Laureato in Storia e critica del cinema, studia Informazione ed Editoria presso l'Università di Genova. Appassionato di tutto ciò che riguarda l'audiovisivo e la parola scritta.

Live @

Il 2020, senza dubbio, sarà un anno indelebile nella storia del nostro paese. Tra accenni di guerre mondiali, pandemie globali e litigi sul palco di Sanremo, non tutte le sorprese vengono per nuocere: sempre a proposito di eventi storici, il 19 aprile è stato pubblicato online il primo special di uno dei cavalli di razza della standup comedy nostrana, Luca Ravenna (anche se di cavalli, o meglio di anestetici a loro destinati, ne sa più lui).

Live @”, lo special, oltre che essere un’ora di grande comicità, è un’iniziativa di distribuzione interessante ed innovativa, che ha forse un precedente (unico?) in Louis CK. Lo trovate QUI, ed a soli 2,99€ lo potete noleggiare per un mese.

Luca è stato così gentile da concederci una chiacchierata sul suo modo di intendere l’umorismo, sul futuro dell’intrattenimento e sull’esperienze all’estero.

L’intervista a Luca Ravenna

Abbiamo avuto l’occasione di assistere ad uno dei tuoi ultimi spettacoli prima della quarantena e proprio per questo vorrei chiederti come stia andando questo periodo di reclusione forzata, per iniziare poi con l’intervista vera e propria:

Sta andando abbastanza bene. Nel senso che in casa mi diverto perché per fortuna non sono da solo. Ce la metto tutta per creare contenuti sui famosi social, ma sono abbastanza vecchio nei modi e nella forma. Mangio tanto e bene e non bevo da quasi 4 settimane. Non che sia un alcolizzato, ma per lavoro, a fine serata, sono abituato a bere sempre. Questo era per dire che mi manca il mio lavoro, tantissimo ed è una cosa di cui vado molto fiero. Mi mancasse solo il fatto di uscire, sarei molto più triste. 

Dopo averne parlato anche con Saverio Raimondo e Filippo Giardina, vorremmo chiederti, secondo te, in cosa la standup comedy, nella sua concezione più aperta possibile, si distingua da altri tipi di comicità. Non credi che le diverse opinioni in proposito abbiano creato una sorta di frattura nella scena italiana? 

Penso che i monologhi di quelli che si auto-professano “comedian”, me compreso, abbiano la peculiarità di esprimere punti di vista molto personali, questo rispetto alla comicità classica- chiamiamola così. Ogni punto di vista è proposto da un solo individuo. Da questo deriva anche il fatto che ci siano opinioni diverse e fratture. Ma nella musica o nel cinema- magari più in passato che oggi- era la stessa cosa.

La militanza, di chi segue e di chi guida, è una cosa tutta italiana che esiste da sempre. A me personalmente basta che il comico abbia ben chiaro che se pago un biglietto per vederlo è perché voglio ridere. Tutto quello che segue, viene appunto di conseguenza. Ed è un pensiero che cerco di avere ben chiaro quando sto io sul palco. Poi se non ci riesco, amen. Ma ci penso tanto, questo sì.

Vorremmo chiedere inoltre quale significato dai alla tua comicità: è più importante a volte ridere per ridere oppure cerchi di veicolare volontariamente dei messaggi? E in generale, a Luca Ravenna, cosa fa ridere? Cosa soddisfa il tuo umano bisogno di intrattenimento?

Penso che non si potrà mai battere, a livello di comicità, una grassa scoreggia fatta nel momento perfetto. Ma ciò non significa che non si possa e non si debba ridere anche per qualcosa che non esca solo dalla pancia.

Si ride perché si vede o si immagina una situazione in cui non ci si vuole trovare, in cui ci si è trovati o in cui ci si immagina di stare. Ridere ti fa sentire meno solo, perché liberi il pensiero di sentirti unico, nella sventura.  La bravura del comico è quella di raccontare quella situazione in modo sorprendente, nuovo, personale, unico e in più la racconta a tutti. Se poi si riesce a veicolare un messaggio, come nei film, è tutto lavoro di sottotesto. Gli spettatori sono intelligenti, e godono se racconti le cose, non se le spieghi. Se poi uno è così bravo da far pure passare un messaggio, qualunque esso sia, bravo lui o lei.

