“We did it. We did it, Joe. You’re gonna be the next president of the United States!”
Abbiamo sentito tutti Kamala Harris, in tuta da ginnastica e occhiali da sole, congratularsi con il proprio running mate, Joe Biden, per la vittoria alle elezioni presidenziali del 2020. Harris, che non era con Biden al momento dell’annuncio, ha contattato quest’ultimo durante una passeggiata, appena saputo che le proiezioni dei principali network del paese vedevano i democratici vincitori della corsa alla Casa Bianca.
Si è detto molto di Kamala Harris, negli ultimi giorni come negli ultimi mesi, per svariati motivi: il suo essere la prima vicepresidente donna, oltreché nera, della storia del paese è sicuramente la notizia più recente, così come prima della sua nomina a vicepresidente, si è discusso Harris per la condotta da procuratrice generale della California, ritenuta da alcuni come inconciliabile con le istanze di una presidenza che si dice vicina al Black Lives Matter. È in ogni caso innegabile come Harris sia rappresentante di una tendenza marcata negli ultimi anni del partito Democratico, ossia una classe dirigente di donne, espressione di minoranze etniche, dal grande capitale politico; partendo dalla più nota Alexandria Ocasio–Cortez, passando per Rashida Tlaib e Ilhan Omar, arrivando alle sindache di alcune delle città più importanti del Paese, come Keisha Lance Bottoms, London Breed e Lori Lightfoot, rispettivamente prime cittadine di Atlanta, San Francisco e Chicago.
Ulteriore esempio in questa direzione è rappresentato da Stacey Abrams, politica e attivista afroamericana di 46 anni, la quale ha avuto un ruolo fondamentale in una delle maggiori sorprese elettorali di queste elezioni, la Georgia. La Georgia è protagonista di uno storico swing elettorale: sebbene si rientri nei margini previsti dalla Costituzione dello stato per un riconteggio, richiesto a già avvenuto, la vittoria democratica è stata confermata dopo la seconda conta dei voti, ribadendo la vittoria democratica. È importante sottolineare come i riconteggi elettorali difficilmente portino a cambiamenti nell’esito finale: stando a dati offerti da FairVote, organizzazione super partes che si occupa di elezioni, nelle 4687 elezioni tenutesi negli States fra il 2000 e il 2015, si sono avuti 27 riconteggi: solo 3 di questi 27 hanno poi ribaltato il risultato. Il cambio di colore del Peach State è un evento di portata storica: a seguito della fine della Guerra di Secessione, la Georgia fu, politicamente parlando, territorio democratico per decine di anni. Gli elettori bianchi del paese, sentendosi lontani dal partito Repubblicano, nordista e abolizionista nel periodo del conflitto civile, scelsero l’approccio più conservatore e segregazionista offertogli dal Blue Party, fino alle presidenziali del 1964.
Il progressismo di Lyndon Johnson, vissuto come un tradimento dal Sud del Paese, favorì la vittoria del candidato repubblicano Barry Goldwater, portavoce di sentimenti reazionari e conservatori.
Goldwater, è infatti considerato il padre della dottrina politica del “Law & Order” (poi perfezionata da Nixon e recentemente ripresa dallo stesso Donald Trump), oltreché primo protagonista della cosiddetta “Southern Strategy”, una strategia politica del partito Repubblicano attuata durante gli anni Sessanta, con cui il G.O.P., tramite una proposta conservatrice e volta a mantenere uno status quo sempre più flebile nel momento storico dei diritti civili, puntava al voto dei cittadini bianchi del Sud. Dal 1964 iniziò quindi un dominio repubblicano nelle elezioni presidenziali, interrotto, prima d’oggi, solo quattro volte: una dal segregazionista George Wallace, due dal candidato locale Jimmy Carter, e l’ultima, nel 1992, da Bill Clinton. È in quest’ottica che si pone la vittoria di Joe Biden, vittoria che, senza Stacey Abrams non sarebbe stata possibile.
Abrams, candidata in prima persona alle elezioni governatoriali del 2018, dove perse contro il repubblicano Kemp per l’1% (lo scarto più ridotto per una vittoria repubblicana alle elezioni al ruolo di governatore dello stato dal 2002), sottolineava già allora come la Georgia fosse un potenziale swing state alle prossime presidenziali, enunciando in prima persona come i democratici avrebbero potuto aggiudicarsi la vittoria. Nel settembre 2019 Abrams pubblicava un documento, denominato “The Abrams Playbook”, nel quale delineava una strategia politica per vincere i collegi elettorali del suo Stato. Il suo programma era distante dall’ortodossia democratica, concentrato non tanto sulla white middleclass americana, quanto sulle minoranze etniche, sempre più decisive a livello di voto.
