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Artisti: marionette o spiriti liberi?

Le persone si riconoscono nelle loro merci; […] Lo stesso meccanismo che lega l’individuo alla sua società è mutato, e il controllo sociale è radicato nei nuovi bisogni che esso ha prodotto. (H. Marcuse)

La musica ha sempre avuto un destino duplice: da un lato forma di una primordiale spinta del singolo all’espressione, dall’altro elemento fondante della vita comunitaria, come per esempio nei rituali.

Certo, non si tratta di strade parallele; tuttavia, con lo sviluppo e il consolidamento delle istituzioni nelle società umane e con la stratificazione delle tradizioni, questi due aspetti hanno talvolta assunto tratti conflittuali. La storia della musica, quella di cui è rimasta traccia, è diventata sempre più indistinguibile dalla storia delle strutture di dominio sugli individui.

E così la musica dell’Occidente ha portato alla costruzione di architetture sonore mirabili, sì, ma disabitate; spesso l’individualità vi tace. Intendiamo qui con individualità un’autonomia espressiva nel messaggio trasmesso, non nella tecnica musicale.

Si pensi a Bach, che ha aperto la strada al moderno nella musica: il devoto compositore al servizio del dio cristiano vuole manifestare la gloria divina, non toccare le corde delle terrene passioni umane.

Nella musica profana invece sono preponderanti i motivi di intrattenimento delle classi agiate e i messaggi trasmessi sono permeati dai valori dominanti. Con il XIX Secolo sorge la figura del musicista dall’anima di poeta, del genio indomabile che anela ad un’espressione autentica e che preferisce l’indipendenza nell’arte ad una vita di agi. 

Il suono però è ancora vincolato all’immediatezza, benché codificata, la musica resta esperienza di gruppo e sono limitati i mezzi di diffusione. Inoltre le forme di oppressione sono chiare ed evidenti nella loro brutalità. 

Perciò il conflitto tra artista e società, tra espressione individuale e tradizione, dove c’è, è manifesto.

Per i figli del libero mercato e per gli artisti tra loro invece le pressioni esterne hanno un carattere radicalmente diverso

Faremo parlare per noi i Pink Floyd, attraverso il testo di “Welcome to the Machine“, una decisa e tagliente critica all’industria musicale e alle sue subdoli dinamiche. 

Welcome my son
Welcome to the machine

Where have you been?
It’s alright we know where you’ve been
You’ve been in the pipeline
Filling in time
Provided with toys and scouting for boys
You brought a guitar to punish your ma
And you didn’t like school
And you know you’re nobody’s fool
So welcome to the machine
Welcome my son
Welcome to the machine
What did you dream?
It’s alright we told you what to dream
You dreamed of a big star
He played a mean guitar
He always ate in the Steak Bar
He loved to drive in his Jaguar

So welcome to the machine

Da notare subito è il termine utilizzato per designare l’industria musicale: Waters parla di una macchina, una macchina cieca, impersonale, il cui scopo è quello di _produrre_ pezzi che scalino le classifiche e che conquistino il mercato. 

Welcome my son

La strumentalizzazione del musicista non è però semplice e gretta; egli viene trattato con un certo riguardo. Questo rispetto cela un atteggiamento paternalistico, che sa di gentile imposizione

It’s alright we know where you’ve been

I music executive fingono di conoscere chi hanno davanti, recitano un copione di simulata comprensione della persona dell’artista al fine di indirizzare i suoi giovanili sogni di evasione in dei banali schemi di marketing

It’s alright we told you what to dream

Infine viene denunciata la tendenza dell’industria a manipolare i desideri delle future “star”. Il riferimento al consumismo attraverso la macchina sportiva e un’abitudine culinaria è caricaturale, ma denuncia in modo chiaro la tendenza dell’industria musicale a far diventare l’artista stesso, con i suoi modi di fare, di vestire, di desiderare, il prodotto da vendere.
Che questa frenesia di inseguire il mercato abbia danneggiato la musica anche nella sua qualità tecnica è una tesi che ci pare ben argomentata in questo video.

Poco sopra scrivevamo di come la musica sia momento di incontro e conflitto tra individuo e società. A questo proposito vorremmo proporvi una riflessione conclusiva:

Moltissimi dei brani commerciali hanno come tema la passione amorosa. Che si tratti di testi banali è chiaro. 

Ma perché il grigiore dell’omologazione pervade in modo feroce un aspetto così intimo dell’individuo? È significativo che sia proprio la sfera erotica ad essere intaccata

Noi abbiamo posto le domande, lasciamo a voi le speculazioni.