Potrà sembrare un’analisi scontata, ma all’indomani delle elezioni in Umbria sarà possibile scoprire tanto delle sorti del governo nazionale e del destino delle forze politiche di maggioranza. Non tanto per l’importanza della piazza del centro Italia, anzi: la regione umbra, con appena 700.000 aventi diritto, è uno dei territori che meno può esprimere un risultato davvero rappresentativo a livello nazionale. Tuttavia, il racconto fatto dai media e dai partiti di questa tornata elettorale ci fa intendere ben altro. Qualcosa bolle in pentola, ma cosa?
Elezioni regionali come mid-term elections
Intavolando quest’analisi può essere utile partire da una solida base teorica. Sono tanti gli studi politologici che identificano le elezioni territoriali alla stregua di vere elezioni di medio termine, e le Regionali non fanno eccezione. In poche parole, queste teorie identificano le elezioni europee e quelle territoriali come delle consultazioni grazie alle quali partiti, media ed elettori possono attuare delle strategie utili per misurare la febbre dell’elettorato da un lato e costruire l’agenda politica futura dall’altro. Se ci si pensa bene la legislatura corrente è già stata caratterizzata dalla presenza di elezioni di medio termine, ovvero le Europee e Comunali del 26 maggio 2019, che si sono palesate in questa forma anche per via del chiaro braccio di ferro che si è consumato all’interno della maggioranza, al tempo composta da Lega e Movimento 5 Stelle. Oggi la storia si ripete anche se secondo altre direttrici.
I destini del governo in gioco
Veniamo al caso in questione: per quanto anche oggi si assista a dei battibecchi interni al governo, questo non sembra essere affatto giunto alla frutta. Piuttosto si potrebbe dire che queste elezioni siano un crocevia per la sua stessa solidità. Per quanto si dia per scontato che questo esecutivo possa durare fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, infatti, molte analisi recenti hanno riportato come probabile un rimpasto di governo od altre soluzioni ancora più drastiche che andrebbero anche oltre il Conte tris. Tutto questo però potrebbe essere scongiurato da una vittoria ad opera della coalizione umbra M5S-PD-civiche. Non si tratta semplicemente di una prova di forza della coalizione di governo, cosa di cui comunque si tratta, c’è dell’altro.
Il sistema di governo delle regioni non permette infatti scioglimenti dell’esecutivo indolori come nel caso del governo nazionale. Vige il principio aut simul stabunt aut simul cadent, ovvero il fatto che, qualora cadesse l’esecutivo regionale, si tornerebbe alle elezioni del Consiglio in via automatica. Possiamo dunque pensare al governo regionale come ad un governo blindato che dura sempre (o quasi) tutti e 5 gli anni di mandato e che obbliga i partner di governo a mantenere buoni rapporti. Ecco perché se la coalizione demogrillina vincesse in Umbria, e soprattutto se questo esperimento avesse successo anche in altre regioni, a quel punto sarebbe fonte di imbarazzo per il governo nazionale ed i rispettivi partiti sciogliere il patto che lega indissolubilmente le stesse formazioni a livello locale negli anni a venire.
Se l’esperimento di M5S e PD giungesse al termine, invece, paradossalmente i due partiti si troverebbero di fronte ad una sconfitta ma privi di alcun vincolo comune, e questo forse potrebbe giocare a favore di entrambe le compagini. Non tutto il male verrebbe per nuocere.
Il DNA di Democratici e Grillini
Ammesso che il patto civico tra PD e M5S possa aver successo ed essere riprodotto altrove, ciò andrebbe a mutare i connotati dei partiti e del sistema partitico stesso. Ora, probabilmente è fuori luogo immaginare qualsiasi stravolgimento degli equilibri, tuttavia una convergenza dei due partiti porterebbe il sistema ad assumere una forma bipolare. Da un lato avremmo a che fare con un centrodestra unito, e su questo non ci piove, dall’altro assisteremmo alla formazione di un’anima anti-destra (questo perché sarebbe difficile trovare chiarissimi punti ideologici in comune tra PD e M5S se non l’avversità a Salvini). Certo, osservando le trasformazioni da questo punto di vista dovremmo convenire che i DNA delle due formazioni rimarrebbero invariati poiché effettivamente si tratterebbe di un matrimonio di convenienza. E sarebbe davvero fantapolitica immaginare un PD “fondersi” in toto agli ideali del M5S e viceversa. I “sigilli” posti dai patti civici regionali però porterebbero le due formazioni ad allungare senza dubbio questo matrimonio combinato.
Il nodo della legge elettorale
Come si è detto, un eventuale successo della coalizione giallorossa porterebbe a ridefinire il futuro prossimo dei due partiti, e questo potrebbe ripercuotersi sul prossimo format della legge elettorale. Se davvero il sistema partitico arrivasse ad assumere una conformazione bipolare, infatti, sarebbe molto conveniente sia a destra che a sinistra partorire una nuova legge con formula maggioritaria. Questo permetterebbe, tra l’altro, di portare il dibattito politico oltre la solita cantilena del “chi ha votato questo governo?”. Una formula maggioritaria infatti favorirebbe la nascita di un vero governo di mandato, come accadeva durante il periodo della Seconda Repubblica.
Un destino tutt’altro che segnato
Per quanto affascinante, questa teoria ha comunque dei grandi punti deboli. Si tratta infatti più di uno scenario suggestivo che di una possibilità vera e propria: è difficilissimo che Di Maio e Zingaretti riescano a far digerire una mossa simile ai rispettivi elettorati. I patti post-voto in segno di responsabilità verso il Paese sono molto facili da giustificare, mentre un vero accordo elettorale tra i due partiti potrebbe portare una nutrita massa di elettori a migrare verso una delusa astensione. Possiamo dire che molto dipenderà dall’andamento dei sondaggi nei mesi a venire ma, ancor più di questi, dal successo delle mid-term elections a cui facevamo riferimento. E l’esito della prima “prova” lo avremo appunto domani, quando i 700.000 umbri avranno espresso il loro voto. Un voto tutt’altro che leggero.