Il legame tra Joseph – Marie Garibaldi e la Massoneria è una storia che ha radici profonde nel tempo e nello spazio. I suoi rapporti con il mondo liberomuratorio sono sempre stati al corrente dell’opinione pubblica ottocentesca. Quel che forse è meno noto sono i rituali funebri che la massoneria dedicò al Nizzardo nel 1882, anno della sua scomparsa. Garibaldi per la Massoneria è sempre stato un orgoglio, uno degli esponenti più di spicco e più celebri, difatti venne insignito alla carica di gran maestro del Supremo Consiglio del rito scozzese di Palermo e nel 1864 ricoprì la stessa carica anche per il Grande Oriente d’Italia.
Le dimostranze nei confronti di Garibaldi partirono dal Grande Oriente d’Italia, ove il gran maestro Giuseppe Pierantoni decise di affiggere in tutte le più importanti città italiane un manifesto nel quale il mondo massonico esprimeva omaggio e compianto al proprio eroe. Quasi in simultanea, moltissime logge si posero in lutto: ad esempio, la loggia di Carrara annunciò che il lutto si sarebbe protratto per ben sei mesi, chiedendo inoltre autorizzazione al gran maestro di poter uscire con il proprio stendardo per partecipare ancor più direttamente alle onoranze pubbliche.
Iniziative di questo genere, oltre a dimostrare un coinvolgimento pubblico, furono anche occasione di protesta nei confronti del mancato rispetto della volontà testamentaria di Garibaldi: infatti, il Nizzardo voleva essere cremato.
Le proteste a questo riguardo furono particolarmente vivaci nella città di Livorno, in cui il fenomeno della cremazione era particolarmente radicato nella società.
Oltre ai ben noti funerali di Caprera (dove morirà il 2 giugno), in altre città si celebrarono riti di addio: a Roma, una vastissima quantità di logge partecipò alle ritualità civili, allestendo contemporaneamente funerali massonici nei rispettivi templi, orchestrati per mezzo di un cenotafio e un ritratto o un busto di Garibaldi, “circondato da corone, fiori e sempre ramoscelli d’acacia: la pianta che nel simbolismo massonico marca la sepoltura di Hiram e costituisce il simboli dell’immortalità nel grado di maestro”.
Ben compiaciuta di veder la Massoneria alle cerimonie funebri fu la città di Siena, dove la loggia Socino “intervenne in forma pubblica, cioè con la propria bandiera, con distintivi e fronda di acacia in segno di lutto” alla commemorazione dell’11 giugno presso il Teatro della Lizza. Il cronista della cerimonia osservò come avesse fatto “nel pubblico eccellente impressione il vedere la massoneria anche qui prender parte officialmente all’universale plebiscito di dolore”.
A Cosenza, il 17 giugno, la loggia Bruzia intervenne direttamente con il proprio stendardo alle onoranze che vennero promosse dal municipio. I fratelli che si adunarono al corteo che sfilò per le vie della città, avevano con sé un ramo d’acacia, deponendo poi tutt’intorno al ritratto di Garibaldi una corona, anch’essa d’acacia.
Molte erano le caratteristiche analoghe presenti all’interno dei funerali dettati dai massoni per celebrare l’ormai defunto Nizzardo. Veniva evidenziato particolarmente quanto Garibaldi rappresentava la perfetta combinazione e sintesi degli ideali liberomuratori: l’amore per la patria, la fratellanza universale, la fede nel progresso, la tolleranza e lo spirito profondamente laico.
Caratteristica ancor più interessante è la correlazione compiuta all’interno degli elogi e rituali, venendo identificato come una sorta di semidivinità e/o paragonato ad un eroe omerico.
Sono emblematici a tal proposito, alcuni passaggi del discorso di Luigi Castellazzo, gran segretario del Grande Oriente d’Italia, per i funerali massonici di Garibaldi il 30 giugno 1882 nella città di Roma. Castellazzo si definì come un seguace di Garibaldi, “oscuro, ma devotissimo milite nella lunga e sanguinosa Iliade del Risorgimento”, ritenendo che solamente “l’inspirato Cantore dell’Iliade e dell’Odissea” potesse essere in grado di narrare le gesta di un “eroe dei tempi antichi”. Proseguendo nel sua commemorazione, propone un riferimento biblico chiamando Garibaldi “precursore e Apostolo dell’Avvenire”.
Il Professore Dino Mengozzi dell’Università degli Studi di Urbino ricorda come Garibaldi stesso avesse già preparato a tempo debito “una scenografia per la propria morte, che indulgeva verso una rappresentazione di eroe omerico” con riferimenti al grande tema dell’immortalità. La stessa scelta del Nizzardo al voler essere cremato non è per niente casuale: ciò rimandava alla prospettiva di Garibaldi nel trionfo della scienza in stretta congiunzione con un ritorno al mondo naturale.
Il Corpo “doveva essere riconsegnato alla natura attraverso i vapori di legni odorosi, puntualmente elencati da Garibaldi nel testamento, così da reinserirlo nella natura vivente e non nella putredine, tanto cara alla pastorale cattolica del memento mori”.