Io rido tantissimo quando guardo un comico mostrare qualcosa di nuovo, anche e soprattutto negli errori. Quando sbaglia o quando sbaglio è un momento speciale. Se ha o se hai la forza di aver capito l’errore, c’è la possibilità che esca qualcosa di nuovo. Un errore è sempre nuovo. Una cosa fatta bene, rischia di non esserlo. Sul palco è bello riproporre sempre lo stesso pezzo capendo ogni volta di più cosa stai raccontando, sbagliando e riprendendo tutto.

Una volta Giorgio Montanini disse, durante un suo spettacolo al Teatro Nuovo a Milano nel 2017: “vedete, ho fatto ridere sti due (una coppia in seconda fila), improvvisando e per quanto possa scrivere battute pazzesche, questa è la cosa che farà più ridere stasera”. Sto ricordando a memoria. Le parole magari non erano esattamente queste, ma più o meno ci siamo. Il fatto è che è proprio così. È sempre così. Appunto perché ti fa sentire meno solo, la risata è come un disvelamento in cui si indica o si ammette (cosa che preferisco) un errore. E l’improvvisazione in particolare, l’annientamento della 4a parete è sempre la cosa più divertente, perché lo si fa veramente insieme al pubblico e si dice la cosa più bella: siamo qui tutti insieme e lo sappiamo, non facciamo finta che non sia così.  Quando ti chiedono: ma se non fai ridere, come ne esci? Improvvisando. Quello è il momento più puro. Perché ti devi fidare che uscirà qualcosa di imprevisto. Non saprei descriverti qualcosa di più divertente e bello per me.

Paradossalmente l’isolamento forzato ha fatto sì che, attraverso dirette Facebook come Tutti a Casa o i tuoi contenuti Instagram, si avesse un’offerta d’intrattenimento che sembra una sorta di prova generale per un palinsesto tv dove la nuova generazione comica italiana abbia veramente spazio. Un futuro prossimo simile ti sembra possibile o è utopistico?

Minchia, speriamo.  La tv ha mollato su tutto. Su internet invece le persone hanno reagito. Nel mare in tempesta delle dirette Instagram o Facebook, ci sono un sacco di belle idee, da preservare e da coltivare. È bellissima da vedere questa fioritura. Poi ci vorrà più applicazione e la capacità di scegliere i contenuti migliori, ma così dev’essere, anche perché se non sarà così, la tv schiatterà del tutto: Sanremo viene una sola volta l’anno- giusto per fare un esempio di grande intrattenimento dietro al quale nascondere i mesi di vuoto pneumatico che lo precedono e lo seguono.

Ogni quanto introduci materiale nuovo nella tua ora di comicità? Ti dedichi molto alla scrittura dei tuoi pezzi o è più importante il lavoro sul palco? Il tuo modo di fare comicità e i tuoi pezzi cambiano tra i tuoi live italiani e quelli all’estero? Se sì, come?

Non introduco pezzi nuovi quando mi avvicino alla possibilità di filmare il materiale e di metterlo online- proprio ora sto lavorando per mettere il mio spettacolo (anche perché non so quando tornerò a lavorare). Quando è finito il percorso, si è pronti per impacchettarlo e renderlo fruibile. I pezzi ricomincio ad aggiungerli quando sento che sono pronti. Di solito cerco di fissare delle date che mi aiutino a pensare: ok, per fine maggio proviamo un’ora nuova. 

Mi dedico molto al palco e molto alla scrittura- che avviene anche e soprattutto sul palco. Scrivere un monologo non è come scrivere un racconto comico, quello è un altro sport. Qui è tutto fatto per essere raccontato dal vivo.

I miei pezzi cambiano quando vado all’estero perché ovviamente devo ripresentare questo “giovane italiano” ad un pubblico che non solo non ha idea di chi io sia, o che sembro giovane ma non lo sono. É cosa che succede anche in Italia naturalmente, ma all’estero nemmeno io so chi siano loro, mentre qui un’idea riesco a farmela.

