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Ritorno al bipolarismo all’italiana?


Un piccolo assunto:

In Politica sono fondamentali i valori, questi classificano, indirizzano e descrivono l’appartenenza politico-ideologica di un soggetto.

Un insieme di valori definisce, forse, un’ideologia.

Ma in una società che cambia, dove l’insieme di valori non è più un elemento centrale del dibattito pubblico, assume un ruolo centrale nella rappresentanza e nel consenso la personalità politica.

Il Personalismo politico è un fenomeno pluripresente nella geografia politica italiana della prima e seconda Repubblica.  Per buona parte della politica post-tangentopoli, abbiamo avuto un centro destra capeggiato da un partito personale Forza Italia di Berlusconi – e un centro sinistra leggermente più ancorato ad una serie di valori, passati in secondo piano con la leadership renziana.

Oggi conta molto di più il leader all’idea, la forza caratteriale al contenuto proposto, per questo in ogni valutazione sulla e della politica, non si può non considerare la centralità della persona in politica.

Tornando a noi..

Guardando oggi alla classe politica, quasi nessun partito è socialmente riconosciuto per le sue proposte, ma per il leader che le confeziona.

Quando per esempio si parla di Fratelli d’Italia, nessuno pensa ai valori conservatori che porta avanti il partito di derivazione finiana, ma solo alla leader Giorgia Meloni e alle sue posizioni forti.

Nella classifica che prende in analisi il gradimento dei vari leader italiani, realizzata da Demos per Repubblica, stupisce vedere che subito dopo il Presidente del Consiglio Conte, il leader più apprezzato sia un Presidente di Regione, Luca Zaia. Oltre al Presidente della Regione Veneto, un altro outsider in mezzo a tanti leader nazionali è il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Avendo quindi definito la centralità del leader rispetto alla sfera dei valori (nella politica odierna), e avendo osservato quali siano con ampio distacco i leader più graditi, occorre fare qualche valutazione.

Lo Zaiastan e il suo Doge.

Matteo Salvini, saldamente a capo del centro destra dal 4 marzo 2018, dopo una parabola super ascendente che aveva portata il suo partito dal 17% delle elezioni ad un 37% nei sondaggi, vede il suo consenso – sia personale che del suo partitocalare settimana per settimana.

Il calo di appeal nei confronti dell’attuale leader leghista è dovuto alla sua totale incapacità di affrontare politicamente la pandemia.

Da marzo ad oggi, Salvini non è riuscito a cavalcare il consenso politico, cadendo spesso in molte gaffe. Del resto il tema “migranti” in tempo di pandemia non può certamente funzionare.

A differenza del Segretario Salvini, il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia è riuscito con una politica tendenzialmente più moderata, caratterizzata da un mix tra un linguaggio rassicurante e una retorica ai limiti del complottismo, a rafforzare il suo elettorato nella Regione – dove ha dominato con il 70% dei voti le regionali del 20 e 21 settembre – ma soprattutto a livello nazionale.

Luca Zaia potrebbe essere il futuro segretario della Lega?

Non volendo cadere nell’eccessiva fantapolitica, direi che per adesso il leader rimarrà certamente Salvini. Ma se alle future elezioni del 2023, la Lega dimostrerà il decadimento elettorale degli ultimi mesi, allora le stagioni del capitano potrebbero lasciare spazio ad un nuovo leader.

E quindi Zaia, con il beneplacito dell’eminenza grigia Giancarlo Giorgetti, dopo anni di “gavetta politica” potrebbe ritrovarsi protagonista.

La Lega a quel punto cambierebbe sicuramente pelle, il passaggio da una guida più radicale come quella di Salvini ad una leadership con una cultura politica più moderata/centrista si farebbe sentire, così come si fece sentire il passaggio da Bossi a Maroni.

Vedremo quindi se l’attuale Doge dopo le tre esperienze da Presidente della sua Regione, ribattezzata non a caso dai media come “Zaiastan”, riuscirà ad imporsi anche a livello nazionale.

Il Bruce Willis di Campogalliano

Un altro Presidente di Regione molto forte nei sondaggi è Stefano Bonaccini, soprannominato da Renzi alla sua prima nomina da Presidente della Regione Emilia-Romagna nel 2014 “il Bruce Willis di Campogalliano. Bonaccini, così come Zaia, ha alle spalle una gavetta politica di anni:

Nel 2012 Bonaccini sostenne Bersani alle primarie contro Renzi. Quando però Renzi divenne Presidente del Consiglio, decise di moderare certi valori storici lasciandosi cadere nelle braccia del renzismo.

La sua più grande battaglia politica Bonaccini l’ha vinta con la rielezione a Presidente di Regione, il 26 gennaio 2020. Una riconferma elettorale ottenuta anche con il sostegno sociopolitico delle Sardine, ma soprattutto grazie ad un primo mandato con molte luci.  

Bonaccini rappresenta oggi il classico leader di centrosinistra ibrido”, a volte moderato a volte radicale, a volte populista a volte popolare. Il classico stereotipo del politico della seconda repubblica.

Negli ultimi mesi, l’ottima gestione della pandemia, il suo lato populista e l’orgoglio dimostrato nei suoi due bestsellers sembrano avergli portato buoni risultati nel consenso nazionale.

Conclusioni:

Vedremo come la politica evolverà nei prossimi mesi, come i leader decideranno di approcciarsi a nuovi temi e battaglie politiche, nonché come varierà la bussola del consenso.

Fatto salvo il ruolo sempre più centrale di Giorgia Meloni tra l’elettorato di centrodestra, Zaia sembra destinato prima o poi a diventare un frontrunner importante per la Lega e tutta la coalizione.

Il centrosinistra, invece, sembra non trovare in Zingaretti il leader carismatico – nel senso weberiano del termine – che cerca; Bonaccini non sembra avere molti rivali nella corsa alla futura leadership del Pd, almeno che Franceschini o Orlando o volti noti della classe dirigente piddina non dimostrino una svolta in tale senso.