Anche se le pagine della cronaca politica ci avevano dato una tregua, si sta tornando a parlare di elezioni anticipate con un ritmo serratissimo, vista l’odierna pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum. Oggi è stata infatti dichiarata la posizione della Consulta rispetto alla riforma elettorale del 2015. Alla luce di questo proponiamo una riflessione: cerchiamo di capire allora quanto si stia dibattendo senza cognizione di causa sul tema, o meglio quanta ragione abbiano coloro che gridano “AL VOTO SUBITO!”, impugnando il potere degli elettori nel creare un nuovo governo, e quanta invece ne abbiano coloro che temporeggiano e richiamano alla calma.
Davvero gli elettori hanno in mano la formazione dell’esecutivo e la nomina del suo capo? Per rispondere a questo vanno tralasciati gli elementi contingenti per guardare alla sostanza. Ovvero, bisognerà analizzare approfonditamente il sistema partitico ed elettorale per capire se effettivamente le urne in Italia sanciscano un “mandato popolare” per l’esecutivo; cercheremo di capire se e in che misura la formazione di un governo sia in mano al voto dei cittadini come qualcuno dice, sia in relazione alle ultime elezioni del 2013, in cui è stata usata una certa legge elettorale, sia per le elezioni future, per la quale oltre all’Italicum rivisto dalla Corte ci sono varie possibilità.
È vero, come si sottolinea spesso, che noi votiamo per il Parlamento, ma in precise condizioni tale votazione permette al popolo di esprimere una sorta di legittimazione elettorale nei confronti di un candidato o di un partito. Mai una vera e propria elezione diretta, s’intenda, ma si veda ad esempio il sistema britannico, bipartitico e maggioritario: dalle loro urne uscirà un Premier legittimato a governare direttamente dagli elettori e la nomina da parte del Capo di Stato, la Regina, sarà solo una formalità. Quanto ci discostiamo da questo genere di logiche? Una tale precisazione è doverosa soprattutto dopo aver vissuto il periodo iniziale della Seconda Repubblica, che ci ha abituati a parlare di “vincitore delle elezioni”.
Riassumendo, la nostra ricerca verterà sul capire se ci siano delle basi per parlare di elezione popolare dell’esecutivo e del capo dell’esecutivo, due temi caldissimi; per fare questo osserveremo il sistema partitico ed elettorale italiano. Faremo riferimento all’ultima legge elettorale utilizzata, il Porcellum, e alle alternative fra cui Italicum, Mattarellum e proporzionale semplice. Sarà importante sottolineare, per ogni sistema elettorale, quanto il voto del cittadino sia responsabilizzato, ovvero se sia rilevante o meno nella creazione di una maggioranza di governo netta e di un vincitore vero e proprio. Su questo ritorneremo.
Sistema partitico italiano: bipolare o pluralistico?
Prenderò in esame il sistema partitico italiano relativo all’esito delle politiche 2013. Esso è stato caratterizzato dalla presenza di 3 partiti con potere “coalitivo” (ovvero con la capacità di costituire facilmente una coalizione di maggioranza) ed almeno 4 partiti con potere “di ricatto” (cioè non molto grandi, ma comunque capaci di ricattare la coalizione maggioritaria): rispettivamente PD, M5S, PDL; Lega, FDI, SEL e Scelta Civica. Dal 2013 ad oggi qualche partito è cresciuto, qualche altro ha cambiato nome, qualcuno è stato rimpiazzato, ma le stime propongono un assetto abbastanza simile a quello appena illustrato: vi sono almeno 6 partiti che influiscono qualitativamente nel risultato delle elezioni. Siamo di sicuro in presenza di un pluralismo. Più correttamente però si dovrebbero considerare le coalizioni, cosa più che giusta visto come i partiti si presentano di fronte all’elettore; si potrebbero comunque contare il Centrodestra, il Centrosinistra, il M5s, il Centro ed altri piccoli partiti come Rivoluzione civile di Ingroia. Ecco perché si parla di Tripolarismo, nonostante poi i poli nel 2013 fossero 4, con un centro guidato da Mario Monti, Casini e Fini attestatosi sopra il 10%. Chiaramente questo scenario sfavorisce la creazione di due schieramenti ben definiti, condizione necessaria affinché il cittadino, trovatosi alle urne, possa decidere rispetto ad una possibile maggioranza di governo.
Attenzione però, se il discorso si concludesse qua, si potrebbe dire che coloro che parlano di governo “eletto dal popolo” dovrebbero correggere il tiro, in realtà prima di prenderci questa libertà va osservato il sistema elettorale in tutti i suoi aspetti. Esso può dare una piega bipolare o multipolare al sistema partitico, pur essendo esso pluralistico. Andiamo ora quindi ad analizzare il Porcellum, ovvero la legge utilizzata per votare il Parlamento vigente, oltre che alle elezioni politiche del 2006 e 2008. Solo così sarà possibile decretare la buona fede o meno di coloro che hanno accusato i passati governi di una mancata elezione popolare; poi ci occuperemo del futuro.
