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Intervista a Cachemire Podcast


Standup & Spritz

Una puntata di Seinfeld, la dodicesima della terza stagione, ruota quasi totalmente intorno ad un maglione di cachemire difettoso (ha un puntino rosso impercettibile) che porta, alla fine dell’episodio, George Costanza a fare l’amore con l’addetta alle pulizie del suo ufficio ed a essere, di conseguenza, licenziato. Quando quella donna dall’infanzia poverissima si ritrova quel maglione di cachemire tra le mani, ripensando alla sé bambina esclama sognante: “I wanted the cashmere“.

La suddetta scena

Ecco, cosa c’entra questa premessa con l’intervista che presentiamo di seguito? C’entra: dal quattro dicembre scorso, noi appassionati di comicità, di podcast o semplicemente di chiacchiere ci ritroviamo a sognare con le stesse parole e la stessa espressione bisognosa della signora di Seinfeld l’uscita del prossimo episodio di Cachemire – Un podcast morbidissimo.

“We want the Cachemire” perché Edoardo Ferrario e Luca Ravenna sono due talenti assoluti del panorama comico italiano; “we want the Cachemire” perché la loro amicizia si riflette perfettamente nell’atmosfera del podcast; “We want the Cachemire” perché ogni episodio è, paradossalmente (ma non troppo), una riuscita sintesi tra l’incontro di due amici al bar e una dimostrazione pratica di come nasce e si sviluppa uno spunto comico.

We wanted i due creatori di Cachemire, e loro sono stati così gentili da concederci un’intervista.

Un’intervista morbidissima

Qualche mese fa, quando abbiamo avuto il piacere di intervistare Luca, ci siamo fatti un augurio: che tra i cambiamenti portati dalla pandemia ci fosse spazio maggiore per comici bravi quanto voi anche nei canali tradizionali. Da allora sono spuntati Paese Reale, Una pezza di Lundini, Pigiama Rave, per non parlare di Diamoci un tono, che credo sia il primo comedy special distribuito dalla Rai… Secondo voi cosa è cambiato (se qualcosa è cambiato) e perché?

LR: Direi che è andata alla grande. Se vedete bene non sono in nessuno di questi lavori. Quindi ottimo, per gli altri. Però sono felice perché tutti i lavori nominati sono fatti da persone valide. Il web ha chiamato e la tv ha risposto, incrociando finalmente i flussi. Quindi avanti così.

EF: Non era mai capitato che così tante persone fossero forzate a rimanere in casa per così tanto tempo come durante il lockdown. Durante quel periodo il pubblico si è mostrato affamato di nuovi contenuti e probabilmente gli editori e i dirigenti televisivi hanno capito che il pubblico non è formato solo dalle vecchiette che guardano le fiction o gli adolescenti su Twitch: esiste un mondo fra quei due estremi al quale è possibile rivolgere un’offerta di contenuti più contemporanea per forma, contenuti e modalità di fruizione.

Paese Reale è un programma che nasce su RaiPlay e quindi per essere visto in streaming, Una pezza di Lundini va in onda su Rai2 ma i suoi contenuti hanno avuto successo sul web, Pigiama Rave è una sorta di late show che assomiglia ad una call su Zoom. Sicuramente il lockdown non ha cambiato le regole dell’intrattenimento televisivo, ma ha portato alla luce nuovi format, soprattutto nella comicità.

Domanda con citazione per fare il colto: ne La Mutazione, libro sul rapporto tra tecnologia e mondo post covid, Bracconi dice che il futuro per lo spettacolo e il concerto passa necessariamente dal ritorno in presenza, fisica, di pubblico e performers nello stesso luogo. Alcune eccezioni, come quella di The Comedy Lab e Pietro Sparacino, con gli spettacoli in live ma da casa, sembrerebbero mostrare il contrario. Per voi questa opzione è assolutamente provvisoria o potrebbe avere un futuro anche a pandemia superata?

EF: Trovo The Comedy Lab una bellissima iniziativa, innovativa e necessaria ai tempi del lockdown. Nonostante questa esperienza sia godibile, purtroppo non riesco (ancora) a immaginare gli show di stand up comedy senza pubblico in presenza, soprattutto se prevedono il rituale della stand up, con il comico in piedi di fronte al microfono ecc. Per intrattenere il pubblico a casa preferisco decisamente un format come il podcast. Una volta ristabilita una normalità dopo la pandemia, credo che il pubblico e i comici non vedranno l’ora di tornare ad assistere agli spettacoli dal vivo e speriamo che Skype torni ad essere lo strumento con cui sentire le nostre Zie in Australia.

