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ProsperIus | La grazia: il perdono dello Stato

20091101 - ROMA - CRO : CARCERI: SUICIDIO BLEFARI, IMPICCATA IERI SERA CON LENZUOLA. Un interno del carcere di Rebibbia, a Roma, in un'immagine d'archivio. La neo brigatista Diana Blefari Melazzi, condannata all'ergastolo per l'omicidio del giuslavorista Marco Biagi, si e' impiccata ieri sera, attorno alle 22:30, utilizzando lenzuola tagliate e annodate. La donna - secondo quanto si e' appreso - era in cella da sola, detenuta nel reparto isolamento del carcere Rebibbia femminile. Ad accorgersi quasi subito dell'accaduto sono stati gli agenti di polizia penitenziaria che - si e' inoltre appreso - avrebbero sciolto con difficolta' i nodi delle lenzuola con cui la neo brigatista si e' impiccata in cella e avrebbero provato a rianimarla senza pero' riuscirvi. ANSA / ALESSANDRO DI MEO / ARCHIVIO / PAL

L’ultimo provvedimento

È, di recente, balzata in primo piano la notizia della concessione, da parte del capo dello Stato Sergio Mattarella, di un provvedimento di grazia: un atto di clemenza individuale (Corriere della Sera, 03/03/18). Il potere di graziare taluno, con ciò intendendosi tanto la potestà di estinguere una pena quanto di commutarla, è infatti affidato al Presidente della Repubblica dall’articolo 87, comma 11 della Costituzione e si esercita per mezzo di un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR).
È la tipologia di atto con cui si esercita questo potere, insieme alla sua natura necessariamente individuale, a distinguerlo in duplice via dall’amnistia e dall’indulto: provvedimenti questi di clemenza generale da attuarsi con legge ordinaria (Art. 79 Cost).

La grazia nel mondo e nella storia

Il potere è, da un lato, oggi diffuso in una pluralità di ordinamenti; dall’altro, sia il suo utilizzo che il suo studio hanno radici molto antiche.

Per quanto riguarda il primo profilo, si possono ricordare, oltre al succitato articolo della Costituzione italiana, anche l’articolo 62 della Constituciòn Española[1], 17 della Constitution Française[2], 2 della US Constitution[3] nonché, nell’ordinamento inglese, la presenza della Grazia come Royal Prerogative (of Mercy). Sotto il secondo profilo, invece, se è certo che questo potere fosse già presente nella Roma Repubblicana e poi Imperiale sotto diversi nomi (Provocatio ad populum; Indulgentia principis), c’è anche chi[4] ne fa risalire l’utilizzo addirittura a civiltà arcaiche (Egitto, Atene, Roma Repubblicana e India antica). Successivamente, in età Medievale, fu la pena oggetto della Grazia ad acquisire un ruolo particolare: concepita nelle società germaniche come diritto dell’offeso, la sua remissione tramite atti di clemenza divenne inammissibile. Da ciò il potere entrò in disuso, per poi tornare in auge con il contratto di Feudo, che attribuiva specifici poteri, tra i quali la potestà del feudatario di amministrare la giustizia sul suo territorio (così detta Districtio). Ad ogni modo, ove assenti rapporti di vassallaggio, ed in ogni caso dal finire del medioevo in poi, con il progressivo accentramento dei poteri in signorie, principati e regni, la Grazia era nelle mani del Re. Si affermò, infatti, la dottrina del Re come “fontana della giustizia”, da cui emanava tanto il potere di punire quanto quello di graziare: i giudici, da lui scelti, non erano altro che sue appendici, la giustizia era da loro amministrata, ma solo in suo nome.

Il primo limite al potere

Dal 17° secolo, in Inghilterra, al potere di grazia si affiancarono le vicende della responsabilità del Sovrano, alla fine delle quali emersero i principi per cui “the king can do no wrong” e “the king cannot act alone”: nacque cioè la controfirma ministeriale, che perseguiva (e, pur declinata in diverso modo, persegue oggi giorno)  il duplice fine di preservare la sacralità della corona, tramite l’irresponsabilità del Sovrano, ed allo stesso tempo  garantire al Parlamento un soggetto responsabile. Un Ministro iniziò ad affiancare la propria firma a quella del Re, assumendosi in tal modo la responsabilità dell’atto davanti al Parlamento. Così anche per il provvedimento di Grazia, controfirmato dal ministro di giustizia.

In periodo illuminista ebbe luogo una Querelle sull’opportunità del mantenimento o meno di tale potere, cui parteciparono, contrapposti, C. Montesquieu (per il quale la Grazia era “l’attributo più bello” del sovrano[5]) e C. Beccaria (che vide nella Grazia una minaccia al requisito essenziale della pena, cioè la sua certezza[6]). Nel 19° secolo la prerogativa trovò una nuova casa nelle constitutions octroyées (costituzioni ottriate), concesse dai sovrani restaurati con il Congresso di Vienna. In particolare la si può rinvenire: nell’Art 5 dello Statuto di Napoli e Sicilia (1808), nell’Art 19 dello Statuto del Gran Ducato di toscana (1848) e nell’art 3 dello Statuto degli Stati della Chiesa (1848), solo per citare alcuni esempi. In questo contesto, durante il periodo risorgimentale e poi nell’Italia Unita, il potere si rinviene anche nell’art 8 dello Statuto Albertino (1848) dove si recise il legame tra esercizio della Grazia e sfera dell’ordine Giudiziario. Con ciò si volevano evidenziare le finalità politiche, equitative, o comunque attinenti alla sovranità, che lo rendevano -e lo rendono –  strumento inadatto alle mani dei giudici, tenuti a esercitare la loro professione rendendo giustizia solo e soltanto secondo la legge. In altri termini si fece risaltare la necessità di separare uno strumento di giustizia sostanziale, come la Grazia, da un apparato che invece è tenuto a agire secondo la giustizia formale, necessariamente astratta e generale.

