Vi è un tema che ormai da anni aleggia inesorabile nel dibattito politico, che ha spezzato l’opinione pubblica sulle modalità con cui affrontarlo: l’immigrazione
A mio modesto parere se ne è discusso partendo da un paradigma sbagliato, ovvero che fosse una questione da affrontare ideologicamente.
Sin da subito si sono tracciati due schieramenti, il primo, ispirato dall’etica del’accoglienza, la retorica della libertà di movimento, la solidarietà per chi cerca una vita migliore ecc.
Il secondo costituito su slogan quali: “prima gli italiani” “basta con questa sostituzione etnica” “vivono in alberghi a 4 stesse e gli italiani per strada” e molto altro ancora.
La questione in realtà è molto più seria di quanto sembri, e in quanto tale andrebbe affrontata con un paradigma di pura razionalità e senza preconcetti ideologici.
Il primo passo per un analisi limpida e razionale è osservare e cercare dei precedenti storici, il primo che ovviamente ci sovviene è quello delle massicce migrazioni europee negli Stati Uniti, da qui possiamo valutare le tipicità e le differenze soprattutto per capire come le due questioni non possano essere affrontare allo stesso modo.
In primo luogo c’è da analizzare la modalità migratoria, oggi quella interessata nel Mar Mediterraneo consta di una barca o gommone molto raffazzonato che percorrendo pochi km spera o nel soccorso di un’altra nave o nella vista dell’agognata terra ferma, che dando un’occhiata alle cartine non è poi così lontana. Qui i migranti vengono stipati in centri di accoglienza in attesa di controlli per stabilire di quale status abbiano diritto, tali controlli richiedono spesso molti mesi ma allo stesso tempo la durata non è sinonimo di accuratezza negli stessi. In America gli immigrati, soprattutto italiani, si imbarcavano in enormi navi viaggiando per settimane e settimane, arrivando dall’altra parte del mondo, e di fatto rendendo impossibile qualsiasi blocco navale ma facilitando anche i controlli degli arrivi, nella famosissima Ellis Island, dove venivano sottoposti a rapidi ma minuziosi controlli medici, sanitari e informativi.
L’altra questione importante era il contesto storico, dunque politico, sociale ed economico. Il boom migratorio interessò un arco di tempo che va circa dalla fine de l’Ottocento a metà del Novecento con il picco nel 1907 di 1 milione e 4 mila immigrati, in pieni anni ruggenti, ad un minimo storico nel 1932 di 35 mila in piena depressione. Già questo dato deve farci riflettere, si nota subito come le condizioni economiche del paese ospitante sia strettamente collegate con la capacità di accogliere immigrati, poiché di fatto sia nel piano macroscopico l’immigrazione è sensata qualora sia richiesta manodopera, e sia sul piano microscopico dove un lavoro facilita fortemente una vincente integrazione.
Le condizioni economiche italiane ed europee, ormai da quasi dieci lunghi e logoranti anni, sono critiche, il
nostro paese vanta una disoccupazione prossima al 12% ed una giovanile al 38%, dati drammatici, dove più di un italiano su dieci e quasi un giovane su due non ha un occupazione.
Di conseguenza le persone in povertà assoluta sono quasi 4 milioni e mezzo ( fonti ISTAT), e sebbene parte del resto d’Europa se la cavi meglio anche nei nostri paesi vicini le cose non vanno benissimo.
C’è da chiedersi dunque se e in che modo siamo in grado di accogliere, come sperare in integrazione senza garanzie alcune di lavoro e di stabilità, come pensare soltanto di poter dare dignità a migliaia di migliaia di immigranti quando non riusciamo a farlo con i nostri cittadini?
Per descrivere meglio la situazione prenderò in prestito la chimica, immaginazione una tazzina di caffè al quale di norma viene aggiunto dello zucchero, senza saperlo ogni volta diamo inizio ad una soluzione chimica, dove un soluto viene disperso uniformemente nel solvente, il soluto è lo zucchero e il solvente il caffè. Saprete anche che nel caso si metta troppo zucchero esso si deposita sul fondo, questo perché la soluzione è satura, ovvero il soluto a quella determinata temperatura non si scioglie più nel solvente. Se applichiamo questa semplice regola alla nostra particolare condizione socioeconomica, vedremo come il nostro continente sia di fatto saturo di forza lavoro, c’è un’enorme quantità di domanda di lavoro che è enormemente superiore al l’offerta, l’immigrazione aumenterebbe ulteriormente tale domanda, facendo arrivare, chimicamente parlando, la nostra soluzione in uno stato di sovrassaturazione.
A tale conclusione vi è la più ovvia e vera delle obiezioni, ovvero che determinati lavori gli italiani non vogliono farli, ma dovremmo considerare questa un fattore positivo?
Tali lavori sono i più umili, i più sottopagati, i più sfruttati, i più alienanti e spesso in nero, senza diritti, tutele, assicurazione e contratti. La domanda quindi si sposta, sono gli italiani a non voler fare determinati lavori, o è il sistema a offrire lavori in condizioni disumane che solo chi non conosce il concetto di diritti sociali e che viene dalla povertà estrema accetterebbe?
Sovvengono appunto due problematiche, un evidente sistema economico che non è in grado di assorbire l’importante ondata migratoria, e una condizione sempre più diffusa di pseudo schiavitù nel nostro territorio, condizione inaccettabile e contraria ai valori della nostra repubblica.
I due problemi sono ovviamente collegati, se da un lato è arrivato il momento di dare un taglio netto al lavoro abusivo e sfruttato, da l’altro c’è bisogno di rispolverare la nostra onestà intellettuale e capire che questo flusso migratorio non siamo più in grado di sostenerlo, e che dunque debba essere interrotto.