Per circoscrivere i rapporti che intercorsero fra Giuseppe Mazzini e la massoneria, bisogna partire da ciò che successe subito dopo la sua morte, avvenuta a Pisa il 10 marzo 1872.
Molti massoni assistettero Mazzini negli ultimi istanti di vita e alcuni accorsero a Pisa nelle ore immediatamente successive alla sua scomparsa: Agostino Bertani, Aurelio Saffi, Giorgio Asproni e Federico Campanella.
Anche Adriano Lemmi fu presente in quelle ore: qualche anno dopo sarebbe stato affiliato al Grande Oriente d’Italia, nel 1877, divenendone successivamente la guida suprema.
Adriano Lemmi e Maurizio Quadrio (dirigente del movimento repubblicano), decisero le modalità del rito funerario e promossero il tentativo di imbalsamazione della salma.
Nella gestione della morte e delle esequie di Mazzini, la massoneria fu rappresentata dai suoi più grandi esponenti, e fin da subito cominciò a porre in atto quella che è stata definita un’appropriazione postuma del grande esule genovese (fonte: S. Luzzato, La mummia della Repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato, 1872-1946, Milano, Rizzoli, 2001, p. 112).
L’apice di questa operazione massonica, che aveva come obbiettivo quello di diffondere nell’opinione pubblica il convincimento che Mazzini fosse stato un affiliato del Grande Oriente d’Italia, si ebbe il 10 marzo 1874, quando nel cimitero di Staglieno venne inaugurato il sepolcro destinato ad accogliere il corpo di Mazzini.
Sergio Luzzato descrive così il progetto architettonico di Gaetano Vittorio Grasso:
Le colonne della tomba erano due, come all’ingresso di ogni loggia massonica, per rimando a una leggenda liberomuratoria fra le più antiche: quella di ascendenza babilonese, stando alla quale una coppia di colonne era servita a preservare i segreti della conoscenza dalla distruzione per opere del fuoco e dell’acqua. La forma del mausoleo aveva da essere piramidale, omaggiando il gusto egizio che aveva dominato l’architettura funeraria di ispirazione massonica già nella Francia del Settecento. I massi ciclopici che coprivano il sepolcro, riecheggiavano il programma della tomba-giardino che la filosofia dei Lumi aveva trasmesso alla cultura liberomuratoria, e che nel bosco di Staglieno disponeva di un ambiente ideale per trasformarsi in realtà. (Fonte: S. Luzzato, La mummia della Repubblica, p. 110-111).
Per vari decenni la massoneria ha rappresentato Mazzini come un padre della patria e come “libero muratore” (termine che indica gli affiliati alla massoneria), fino alla scomparsa del Grande Oriente d’Italia sancita dal fascismo nel 1925.
L’appropriazione simbolica di Mazzini derivava da una forte presenza di mazziniani all’interno delle logge massoniche del tempo, come Giuseppe Petroni, Adriano Lemmi e Ernesto Nathan.
Dall’inizio del 1900 fino al 1925 venne discussa dagli storici la questione sull’effettiva appartenenza di Mazzini alla massoneria. Il quesito s’inserì nella più ampia vicenda riguardante l’effettivo ruolo che la massoneria ha avuto nel Risorgimento e sul contributo da essa svolto per l’indipendenza e l’unificazione della Nazione.
L’affiliazione di Mazzini alla massoneria è stata accreditata con certezza dagli studiosi di area cattolica, uno dei primi fu il padre gesuita Hermann Gruber. Quest’ultimo vedeva nella massoneria l’organizzazione ispiratrice del moto risorgimentale e tendeva a correlare i padri del moto risorgimentale all’ordine massonico.