Attenzione! Bisogna ricordarsi molto bene, come si diceva poco fa, che quando si parla di “elettore responsabilizzato” si intende essere in presenza di una metodologia di voto che permetta al cittadino di stabilire con la votazione un vincitore e/o una parte politica di maggioranza. Non deve cioè esserci il bisogno di consultazioni fra partiti e Capo di Stato dopo le urne. Solo in questa maniera si può avere una sorta di legittimazione popolare e di vincolo elettorale, e rispetto a questo verterà tutta la nostra analisi. Tanto per fare un esempio, un sistema a maggioranza assoluta, come quello britannico a cui si faceva riferimento, è altamente responsabilizzante, un proporzionale puro invece non lo sarebbe per niente. Chiarito ciò, andiamo a vedere il nostro Porcellum.
Porcellum (legge Calderoli 2005)
La legge Calderoli, utilizzata per eleggere il Parlamento vigente e i legislativi 2006-2008, è un sistema elettorale noto soprattutto per essere stato definito dal suo stesso proponente “una porcata”. Proprio in seguito a questo episodio venne coniato il termine Porcellum dal grande politologo Giovanni Sartori.
A parte ciò, tale legge prevede innanzitutto la votazione di liste bloccate, ovvero rispetto alle quali non è possibile esprimere alcuna preferenza. Già questo ci permette di concludere che sia insensato parlare di Primo Ministro votato dal popolo, in quanto l’elettore si esprime sulla lista presentata dal partito, non sul nome di un candidato. È vero però che sui simboli delle liste talvolta sono spiccati i nomi dei leader, un elemento che ha influito senz’altro a creare confusione, giustificando in parte certi atteggiamenti.
Andiamo ad analizzare poi la formula elettorale: si tratta di un proporzionale con generoso premio di maggioranza alla Camera, con l’assegnazione di 340 seggi alla coalizione vincitrice senza una precisa soglia minima da ottenere; in realtà il premio di maggioranza c’è anche al Senato, che però viene concesso su base regionale, producendo uno scenario nazionale in cui i singoli premi hanno poco peso, grazie alla compensazione fra le varie aree elettorali che livellano il risultato totale. La responsabilizzazione che si può avere al Senato, insomma, è da considerarsi strettamente connessa alle singole regioni più che alla creazione di un governo. È corretto parlare di mandato popolare? In un certo senso sì, sicuramente per quel che riguarda l’assetto alla Camera, infatti si ha una responsabilizzazione dell’elettore, visto che il risultato di tale votazione sarà in ogni caso sicuramente una maggioranza netta, che non necessiterebbe di consultazioni successive. Guardando invece al Senato la palla passa senza ombra di dubbio alle consultazioni del Capo dello Stato, perciò dipenderà da esso anche la nomina di un Presidente del Consiglio. Non è da escludere come esito l’impossibilità di creare un governo, come accaduto nel 2013 (senza scordare i risultati più chiari di 2006 e 2008), nonostante questo parlare di maggioranza eletta alla Camera può essere giusto, ma si tratta comunque di un elemento non del tutto decisivo: le differenti dinamiche elettive fra le due camere giocano un ruolo fondamentale. Non sta invece bene parlare di elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Passiamo ora alle varie alternative che sono messe in campo per sostituire la legge Calderoli, giusto per spiazzare in anticipo tutti i possibili discorsi a vanvera che potrebbero saltar fuori… e chiaramente anche per specificare quando parlare di investitura popolare invece avrebbe molto senso!
Alternativa 1: proporzionale con scrutinio di lista
A seguito della vittoria del “No” al referendum costituzionale si è subito tirata in ballo questa possibile soluzione, che è stata accolta da alcuni con calore, da altri con indifferenza. Si può dire poco su questo sistema elettorale: in tal caso le elezioni servirebbero a tutto fuorché a generare una legittimazione popolare della maggioranza. È nella natura del proporzionale (puro o quasi) puntare al concetto di proporzionalità e non alla governabilità. Si dà voce ad ogni singola fazione popolare, ma così facendo si deresponsabilizza l’elettore nei confronti della creazione di una maggioranza di governo, la quale sarebbe solamente frutto di consultazioni successive.
Ogni recriminazione o constatazione del tipo “finalmente il popolo ha scelto da chi farsi governare” sarebbe abbastanza fuori luogo, salvo improbabili risultati plebiscitari per un singolo partito. Per essere precisi, in questa categoria rientra anche il Consultellum, ovvero il Porcellum corretto dalla Corte Costituzionale nel 2013, privato di liste bloccate e premio di maggioranza. Insomma, un vero proporzionale puro. Tale sistema nasce dalla precedente sentenza di incostituzionalità della Corte nei confronti di alcuni aspetti della legge Calderoli, che comunque abbiamo trattato in quanto è stata utilizzata ben tre volte.
