Il tema che più interessa l’opinione pubblica nazionale, manco a dirlo, di questi tempi è l’immigrazione. È strano, perché l’interesse attorno a questo argomento è in costante crescita nonostante il fenomeno negli ultimi mesi si sia effettivamente placato. I dati parlano chiaro: gli sbarchi, a seguito della “cura Minniti”, sono diminuiti di 10 volte rispetto allo stesso periodo del 2016. Ciò che desta scalpore sarebbe dunque la qualità e la trasparenza delle politiche adottate dal governo nei confronti dei migranti.
L’opinione pubblica continua a disporsi lungo due schieramenti opposti, uno che vede nell’accoglienza un dovere umanitario da effettuare a qualsiasi costo, l’altro invece che crede necessaria una totale chiusura delle frontiere. Ovvio, non che manchino le proposte intermedie da parte di alcuni partiti, ma la discussione in generale segue queste due direttrici ed alla fine i partiti stessi finiscono per allinearsi.
La “guerra mediatica” sui migranti ha portato gli Italiani a polarizzarsi e a dimenticare un fatto molto importante: un governo deve pensare prima di tutto alla ragione di Stato. La “Ragion di Stato” è il nome dato dalla filosofia politica ad un concetto molto semplice: un governo può attuare le misure che ritiene necessarie al fine di mantenere il benessere e la sicurezza del Paese. Nella sua accezione più pura questo significa anche che un Governo può adottare soluzioni illegali per raggiungere scopi di benessere comune, ma per adesso fermiamoci alla sua visione moderata ed attuale: può un governo, gestendo la questione dei migranti, attuare una politica di accoglienza ponendosi dei limiti senza dover essere attaccato dagli schieramenti di chi vuole chiudere le frontiere e chi vuole invece aprirle senza ritegno? La risposta è no, evidentemente non può, lo si sta constatando giorno per giorno. La svolta preoccupante è che lo stesso governo si trovi costretto a fare propaganda verso sia gli uni che gli altri: si esaltano gli sforzi fatti nell’ambito dell’accoglienza e dei salvataggi in mare e allo stesso tempo si sottolinea anche il dato del progressivo cessare di sbarchi.
Fa sorridere dunque, in questo clima un po’ pesante, il fatto che a richiamare alla moderazione sia Papa Francesco, il capo della Chiesa Cattolica, proprio colui che ha sempre richiesto il massimo sforzo nell’accoglienza in quanto dovere di fratellanza universale. Rispetto all’immigrazione il suo punto di vista è sempre stato cristallino ed in linea con l’insegnamento del Vangelo, proprio per questo le parole pronunciate in occasione del viaggio di ritorno dalla Colombia sembrano investire il Pontefice di una veste nuova, assolutamente pragmatica.
Ha detto: “Un governo deve gestire questo problema con la virtù propria del governante, cioè la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho. Secondo: non solo ricevere, ma integrare […] ho l’impressione che il governo italiano stia facendo di tutto, per lavori umanitari, di risolvere anche problemi che non può assumere”. Sono parole estremamente pesanti sia per il pensiero di Bergoglio, che come detto assume tinte moderate, sia per il contesto storico-sociale in cui vengono pronunciate. Se a richiamare l’opinione pubblica alla moderazione è il Papa significa che probabilmente il dibattito ha assunto tinte fin troppo estreme. L’endorsement al governo sembra voler rimettere in ordine le carte in tavola, l’esecutivo infatti è da tempo in balìa di chi lo definisce “leghista” e di chi, dal lato opposto, lo definisce “filo immigrati”.
La realtà percepita fra le istituzioni internazionali è invece paragonabile a quella del Papa, proprio in questi giorni infatti si sono espresse parole generosissime a favore del governo, in particolar modo ha detto Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea: “Non possono parlare di migrazione senza pagare tributo all’Italia per la sua generosità. Nel Mediterraneo l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa. […] Quest’estate, la Commissione ha lavorato di nuovo a stretto contatto col premier Gentiloni e il suo governo, per migliorare la situazione, in particolare, con l’addestramento della guardia costiera libica continueremo ad offrire forte sostegno finanziario ed operativo all’Italia. Perché l’Italia sta salvando l’onore dell’Europa nel Mediterraneo”.
Di fronte a tutto questo il clima popolare non cambia, anche perché il martellamento mediatico sui migranti sembra aver davvero vessato gli Italiani. Rimane interessante però un ragionamento che si può trarre da questa vicenda. Potremmo infatti porci alcuni interrogativi: quanto peso hanno nella società le parole del Papa? Quanta influenza ha, di conseguenza, la Chiesa nelle istituzioni?
Informandosi un po’ si ottengono dei dati interessantissimi, perché ad esempio l’indice di fiducia nei confronti del Santo Padre pare essere elevatissimo. Nel dicembre 2016 un sondaggio dell’istituto Demopolis stimava che l’85% degli Italiani apprezzasse l’operato di Bergoglio, e che addirittura il 68% dei non credenti gradisse le sue parole. Il 56% degli intervistati aveva mutato la propria opinione da negativa a positiva perché Francesco “dialoga con credenti e non, denuncia quotidianamente i compromessi, ‘l’economia malata’ in un sistema caratterizzato da crescenti squilibri”. Chissà cosa penserebbero questi stessi intervistati ascoltando le parole di apprezzamento verso il governo, verso il sistema, da parte di Francesco. Non si può negare che l’indirizzo papale abbia assunto una piega in questo senso, lui che sin dall’inizio del proprio pontificato aveva dichiarato guerra al capitalismo più sfrenato nell’enciclica “Laudato si’” del 2015 raccogliendo i favori della sinistra, quella non troppo amica del governo (ovviamente ciò non toglie che le due visioni di Bergoglio possano coesistere tranquillamente). L’influenza esercitata dal Papa non si ferma ad un livello sociale, ma penetra anche ad un livello istituzionale, basta ricordare il peso assunto da Francesco nella risoluzione delle tensioni fra Cuba e Stati Uniti sotto la presidenza Obama. Il mondo insomma sembra non essere sazio del potere temporale della Chiesa che talvolta si rivela provvidenziale (qui un interessante articolo in merito).
Attenzione però a tentare di tracciare una linea politica ecclesiastica netta, perché il Vaticano insegna non essere nuovo ai colpi di coda. Se oggi Francesco risulta essere estremamente amichevole con Gentiloni, è altrettanto vero che la Chiesa solo un anno fa non fosse in buonissimi rapporti con Matteo Renzi, si ricordi infatti il celebre “Ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo” dell’attuale segretario PD durante un acceso dibattito sulle Unioni Civili. E’ vero anche che però si deve far attenzione a non confondere l’acqua col vino, scambiando le esternazioni dei singoli cardinali nel loro breve momento di notorietà politica con le esternazioni del Papa che invece sono al pari delle parole degli altri Capo di Stato. E forse è proprio questa estrema frammentazione della linea politica del corpo ecclesiastico che non permette lo svilupparsi di una pesante influenza vaticana nell’opinione pubblica italiana, che comunque sussiste. Da tutta questa vicenda rimane un grande paradosso di cui prendere atto: un Papa come Francesco che si atteggia ad ultimo baluardo in difesa delle azioni del Governo, indice di una società non proprio obiettiva ed in salute da riportare al più presto sui binari della tranquillità.