Eugenio Morpurgo nell’orazione funebre tenuta dalla loggia Daniele Manin di Venezia disse: “Oh no, né Cincinnato, né Alessandro, né Cesare, né Napoleone possono stare al suo confronto, perocché o per minori gesta, o per ambizione sconfinata, o per aver posseduto parte soltanto di quel tutto che rese grande Garibaldi, a lui sono di gran lunga inferiori. L’azione sua benefica non potrebbe paragonarsi che a quella di Mosè e di Cristo”.
Particolarmente coinvolgente fu l’elogio funebre di un massone napoletano che dichiarò: “si può benissimo dire di lui, che è stato un Achille senza ire, un Alessandro senza pazzie, un Annibale senza odio, un Cesare senza dispotismo, un Napoleone senza ambizione. E se meglio può paragonarsi ai Leonida, ai Cincinnati, ai Fabi e agli Scipioni, pure risulta a essi superiore quando si consideri che la devozione alla patria che costoro animava, egli aggiungeva l’altra idealità massonica dell’amore dell’umanità. […] E sotto questo rapporto egli può ben reggere al paragone del mansueto e ineffabile Rabbi di Nazaret.”
Oltre oceano ci fu un particolare elogio da parte della Loggia Garibaldi di New York (la loggia si dette il nome del Nizzardo, pratica che dopo la sua morte divampò particolarmente), al quale parteciparono più di 1.500 persone. Anche in questo caso, le onoranze si dispiegarono con passionali analogie che rimandavano alla cristianità: “Garibaldi è nome universale che nessun cataclisma varrà cancellare, perché nella storia dei popoli quel nome è il nome di Dio”.
Si ricordi infine che i primi anni subito dopo la morte di Garibaldi, la massoneria si “impose” come principale fautrice della memoria e nel culto laico del Nizzardo: siamo nel 1885 quando la <Rivista della massoneria italiana> prese a sé nuovamente l’appello della Lega italiana delle società di cremazione con l’obiettivo di attuare le volontà testamentarie di Garibaldi. Le iniziative liberomuratorie che spiccarono più di tutte furono quelle di loggia Onore e Giustizia di Bari, componendo un funerale massonico all’interno del proprio tempio, inaugurando congiuntamente una lapide di marmo posta su una facciata di una casa che affacciava su piazza Garibaldi.
Entrambe particolarmente coinvolgenti e da un forte impatto emotivo, come ricorda Antonio de Tullio al riguardo: “L’ora, il luogo, lo scopo della riunione, il numero dei convenuti, i distintivi e insegne massoniche danno alla scena un aspetto quasi fantastico. La potenza della massoneria la si sente in tutta la sua pienezza in codeste cerimonie, che legano il visibile all’invisibile, i vivi ai morti, il presente al passato. Chi può in siffatti momenti udire e comprendere il linguaggio degli oratori? L’attenzione è sopraffatta dalla commozione. […] Commemorare Garibaldi! Il Nume è presente. Evocato dal suo sepolcro circonfuso di luce immortale, Egli è là nel nostro tempio. Noi lo sentiamo approssimarsi, e ne vediamo già l’eroica figura, la profetica, la olimpica testa, gli sguardi dolci e profondi come il celo.”
Esempi come quelli sopra citati potrebbero proseguire, visto che ovunque si dispiegarono riti e funerali che miravano alla tutela, alla salvaguardia, alla memoria di uno dei personaggi più importanti della storia risorgimentale. Nessuna associazione cosmopolita come quella massonica cercò di elevarsi a motore di culto di Garibaldi come la Massoneria, che per decenni dopo la morte del Nizzardo onorò e diffuse le sue gesta pedagogicamente e culturalmente.
La sua memoria divenne un collante sociale all’interno del mondo liberomuratorio, soverchiando distinzioni politiche e religiose, fungendo da spirito collettivo in tutta la penisola, dissipando tensioni che in taluni momenti storici non vennero a mancare nel mondo delle logge italiane.
Fu questo e molto altro Garibaldi per la massoneria, un orgoglio che innalzarono ad esempio, volendo mostrare pubblicamente (e questo è molto importante) ciò che l’associazione era in grado di compiere nella società italiana del tempo.
Non vuole essere questo articolo una minuziosa disamina di tutte le gesta e commemorazioni che la Massoneria ha compiuto per l’eroe Nizzardo, ma un ben voluto (anche se minimo) excursus della macchina celebrativa massonica.
Adunque concludo con il massone Girolamo Bocchi che, a Nicosia, intervenne con parole che risuonarono particolarmente forti e con grande eco: “È morto un Alessandro? No! Un Cesare? No! Un Napoleone? No! Un Papa? No! È morto l’uomo, l’uomo ideale. Ma vive il principio; è eterna l’idea; la morte è la vita, la vita dell’immortalità; è morto Garibaldi! Viva Garibaldi!”.
Bibliografia
- Conti, Massoneria e religioni civili, Bologna, il Mulino, 2008.
- Mengozzi, La morte e l’Immortale, Manduria – Bari – Roma, Lacaita, 2008.