LR: Senza pubblico, a calcio si può ancora giocare. Finché ci sono 22 uomini e un pallone è possibile – fa schifo, ma si fa. Quindi le cose cambiano e si possono fare, ma senza palla o giocatori a calcio non si potrebbe giocare. Stesso discorso per la comicità con la differenza che il pubblico è sia palla che giocatori. Si possono anche inventare forme di “sopravvivenza” per gli eventi live, ma siamo già vicini al limite dell’ingiocabilità. Io rispetto molto chi ci riesce, ma personalmente penso sia impossibile fare spettacoli senza essere immersi completamente nella dinamica del live. Unica conditio sine qua non per il podcast era la presenza di entrambi.

La comicità si gioca per un’ampia percentuale sui tempi e lavorare in differita è sicuramente possibile, ma funziona meno. È bello però che ci siano comici che riescono a portare avanti delle forme di intrattenimento che assomigliano molto alle serate live. Ammiro il loro coraggio. Io ho paura a farlo e banalmente non lo faccio.

Quali direste che siano le differenze più macroscopiche nel vostro modo di fare standup comedy?

EF: Io e Luca condividiamo gusti piuttosto simili per quanto riguarda la stand up comedy. Potrei dire che lui parte da storie personali mentre io inizio più spesso da esperienze di carattere collettivo, ma non credo sia una distinzione veritiera: alla fine quando il comico si esibisce parla sempre di sé. La più grande differenza è che lui riesce ad esibirsi indossando un maglione mentre io se porto qualcosa sopra la camicia non riesco a parlare dal caldo e sudo come Fantozzi nella scena del concorso pubblico.

LR: Una volta ho fatto questa domanda alla mia ragazza e vi giro la sua risposta: Edoardo è più espressionista. Io più astratto. Con Edo vedi i dettagli del mondo con me un mondo in un dettaglio- mi sembra una bella risposta che, non essendo mia, utilizzo volentieri.

Quando invece collaborate, come ad esempio a Quelli che il calcio, come sviluppate insieme un’idea?

EF: Direi che l’unica regola è che il contenuto diverta entrambi. A quelli che il calcio ci siamo divertiti molto e abbiamo cercato di portare il nostro mondo nei contenuti pensati per quel programma. Le imitazioni dei personaggi non erano mai soltanto l’imitazione di una voce, abbiamo cercato di costruire dei veri personaggi comici. Il contenuto del quale sono più orgoglioso è probabilmente Made in sud Tyrol, una satira sulla comicità regionale in chiave altoatesina.

Il conduttore di Made in Sud Tyrol (Ferrario) e Hans (Ravenna), il commercialista di Bressanone.

LR: Esattamente come si vede nel podcast. Un grande vantaggio del lavorare con Edoardo è stato, al di là della creatività, l’educazione e, credo, il rispetto che abbiamo entrambi l’uno per l’altro. Sembra una stupidata, ma non è così. Chi scrive per far ridere, ci tiene molto a quello che fa. E basta molto poco per rovinare un equilibrio, che invece abbiamo spesso mantenuto. Da proposte che sembrano sciocche bisogna saper scegliere, pensando a ridere, ma anche a consegnare- che nel processo realizzativo di un programma in diretta, come nel caso di Quelli che il calcio, è fondamentale. 

È importante mantenere sempre molta sensibilità verso il lavoro dell’altro. Ed è sempre stato così. Poi spesso dovevamo rispondere a dinamiche autoriali non per forza legate alla nostra fantasia o in particolare a quella di Edo- che poi portava in scena i personaggi, però ci siamo sempre trovati bene. Lui mi ha anche dato spazio per salire sul palco insieme. Non è una cosa che succede molto spesso, anzi. È molto raro, direi rarissimo.

Passiamo a Cachemire, il vostro divertentissimo podcast. La cosa che mi piace molto è che ha il mood di una chiacchierata al bar tra amici (credo che lo Spritz e gli stuzzichini siano lì anche per quello), con la differenza che i due amici sono tra i migliori comici di questo paese. Da dove arriva l’idea?

LR: È nata esattamente così, facendo un aperitivo. Verso fine settembre o inizio ottobre. Ci siamo trovati per una birra a San Lorenzo. Si capiva che la situazione live sarebbe saltata di nuovo. Chiacchierando è uscita l’idea- non proprio originalissima- del podcast, abbiamo continuato a bere e a sparare minchiate sulla forma da dare al prodotto. Per le 9 di sera eravamo ubriachi pisti – non scherzo- con due braccialetti comprati da una ragazza che li vendeva, con la promessa che Cachemire avrebbe riscritto le leggi dell’ascolto “radical chic” italiano- sono ovviamente ironico, ma non sto inventando nulla.