Alternativa 2: Italicum (versione modificata dalla Corte Costituzionale oggi, 25 Gennaio 2017)
Di questa riforma elettorale si è detto tanto, e per fare chiarezza rispetto alla nostra indagine basterebbe ricordare le parole di Renzi, colui che più ne ha tessuto le lodi: diceva che grazie all’Italicum già il giorno dopo le elezioni ne avremmo conosciuto il vincitore. Vediamo quanto queste parole fossero vere nel 2015, anno di stesura della legge, e quanto lo si possa dire oggi alla luce della sentenza della Corte (per comodità analizziamo un Italicum ipoteticamente esteso al Senato della Repubblica). Innanzitutto l’Italicum prevede sì le liste con preferenza, ma al tempo stesso sulla scheda sarebbe indicato il capogruppo bloccato per ognuna di esse: sicuramente una responsabilizzazione maggiore rispetto al precedente metodo. Prevedeva anche la possibilità per un candidato di presentarsi in più liste, e questa caratteristica è il primo elemento decurtato nella versione corretta dalla Corte. Passiamo alla formula: la logica è proporzionale, ma lascia il passo ad un premio di maggioranza, pari al 54% dei seggi alle camere, alla coalizione che raggiunga il 40% dei consensi. La versione del 2015, quella non rivista dall corte, prevedeva che nel caso nessuno ottenesse il premio, si sarebbe andati al ballottaggio fra le due forze maggiori. Insomma, sarebbe stata una lotta a due. Sarebbe stato sensato parlare di mandato elettorale per l’esecutivo, senza ombra di dubbio. La Corte Costituzionale ha però decretato incostituzionale proprio il ballottaggio: in caso di mancata assegnazione di un premio di maggioranza si assumerebbe una piega proporzionale. Le consultazioni tornano ad avere molta importanza, non potremo più sapere chi avrà vinto dal giorno successivo alle urne.
Alternativa 3: Mattarellum (Legge Mattarella 1993)
L’ironia della sorte ha voluto che si rimettesse in ballo la legge del 1993 proprio durante il settennato di Sergio Mattarella, allora relatore di questa riforma elettorale, famosissima per aver sancito il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il sistema prevede che il 75% dei seggi di entrambe le camere sia assegnato con metodo maggioritario semplice (plurality), ed il restante 25% tramite logica proporzionale. Questo fa sì che si crei effettivamente, già col voto, una fazione di maggioranza sicuramente vittoriosa. Chiaramente, visto l’utilizzo in piccola parte del metodo proporzionale, e vista anche la presenza di un particolare correttivo alla Camera, chiamato “scorporo” (che ora non spieghiamo), tale maggioranza ne esce mitigata, ma sempre di maggioranza si tratta.
Comunque rimane sempre il nodo sul capo del governo, che viste le caratteristiche ibride del sistema è in ogni caso frutto della consultazione. Non è da escludere però il poter parlare di una fazione maggioritaria con legittimazione popolare.
Conclusioni
Coloro che gridano “Governo non eletto dal popolo!” oppure “Vogliamo tornare alle urne per far parlare gli Italiani!” per dare contro al Gentiloni di turno non sempre si basano su aria fritta, è vero, potrebbero esserci sul serio delle ragioni concrete per fare certe dichiarazioni. Sicuramente tra Italicum (rivisto), Consultellum e Mattarellum, quest’ultimo più di tutti permetterebbe di parlare di implicito vincolo elettorale, secondo una strada che si era intrapresa molto seriamente con la prima versione dell’Italicum, quella del 2015 con ballottaggio. Tuttavia, guardando alla turbolenta situazione attuale, una precisazione rimane fondamentale: per quanto le lamentele siano più o meno comprensibili, la gestione delle crisi di Governo nel nostro sistema repubblicano rimane sempre in mano al Capo dello Stato, visto che rimaniamo pur sempre un sistema parlamentare. Cosa significa tutto ciò? Facciamo un esempio: ricorderete il famoso ritornello “chi l’ha eletto?” rivolto ad Enrico Letta. Egli era subentrato a Bersani, che non era riuscito a formare un governo dopo le elezioni del 2013. Ecco, significa che giunti a casi come quello, pur volendo anche scorgere un forzato vincolo elettorale per la coalizione di maggioranza, cosa che in un certo senso Bersani aveva alla Camera (vedi il paragrafo sul Porcellum), nulla vieta al Presidente della Repubblica di trovare un sostituto valido. E così è stato, allo stesso modo poi del passaggio da Letta a Renzi e da Renzi a Gentiloni, con buona pace per tutti i nostri cari urlatori.