Il potere di esimere dalla pena oggi

Oggi in Italia la Grazia è un potere che compete al Presidente della Repubblica. Come già detto si attua con Decreto, per questo è necessaria la collaborazione di un ministro (nello specifico Il ministro della Giustizia), tenuto ad approvare l’atto controfirmandolo. Tuttavia ciò non sempre è stato pacifico: il potere di fare Grazia è stato a lungo conteso tra capo dello Stato e Ministro Guardasigilli. Alla fine è però prevalsa la titolarità in capo al Presidente , non senza accese critiche degli studiosi, a seguito di una pronuncia della Corte costituzionale (Sent. 200/06) che  ha voluto evidenziare il fine equitativo del provvedimento che, secondo i giudici della consulta, ha un ruolo umanitario più che politico. Da ciò la necessaria conclusione che tale potere debba restare sostanzialmente nelle mani di una figura estranea al circuito Parlamento-Governo: il Presidente.

In sostanza e come già detto, la Grazia si risolve in un provvedimento di clemenza individuale che, come risultato, ha quello di estinguere la pena: si può dire che l’ordinamento perdoni il reo, senza però dimenticare che il soggetto abbia commesso un reato. Da ciò necessariamente deriva che, seppur il reo non sconterà più la pena a lui inflitta, egli potrà, ad esempio, essere dichiarato delinquente abituale o professionale qualora compia altri delitti; oppure potrebbe dover scontare misure di sicurezza, qualora fosse stato giudicato soggetto socialmente pericoloso.

Ratio della grazia nel sistema penale

La Grazia non solo è fortemente incardinata negli ordinamenti giuridici odierni, ma altresì costituisce un perno essenziale dei rispettivi sistemi penali. Non può sfuggire, a tal proposito, che essa è l’unica base su cui ancora si giustifica ed ammette la pena dell’ergastolo secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’ergastolo è stato ultimamente molto criticato sotto due ordini di motivi: l’irreversibilità e l’inutilità.

Per quanto riguarda l’irreversibilità la critica ha evidenziato come una pena irreversibile non tiene conto del miglioramento della persona detenuta. Si dice: una persona che entra nel carcere, e la stessa  dopo avervi trascorso vent’anni non sono più la stessa. Da ciò l’ingiustizia di una decisione che neghi, senza possibilità di opposizione, la libertà alla persona cambiata (con ciò violando il principio di rieducatività della pena).

Sotto il profilo dell’inutilità (conseguenza diretta dell’irreversibilità) si pone l’accento sul fatto che, il detenuto che non ha la prospettiva di essere liberato, non tenterà neanche di riabilitarsi,  quindi andrà, oltretutto, a costituire inutile costo per il carcere. Quando adita da ergastolani per giudicare sulla possibile inumanità (quindi per potenziale violazione dell’art 3 CEDU) di una pena perpetua ed irreversibile, la Corte EDU ha deciso nel senso che, se il potere di grazia esiste in un ordinamento, allora l’ergastolo è da ritenersi pena proporzionata, in quanto genera una sufficiente aspettativa di scarcerazione, che ha forza necessaria per motivare un detenuto a reinserirsi nella società.

Conclusioni

La “più bella prerogativa” del sovrano è insomma ancora lontana dal vedere la sua lunga storia giungere al termine. Essa è, difatti, potere molto versatile che permette mosse politiche e diplomatiche importanti, ma che allo stesso tempo può garantire scarcerazione per motivi umanitari, come nei confronti di  detenuti gravemente malati, o vittime di  situazioni sociali al limite[7] che, seppur colpevoli per legge formale, non vengono ritenuti meritevoli di scontare una pena stante la loro concreta situazione. Le esigenze di giustizia nel caso concreto giustificano il mantenimento di un istituto così discrezionale? Le recenti vicende sembrano confermare che la Grazia ha ancora tanto di cui far parlare.

Articolo scritto con l’importante contributo di Francesco Robimarga

[1]              Art 62, lettera I: “Coresponde al rey Ejercer el derecho de gracia con arreglo a la ley, que no podrá autorizar indultos generales.”

[2]              Art 17“Le Président de la République a le droit de faire grâce à titre individuel.”

[3]              Art 2 Sez 2 “The President shall […] have power to grant reprieves and pardons for offenses against the United States”

[4]              T.L.Rizzo, “Il potere di grazia nell’età regia”, in “studi in memoria di Giovanni Cassandro”, 1991

[5]              C. de Montesquieu, “Esprit des lois”

[6]              C. Beccaria, “Dei delitti e delle pene”

[7]              Esempio emblematico  di questo utilizzo è il caso riportato nell’ l’articolo in apertura