Qualche modello d’ispirazione particolare?

EF: Onestamente non sono un divoratore compulsivo di podcast: ne seguo pochi, soprattutto comici, fra tutti potrei citarti The Joe Rogan Experience. L’idea del podacast nasce appunto dalla mancanza delle serate dal vivo e dalla magia del rapporto diretto col pubblico, che personalmente trovo sia la cosa più bella del nostro lavoro. Sia io che Luca stavamo soffrendo molto la situazione, così abbiamo pensato a Cachemire come un’ora di intrattenimento a metà fra una chiacchierata informale fra noi due e un brain storming di stand up comedy. Credo che il podcast abbia pochi punti fissi: non essere autoreferenziali, non prendersi sul serio, pensare sempre a intrattenere il pubblico. 

LR: In realtà no. Nel senso che da quando ne abbiamo parlato è venuto tutto in modo molto naturale. L’unica cosa da cui secondo me abbiamo preso ispirazione è stato il modo di chiacchierare. Ricordo di aver chiaramente detto: io so cosa fa ridere te e tu sai cosa fa ridere me, come quando scrivevamo insieme. L’importante era fare una cosa diverse da quelle che si ascoltano e sono fatte da altri e sono piuttosto convinto che ci stiamo quantomeno provando.

Nell’ultimo episodio ho notato due pagine di quelli che sembrano appunti. Quanto e cosa preparate prima della registrazione di una puntata?

EF: Abbiamo una scaletta con alcuni argomenti buttati giù dei quali ci proponiamo di parlare per rendere interessante ed esaustiva la puntata. Per il resto è tutto improvvisato.

LR: E le parti improvvisate sono ovviamente le migliori, escono in modo genuino.

Domanda polemica, di quelle su cui costruire un titolo di Libero: è meglio il Cachemire di Ferrario-Ravenna o la Tintoria di Tinti-Rapone?

EF: Sapete benissimo che la risposta a questa domanda farebbe scattare una crisi di governo con conseguenti elezioni anticipate. In questo periodo credo che il Paese abbia ben altre priorità, dunque cerchiamo di comportarci come cittadini responsabili.

Domanda ancor più polemica, in onore al nome del podcast: chi tra voi ha l’esemplare di maglione più brutto?

LR: Ora Edoardo, gliel’ho regalato io. Si vede nella puntata di Natale.

EF: Credo che il maglione regalatomi da Luca in quella puntata scalzi prepotentemente dal podio il mio maglione tipo Giuliano Sangiorgi, che prima deteneva il primato.

Edoardo con il brutt- bellissimo maglione regalatogli da Luca

Osservando le carriere di molti comici, è interessante notare come alcuni, mi viene in mente ad esempio Jerry Seinfeld, abbiamo sempre sognato di fare solo e soltanto gli standup comedian, mentre altri, penso ad Allen, abbiano usato quella forma d’arte per poi passare ad altro. Nel loro mondo ideale del futuro, Ravenna e Ferrario cosa faranno?

EF: Mi piace la comicità in tutte le sue forme, per questo non escludo di fare nulla. Fra i prossimi obiettivi c’è imparare a suonare decentemente la batteria e diventare un imprenditore di successo nel ramo siderurgico.

LR: Io mi auguro che il percorso di lavoro intrapreso qualche anno fa mi porti finalmente a diventare giocatore di tennis a livello professionistico.

Visto che li ho citati, vorrei un commento di due esperti come voi su A proposito di niente di Allen e 23 hours to kill di Seinfeld. Come nelle interrogazioni di gruppo, potete scegliere chi parla di cosa.

EF: Parlo di A proposito di niente di Woody Allen, visto che mi sono appena reso conto di non aver ancora visto lo special di Seinfeld. L’autobiografia di Allen è una meraviglia: raccontando tutta la sua vita, il più grande comico del ‘900 svela il segreto per diventare dei grandi artisti, e cioè pensare a fare bene il proprio lavoro, senza farsi distrarre da tutto il resto. È la scoperta dell’acqua calda, ma leggendo il libro si capisce che nessuno è mai riuscito a farlo bene come lui.

LR: Io ho iniziato Woody, ma devo finirla, quindi vado con Seinfeld: 23 hours to Kill mi è piaciuto molto, anche se l’ho trovato a volte un po’ datato e ci sta. Seinfeld sembra giovanissimo, ma ha l’età di mio padre.

Grazie ad entrambi per il tempo concessoci!

Immagine in evidenza ad opera di gimmynauta (@gimmynauta su Instagram)