Uso sempre questo paragone per rendere chiara la questione: se fai la pizza all’estero, devi farla come piace a loro. Chi se ne frega se l’ananas non va sulla pizza. Se a loro piace, ce la devi mettere e mentre la metti gli fai capire che sono dei minchioni a mettercela. Quando ho avuto la fortuna di fare pezzi in inglese in altri paesi ho anche abbassato il mio livello di pronuncia, cercando di suonare il più italiano possibile, per rendere più chiaro il mio personaggio. E poi si prova e si riprova finché non si trova una buona quadratura del pezzo. Non è facile, ma ho imparato di più in 5 giorni tra Olanda e Germania che in sei mesi di open mic in Italia. È una bella palestra e le figure di merda che fai all’estero le fai solo lì. Sono brutali. Parola mia.

Non abbiamo potuto non notare che nei tuoi pezzi non parli quasi mai di politica. È una scelta precisa?

È molto difficile parlare di politica in modo originale. Come puoi battere i personaggi di oggi. Come fai? Me lo chiedo sempre. Per rendere comico un personaggio come Salvini dovresti dipingerlo al suo esatto opposto: un uomo serio e di valori, che si fa un mazzo così, in disparte, con le spalle larghe per reggere le critiche e capace di dare l’esempio a tutti. Una persona seria e affidabile, che parla poco e quando lo fa colpisce nel segno, un uomo da prendere come modello per la capacità di essere un leader silenzioso, anche a discapito della sua stessa carriera e del suo guadagno. Fa ridere sta roba qui? No, perché è tristissima da pensare, ma vera. Se l’opposto della realtà è una persona seria, allora meglio spostare il mirino su altri bersagli. Io mi ricordo bene quando Pingitore ha stoppato il Bagaglino perché “la realtà politica aveva superato la fantasia”. Il boss della satira becera e di partito ha detto: “ok, basta così, la misura è colma” (erano gli anni degli scandali sessuali di un Berlusconi talmente macchietta di se stesso che se non l’avessero fermato, si sarebbe ciulato anche le bambine che uscivano dalle elementari). 

Da allora mi sembra che la satira politica sia molto cambiata, fino a diventare, chiamiamola così: satira sociale. 

Una curiosità su uno degli ex-giganti mondiali della standup: sappiamo che hai visto il recente live di Louis CK a Milano. Che giudizio ne hai? Credi sia riuscito ad elaborare lo scandalo vissuto?

È appena uscito online. Costa 8 dollari (molto più del mio eheheh), ma li vale tutti. È stato il comico che ha portato la comicità dalla fine degli Anni ‘00 agli Anni ‘10. Il più influente, il più preciso, il più sorprendente.  Insieme a Ricky Gervais e a Dave Chappelle è uno dei tre grandi narratori comici dell’epoca in cui io ho iniziato a provare a fare il monologhista. Quindi su di me ha avuto un’influenza enorme. 

Lo spettacolo che ho visto a Milano è molto bello. Era luglio. Prima replica.  Io ero in prima fila, al centro, di fianco a Stefano Rapone e a Daniele Tinti. È stata un’esperienza surreale poterlo vedere da così vicino. Non so se sia riuscito ad elaborare le ripercussioni dello scandalo. Economicamente penso di sì, nel senso che il danno è stato enorme, ma la risalita l’ha iniziata bene. Moralmente non saprei e non sono altro che uno spettatore per poter dare un giudizio. 

Dalla battuta con cui apre lo spettacolo, sembra che l’abbia elaborato esattamente come avrebbe fatto un comico: con una battuta al fulmicotone. E questo mi aspetto, mica che diventi Kafka che produce la metamorfosi di un pippaiolo. 

Posso provare a esprimere il pensiero che questa vicenda ha generato in me: mi spiace da morire che un mio idolo abbia fatto del male a delle persone. Penso che abbia pagato tantissimo.  Da un lato ci sono rimasto molto male, dall’altro sapere che anche uno come lui possa aver sbagliato, possa aver compreso i suoi errori, possa essere tornato e possa migliorare, è una cosa che fa sentire meno soli. Perché tutti sbagliamo, ma tutti possiamo migliorare.  

Sentirsi meno soli, nel bene o nel male, è il motivo per cui ridiamo e andiamo a sentire i comici. Ma è anche e soprattutto il fine di ogni essere umano no? Sennò saremmo delle inutili pizze con l’ananas sopra.

Un ringraziamento speciale a Matteo Bai e Matteo Manera per la realizzazione dell’articolo.