Studente di biotecnologie all'Università di Pisa, nato e vissuto a Cagliari fino al 2016. Mancino, da cui il nickname.

All’inizio del mese scorso si sono concluse negli Stati Uniti le elezioni più assurde e surreali degli anni recenti e probabilmente della storia dell’ormai non più giovane Confederazione. Complici di questa assurdità e surrealismo una serie di fattori: le condizioni economiche di una larga fetta dell’elettorato, la spaccatura morale e sociale tra Social Justice Warriors e Alt-Right, l’inevitabile conflitto generazionale tra Millennials e Baby-boomers ma soprattutto la presenza di internet sempre più massiccia e visibile. Non si parlerà tuttavia della campagna elettorale e delle sue bizzarrie ma, per usare un ulteriore anglicismo, dell’aftermath di queste votazioni. Sembra che l’elezione di Donald Trump sia stata uno shock sia per la destra che per la sinistra (esattamente come auspicava il filosofo comunista Slavoj Žižek nel suo sarcastico endorsement al Berlusconi d’Oltreoceano) ma soprattutto per i sondaggisti (ne parliamo in un articolo precedente).
La verità è che nessuno si aspettava che vincesse davvero il pazzo urlatore dai capelli bizzarri, nemmeno chi è andato a votarlo. La sua candidatura iniziò come scherzo e tale rimase agli occhi di molti, almeno fino a poco prima che la cartina degli Stati Uniti nei telegiornali iniziasse a colorarsi con il vessillo del Grand Old Party.
Insomma, che la Clinton, politica di professione e di famiglia, perdesse queste elezioni sembrava razionalmente assurdo. Forse è proprio per questa ragione che dall’8 novembre ad oggi abbiamo visto le peggiori scene di cattiva democrazia e cattiva politica, accomunate da un aspetto particolarmente evidente: i democratici non sanno perdere, tanto la base quanto il direttorio.
La prima si è infatti riversata per le strade a protestare per l’esito delle regolari elezioni, facendo molto più trambusto e in maniera persino più ridicola rispetto a chi nel 2008 si lamentava del neo-eletto Barack Obama. Son partite manifestazioni, cortei, esplosioni d’isteria generale. Qualcuno ha simulato aggressioni a sfondo razziale attribuendole ai sostenitori di Trump per screditarne il fronte (cosa che, nell’ordinamento americano come in quello nostrano, costituisce reato).
Che siano stati gli elettori a giustificare il partito od il partito ad aizzare gli elettori è impossibile ricostruirlo. Certo è che anche il direttorio abbia una sua buona fetta di colpe che si stanno tutt’ora consumando.
In Wisconsin, ad esempio, Jill Stein, dei Verdi, ha speso tre milioni di dollari donati dagli elettori per chiedere che i voti fossero ricontati, il tutto con l’esplicito consenso di Hillary Clinton e dei Democratici.
Il risultato della nuova conta? Un centinaio di voti di differenza, tutti in favore di Trump.
Insomma, danni economici e d’immagine per la candidata di un partito che, sostenendosi solo sulle donazioni dei propri sostenitori, cerca di spodestare i Libertari di Gary Johnson dal bronzo dei sondaggi e delle elezioni. Danni economici e d’immagine che i Verdi non potrebbero permettersi. Verrebbe spontaneo chiedersi come mai l’iniziativa (e di conseguenza l’impegno finanziario) non arrivi dall’Asino della Clinton e la risposta non è particolarmente criptica. Se è vero infatti che il Wisconsis ha dal 2011 amministrazione repubblicana, è difficile organizzare brogli con un governo democratico uscente; il risultato era persino prevedibile. Centotrentun voti su un milione e mezzo sono lo 0,009% di errore, un’oscillazione statistica insomma. Trump, su Twitter, se la ride.
Cara DNC, cari Verdi e, se servisse, cari Libertari, elaborate il lutto il prima possibile e preparatevi a erigere un’opposizione sensata e degna di uno stato democratico. Qualsiasi cosa accada, rimanete lucidi, non trattate l’avversario né come una macchietta né come il male incarnato. In breve, non prendete esempio dall’Italia di Berlusconi.

articolo di Enrico “Scaevola” Casu