuova visione bipolare della questione politica. Rimarrebbe da chiedersi, se tale ipotesi fosse reale, quanto a lungo questa ondata di novità potrà influire sul comportamento elettorale. Il meccanismo di “disincanto” dall’asse destra vs sinistra della politica è un qualcosa che accomuna molti dei paesi occidentali, Regno Unito incluso, ed è difficile invertire la rotta in maniera così immediata.

Di Stefano Ciapini e Chiara Minelli