Un’interpretazione del tutto contraria a quella sopracitata fu quella di Giuseppe Leti, che ricoprì importanti incarichi all’interno del Grande Oriente d’Italia. Nella sua opera principale dal titolo Carboneria e Massoneria nel risorgimento italiano, pubblicata nel 1925, negò che Mazzini fosse mai stato iniziato alla massoneria. Secondo Leti, Mazzini appartenne alla massoneria spiritualmente e formalmente: nella sua opera del 1925 ricorda che nel 1864 il Supremo Consiglio di Palermo conferì al patriota (che accettò) il 33° grado ad honorem della gerarchia scozzese. Inoltre, nel 1868, fu ugualmente accolta la nomina a venerabile onorario perpetuo conferitagli dalla loggia Lincoln di Lodi.
La massoneria ha sempre considerato Mazzini un suo affiliato, infatti intitolò a suo nome 9 Logge e 4 Camere superiori.
Nello Rosselli ribadiva attraverso tramite vari documenti l’idea che Mazzini fosse stato vicino alla massoneria, ma mai vi fosse direttamente affiliato. Nella sua opera dal titolo Mazzini e Bakunin scrisse:
La posizione di Mazzini di fronte alla massoneria risulta evidentissima dalla lettura del suo epistolario: non entrò mai nell’ordine, ma nutrì, specie dal ’60 in poi, ottime relazioni con i suoi dirigenti. Non solo tollerò che moltissimi fra i suoi seguaci si facessero massoni, ma a ciò li spinse, in più casi, esplicitamente; e non v’è dubbio che, per quanto non massone, influì spesso assai potentemente sull’indirizzo pratico dell’associazione (Fonte: N. Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino, Einaudi, 1967 [I ed. 1927], p. 151).
Con la fondazione nel 1831 della Giovine Italia, si produsse un distacco nei confronti dell’ideologia massonica da parte di Mazzini in termini sinergici nella struttura organizzativa.
Mazzini stesso lo scrisse in una lettera a Ippolito Belli nell’ottobre 1831:
Abbiamo veduto che la Massoneria, la Carboneria, o altre società determinata non hanno sancito, o non sono accette agli uomini del 1831: rinunciamo adunque, e per sempre all’idea di associarci! Perché invece noi diciamo: queste società operavano diffuse, è vero, ma senza un centro reale e costante d’operazioni e d’unione: queste società erano nate in un tempo meno avanzato del nostro, e non corrispondono più a’ bisogno e alle idee del tempo; queste società avevano troppe gerarchie, troppo simbolismo (Fonte: Lettera a Ippolito Benelli, [Marsiglia], 8 ottobre 1831, in G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. V, Imola, Galeati, 1909, p.61).
Mazzini seguì questa linea interpretativa dalla fondazione della Giovine Italia fino al 1861, momento che sancì temporaneamente la fine dell’associazionismo massonico, messo al bando dopo la Restaurazione in tutti gli stati della penisola. Nel 1860, quando Mazzini scrisse I doveri dell’uomo, dedicò un capitolo alla definizione dell’associazione che lui stesso aveva creato, differenziandola in maniera netta dalle altre associazioni settarie costituitesi con modelli organizzativi eccessivamente gerarchici:
L’associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà e diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti (Fonte: edizione critica de I doveri dell’uomo, a cura di G. Macchia, Roma, Camera dei Deputati, 1972, p. 107-108).
In definitiva, si ricorda che nel decennio postunitario, Mazzini fu costretto a tralasciare i progetti che aveva avanzato nel 1860 all’interno de I doveri dell’uomo; riprese a fondare associazioni segrete, fra le quali la Falange Sacra e l’Alleanza Repubblicana Universale, utilizzandole come strumenti politico per l’indipendenza della Nazione.
Anche nei confronti della Massoneria adottò un atteggiamento diverso, cosciente del fatto che quest’ultima associazione avrebbe potuto essere uno strumento utile per raggiungere i suoi scopi indipendentisti. Ma egli ebbe sempre chiara la netta distinzione dei ruoli che doveva esserci fra le organizzazioni che lui stesso aveva fondato e l’associazionismo massonico, di cui non condivideva i rituali barocchi, ritenuti da lui oscuri e ideologicamente vaghi.