Nel documento si affermava come, nonostante fosse importante continuare, laddove possibile, a guadagnare consensi in quell’elettorato bianco storicamente repubblicano, era vitale per le speranze democratiche concentrarsi sui voti delle suddette minoranze, in particolar modo degli afroamericani. Si sottolineava come, nonostante la popolazione nera fosse cresciuta in modo costante, gli sforzi del Blue Party per coinvolgere quella porzione dell’elettorato al voto fossero insufficienti; la mancanza di una proposta politica da cui essi potessero sentirsi rappresentati è l’errore che i democratici, grazie ad Abrams, non hanno ripetuto.
Vale la pena notare come in tal senso, gli sforzi di Abrams sono addirittura antecedenti alla sua candidatura come governatrice: già nel 2014 fondava il New Georgia Project (N.G.P.), volto a registrare per il voto i cittadini di colore. Nel settembre 2019 i cittadini registrati grazie al progetto erano quasi 500.000. Oltre al N.G.P., Abrams è creatrice di “Fair Fight”, un’associazione no-profit dedita a combattere la soppressione al voto. Abrams è una sostenitrice del fatto che la Georgia presenti delle leggi fortemente limitanti per l’accessibilità al voto. A suffragio di ciò, ha portato l’esempio di Brian Kemp, candidato repubblicano alle elezioni governatoriali del 2018, le stesse elezioni a cui lei ha partecipato.
Stando a un articolo dell’Atlantic, dal 2010 al 2018, periodo in cui Kemp ha ricoperto la carica di segretario di stato della Georgia, quasi 1,5 milioni di elettori sono stati rimossi dalle liste di registrazione: molti di questi hanno trovato la loro registrazione annullata perché non soddisfacevano i requisiti della cosiddetta “Exact Match Law”. Approvata nel 2017 (e poi abolita nel 2019), stabiliva che la registrazione al voto era da ritenersi valida solo se le informazioni contenute nell’application form, fossero esattamente le stesse tenute dagli uffici amministrativi dello Stato, spesso provvisti di informazioni datate e non puntuali. Più di 50.000 si sono visti quindi negare la possibilità di votare per questo motivo; l’80% di essi era afroamericano. Le restrizioni al voto, oltre che danneggiare i candidati democratici (come dimostrato da portali come FiveThirtyEight.com), danneggiano la democrazia americana.
La soppressione al voto individua nella legge non uno strumento fondamentale per garantire la coesione sociale e l’interesse di tutti, ma piuttosto uno strumento per mantenere un ordine prestabilito, fondato su priorità e interessi non generali, quanto di una porzione limitata della popolazione.
Fair Fight si oppone a ciò, facendo pressione sulle amministrazioni locali per ottenere riforme elettorali dedite ad aumentare il numero di elettori potenziali, a facilitare la registrazione al voto, rendendo più semplice l’esercizio di questo diritto. Fair Fight ha inoltre raccolto sei milioni di dollari per supportare la campagna elettorale di Rafael Warnock e Jon Ossoff, i due candidati democratici in corsa per i seggi del Senato offerti dalla Georgia, che saranno assegnati tramite ballottaggio il 5 gennaio 2021. Seggi dal peso specifico enorme: ad oggi i Repubblicani si sono aggiudicati 50 posti, i Democratici 48. Se vincessero quest’ultimi, le conseguenze sul Senato sarebbero evidenti; in caso di pareggio nelle votazioni al Senato, la costituzione statunitense prevede che lo stallo sia superato attraverso il voto del vicepresidente. Il playbook di Abrams sarà quindi messo ad ulteriore prova; se i Democratici sapranno coinvolgere le sopracitate minoranze, la cui partecipazione alle elezioni di metà mandato è storicamente bassa, sia generalmente sia se confrontata alle presidenziali, potrebbero riprendere il controllo della Camera Alta del Parlamento per la prima volta dal 2015, rendendo estremamente più semplice l’immediato futuro dell’agenda riformista di Biden.
Abrams, pur non ricoprendo nessun incarico specifico all’interno del partito Democratico, potrebbe averne assicurato il successo, quanto meno nel prossimo periodo. Nel futuro politico di Abrams non c’è invece certezza, o meglio, Abrams stessa non sembra aver deciso il proprio prossimo passo. Dopo essere stata candidata al ruolo di partner nel ticket elettorale di Biden, lo scenario più verosimile sembra un secondo tentativo per le elezioni midterm della Georgia. Recentemente Wendy Davis, membro del Comitato Esecutivo del Partito Democratico della Georgia, ha detto che Abrams riproverà ad essere eletta come governatrice, nonostante più volte lei abbia glissato una risposta chiara a chi le chiedeva di una candidatura.
Ciò che è indubbio è come Abrams rappresenti una nuova wave politica nella politica americana, una wave dirompente nell’opporsi alla semplificazione del messaggio, a politiche che sostituiscono con leve politiche, economiche e fiscali quelli che prima erano strumenti di emarginazione.